Traduzione dell'articolo che lo scrittore yemenita Ali al-Muqri ha scritto per il quotidiano canadese Toronto Star.

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Yemen: preghiere marxiste

Yemen: preghiere marxiste

Traduzione dell’articolo che lo scrittore yemenita Ali al-Muqri ha scritto per il quotidiano canadese Toronto Star.

Yemen: preghiere marxiste

Traduzione dell’articolo che lo scrittore yemenita Ali al-Muqri ha scritto per il quotidiano canadese Toronto Star.


Quando un mio amico, marxista, mi ha sollecitato ad andare con lui alla preghiera del venerdì convocata nella piazza centrale di Sanaa, ribattezzata “Piazza del Cambiamento” ho pensato che la rivoluzione avesse raggiunto il suo punto di massima forza e che a quel punto serviva soltanto che Dio stesso la sostenesse.

Così non mi sono messo a discutere con il mio amico sulla sua repentina conversione, su quell’ipotesi di viaggio congiunto verso il Paradiso. “Questa è la rivoluzione degli oppressi e dobbiamo usare qualsiasi arma per vincere”, gli ho detto. E lui: “ Cosa c’è di male nel pregare, anche cinque volte al giorno, se questo rende i nostri amici musulmani felici, conducendoci alla fine di questo stupido regime?”

“Ma perché non devono essere loro a unirsi a noi”, gli ho chiesto.

“Perché sono di più e meglio organizzati”, mi ha risposto.

Poi mi sono allontanato un po’, e l’ho osservato mentre pregava con entusiasmo Allah.

Nello Yemen la rivoluzione è diventata vitale, come l’acqua, come l’aria, non foss’altro perché la gente è stanca di vedere la fotografia dello stesso presidente, da 32 anni. Quante volte abbiamo pensato che svegliandoci  lo avremmo visto occupare metà del nostro letto.

In questo paese i marxisti e gli islamisti non sono mai stati uniti. Questa invece è diventata una comune ricerca di libertà. Per questo la rivoluzione è diventata indispensabile, perché è quello che vuole il popolo.

Non abbiamo tempo per dividerci, La corruzione e i metodi autocratici del nostro presidente, la sua famiglia, i suoi parenti stretti e la sua tribù non ci lasciano spazio per il compromesso. Certo, lui ci ha assicurato che non si ricandiderà e che non candiderà suo figlio, ma insiste per rimanere al potere fino al 2013, per concludere i suoi 35 anni di potere.

Ma la gente non ne può più di schede sulle quali c’è scritto soltanto il suo nome, Ali Abdullah Saleh, e teme che se restasse al potere per altri due anni troverebbe il modo di creare un suo clone per seguitare a conservare il potere.

Gli egiziani non hanno consentito a Mubarak di restare per altri otto mesi, perché noi dovremmo lasciare che Saleh ci governi per altri due anni? Siamo uniti nel desiderio di porre termine alla nostra esclusione dalla vita sociale e politica. Alcuni sognano il Califfo, altri la giustizia sociale. Altri credono che questa rivoluzione sia l’inizio di una nuova unità araba. La maggioranza è convinta che questa sia una fase di passaggio che ci condurrà a elezioni e quindi alla democrazia partecipata. Il conflitto tra vecchie e nuove generazioni certo non finirà adesso che è cominciata la tempesta. E’ una tempesta vitale per il nostro popolo. E il popolo non ha paura, perché sa che il futuro non può essere peggiore del presente.

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