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Evgenija Ginzburg: memorie dal Gulag

Le memorie di Evgenija, arrestata e poi riammessa nel partito comunista Il suo racconto mette in luce la vita quotidiana dentro i campi. Baracche e felicità  questo è l’amore al tempo del Gulag


Le memorie di Evgenija, arrestata e poi riammessa nel partito comunista Il suo racconto mette in luce la vita quotidiana dentro i campi. Baracche e felicità  questo è l’amore al tempo del Gulag


L´amore ai tempi del Gulag è un argomento ancor più crudele e scabroso delle torture e delle umiliazioni subite dai prigionieri. Al punto che raramente compare nelle memorie dei sopravvissuti. Per ritegno, per pudore, forse perché va al di là dell´umanamente sopportabile. Evgenija Ginzburg, arrestata nel 1937 quando aveva meno di trent´anni, liberata, riabilitata, addirittura riammessa nel partito comunista quando aveva ormai superato la cinquantina, è una delle poche eccezioni. Conoscevo l´edizione della prima parte delle sue memorie pubblicata in Occidente negli anni ´60. Ma le oltre 700 pagine del testo integrale di Viaggio nella vertigine (Baldini Castoldi Dalai editore) dicono molto di più di quel che ricordavo di aver già letto.
Sì, c´è tutto l´orrore del Gulag. Quello che leggiamo anche in Salamov e Solzhenytsin. Ci sono le umiliazioni, che sono più insopportabili di qualsiasi maltrattamento: «Forse avrei preferito subire ulteriori sofferenze fisiche rispetto a questo pesante senso di mortificazione e di offesa». Ma ci sono anche cose che gli altri tacevano. Tra le sorprese: questo è un libro pieno di storie d´amore. Di quell´«amore che sbocciava nelle baracche, anche se veniva oltraggiato, profanato, insudiciato da mani luride, ignorato dagli altri, era pur sempre amore…».
Storie dolci e amare, tenere e disperate. Spesso tragiche. A volte persino comiche. Storie semplici, perfino banali. Ma sempre crudelissime. «Lui è un ex attore di Mejerchol´d, lei una ballerina…». A Magadan sono stati inclusi nella cosiddetta “brigata culturale”, un teatrino all´antica che gestisce spettacoli per i dirigenti, che muoiono di noia in quei posti lontani, e permette agli attori-detenuti di rifocillarsi un po´ meglio e di avere la possibilità, con vari pretesti, di passeggiare senza scorta… Si sono incontrati fuori dal lager. Ed è la felicità! Una felicità acuta, forse perché basata sulla consapevolezza della sua fragilità, della sua vulnerabilità. La felicità dura cinque mesi. Poi si scopre che lei è incinta. E per le donne incinte nel lager c´è un itinerario ben preciso: «La “mammina” riceve le scarpe di corda e la divisa da lavoro pesante invece delle scarpette da ballo e del tutù. Il figlio non arriverà a compiere sei mesi, morirà nella casa d´infanzia del lager…».
La “relazione tra un detenuto e una detenuta” nel Gulag è un crimine, punito severamente. Ma molti nell´amore troveranno la forza, spesso l´unico motivo per sopravvivere. Prima dell´imbarco per la Kolyma, alle detenute sopravvissute a mesi di tradotta in carri bestiame viene imposta la doccia, sotto gli occhi della scorta armata. Le donne temono di aver raggiunto il fondo del degrado: «Vuol dire che non ci considerano più esseri umani se ci fanno passare nude davanti a degli uomini». Poi una sussurra alle altre: «No, no, ragazze. Questi soldati vedono in noi delle donne, degli esseri umani. Guardate le loro facce…».
Ai lavori forzati nelle cave di pietra del lager di Jaroslav arriva ad un certo punto un contingente di prigionieri. «Iniziarono subito storie d´amore appassionate. Quegli esseri umani, ormai quasi privi di corpo, venuti a contatto l´uno con l´altro, improvvisamente, come per magia, riacquistarono l´intensità di percezioni smarrita a causa delle smisurate sofferenze patite. Domani li manderanno in direzioni diverse e non si vedranno mai più. Ma oggi si guardano commossi negli occhi attraverso il filo spinato arrugginito, e parlano, parlano… Non ho mai visto un amore più elevato e pieno di abnegazione di quello che unì per un solo giorno quegli sconosciuti…».
C´è anche la riprovazione, lo scandalo. Per “la compravendita di carne umana”: «All´inizio lacrime, paura, turbamenti; poi, indifferenza. E la voce dello stomaco che si faceva sentire sempre più forte, anche più dello stomaco, era la voce di tutto il corpo, di tutti i muscoli… A volte era anche la voce del sesso che si risvegliava, nonostante tutto. Ma soprattutto era l´esempio della vicina di tavolaccio, che ingrassava, cambiava i vestiti, e sostituiva le scarpe di corda, umide e sfasciate, con dei caldi stivali di feltro…». E poi c´è il disgusto. Ma solo per quelle che hanno perso ogni parvenza di umanità, per le “schifose” che si attorniano di “cosiddetti stalloni”, esseri con l´aspetto di ermafrodito, capelli tagliati corti, voci rauche, nomi maschili…», per le delinquenti comuni che non vanno neppure a lavorare, ma «si limitano ad accendere un fuoco, raccogliersi in gruppo e urlare le proprie canzonacce, bevono strani surrogati dell´alcool, fumano una specie di narcotico che non so come riescono a procurarsi», passano le notti in orge attorno ad un calderone «dove cuociono continuamente qualcosa, saltando mezze nude intorno alla stufa». Qualcuno poi la rimprovererà di aver usato cliché omofobici, da sabba delle streghe, per le più sventurate tra le sventurate.
Evgenija era sopravvissuta grazie all´amore. L´amore per i figli abbandonati da piccoli. Ma anche l´amore per Anton, il medico tedesco conosciuto in mezzo al fetore degli arti amputati nell´ospedale dove fa l´infermiera. Quando lei viene liberata, si scopre che il primo marito, Pavel Aksionov, non è morto in prigionia, come le avevano ripetutamente annunciato. Anton le dice: «Ascolta, fai come ti suggerirà la tua coscienza…». Abbiamo le memorie di Evgenija. Non ci sono pervenute quelle del dottor Anton Walter, né quelle di Pavel Aksionov.

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