PRIMO MARZO. Con i migranti e per l’università  pubblica, ecco un «comune politico»

Martedì mattina più di cento donne ed uomini hanno invaso il Centro di identificazione ed espulsione di via Mattei a Bologna. Un posto, o forse, un vero e proprio “non luogo” per “non persone” che negli anni ha cambiato nome, passando da Cpt a Cie.

Martedì mattina più di cento donne ed uomini hanno invaso il Centro di identificazione ed espulsione di via Mattei a Bologna. Un posto, o forse, un vero e proprio “non luogo” per “non persone” che negli anni ha cambiato nome, passando da Cpt a Cie. Uno spazio rimasto un utile strumento di valorizzazione del lavoro migrante come anello finale del perverso tunnel stabilito dalla legge Bossi-Fini che regola l’eccedenza di forza lavoro nel territorio e rappresenta un simbolico e potentissimo ricatto sulla vita dei migranti costretti ad accettare qualunque lavoro e qualunque salario pur di non perdere il permesso di soggiorno vincolato al contratto di lavoro. Uno strumento di capitalizzazione politica perché permette ai mercanti di sicurezza di contrabbandare la sua esistenza come un dispositivo di securizzazione del territorio. Insegnanti volontarie delle scuole di italiano per migranti, cooperanti degli sportelli migranti dei centri sociali, studenti e studentesse di SaDiR, attivisti dei centri sociali hanno superato le recinzioni, il filo spinato e violato il cancello del Cie. Hanno resistito alle manganellate, gratuite ed esse sì violente dispensate da un reparto dell’Esercito italiano, il cui impiego all’interno del Cie di per sé chiarisce quale sia lo statuto della democrazia vigente in esso. Solo questa determinazione ha ottenuto che una loro delegazione entrasse nelle celle detentive, insieme a due consiglieri regionali ed un avvocato. Decine di migranti, cittadine e cittadini della nuova Europa che viene, si sono ribellati alla detenzione illegittima cui sono sottoposti. Potrebbe essere la giusta metafora di una ricomposizione in una comune lotta da una parte all’altra del mare che fu chiamato “nostrum” e che è ora solo “abissus”. All’interno del carcere etnico di via Mattei sono reclusi anche una quarantina di ragazzi tunisini che fuggono dopo la deposizione del tiranno Ben Ali. Insomma, chi viene chiamato eroe dal Tg1 di Minzolini quando insorge in Tunisia diviene, senza soluzione di continuità, clandestino da carcerare appena chiede asilo in Italia.
Il primo marzo in migliaia abbiamo manifestato per i diritti dei migranti in decine di città. La chiusura dei Cie, e la non apertura di nuovi, in Italia e sulle coste africane è un irrinunciabile elemento di programma nella costruzione dell’alternativa politica a Mr.B. Laddove parliamo di Europa, dobbiamo immaginarla come aperta al Mediterraneo, sociale e solidale; laddove parliamo di nuova cittadinanza, dobbiamo partire dall’amicizia concreta verso coloro che esercitano il diritto di scelta (di fuga verso le nostre coste o a restare senza essere annichiliti da povertà e dittatura) cui dobbiamo riconoscere una nuova qualità espressiva e di desiderio; laddove la crisi separa e isola, possiamo costruire un nuovo comune politico. Non è semplice, non è a costo zero, non ci sono percorsi scontati e soprattutto il contesto politico locale e internazionale evolve così rapidamente da imporci la contemporaneità come spazio della trasformazione e a vivere i momenti politici con rapidità e senza ritualità. A me sembra possibile che chiudere i Cie, reclamare l’asilo politico europeo per chi è arrivato o arriverà sulle nostre coste, lottare per il contratto o per un’università comune ed essere indignati e in tumulto contro la crisi della democrazia siano i lati di una stessa medaglia che possiamo reclamare, appunto, come comune politico. Lo sciopero generale sarà un momento importante di verifica su se e come sia possibile la sua generalizzazione tanto dei temi in obbiettivo quanto delle forme di conflitto, ma anche per provare a federare virtuosamente le differenze in lotta e in movimento. Proviamoci.
* Uniti contro la crisi

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