Oggi nella città altoatesina un convegno su Josef Mayr-Nusser, un 35enne che, reclutato con la forza, osò rifiutare il giuramento per le SS. «Se nessuno avrà mai il coraggio di dire no a Hitler, il nazionalsocialismo non finirà mai». Accusato di «disfattismo», fu inviato nel lager di Dachau. Dove arrivò morto
Oggi nella città altoatesina un convegno su Josef Mayr-Nusser, un 35enne che, reclutato con la forza, osò rifiutare il giuramento per le SS. «Se nessuno avrà mai il coraggio di dire no a Hitler, il nazionalsocialismo non finirà mai». Accusato di «disfattismo», fu inviato nel lager di Dachau. Dove arrivò morto
Quando si svegliano, all’alba del 24 febbraio 1945, i 40 prigionieri stipati in uno dei vagoni piombati del treno partito qualche giorno prima da Buchenwald si accorgono subito che uno dei loro compagni non ce l’ha fatta ed è morto prima di arrivare nell’inferno di Dachau, il lager dove erano destinati. È Josef Mayr-Nusser, 35enne altoatesino, disobbediente ad Hitler, che aveva rifiutato il giuramento alle SS, dove era stato arruolato a forza: «No maresciallo – aveva risposto al suo superiore nel centro reclute di Konitz, in Prussia occidentale – io non posso giurare ad Hitler in nome di Dio». Wehrmachtszersetzung, «disfattismo», la sua colpa; il lager, la condanna, che affronta senza ripensamenti – che pure gli sarebbero stati possibili – perché, sosteneva, «se nessuno avrà mai il coraggio di dire no ad Hitler, il nazionalsocialismo non finirà mai».
A Josef Mayr-Nusser – per anni dimenticato dalla storiografia e dalla Chiesa – nell’anniversario della sua morte, il Centro pace del Comune di Bolzano dedica un convegno («Noi non taceremo. Nonviolenza e totalitarismo»), oggi, a cui partecipa, fra gli altri, Hildegadr Goss Mayr, presidente onorario della International Fellowship of Reconciliation, cioè il Mir, Movimento internazionale della riconciliazione. «”Noi non taceremo, noi siamo la voce della vostra cattiva coscienza. La Rosa Bianca non vi darà pace”. Terminava così il quarto volantino del gruppo di studenti antinazisti bavaresi della Rosa Bianca, condannati a morte da Hitler», spiega Francesco Comina, coordinatore del Centro pace e autore di una biografia di Mayr Nusser (Non giuro a Hitler, San Paolo edizioni). «C’è un’ostinata voglia di gridare, di dire forte no alla violenza, alla brutalità della dittatura, alla banalità del male, che collega i testimoni dell’antinazismo e più in generale i testimoni della pace e dei diritti umani. Il convegno vuole sottolineare il coraggio e la determinazione che hanno spinto questi uomini e queste donne a rompere il silenzio del terrore, dell’oppressione, dell’obbedienza, per denunciare la follia genocidaria, la violenza, l’oppressione».
Non è un eroe, né vorrebbe esserlo, Mayr Nusser. «Non faceva parte di alte gerarchie politiche o ecclesiastiche, era un semplice impiegato e padre di famiglia, sarebbe potuto rimanere nell’anonimato e salvarsi l’anima cercando, per quanto possibile, di non farsi coinvolgere troppo direttamente nelle atrocità che le SS compivano ovunque passassero», ricorda il figlio Albert, che aveva poco più di un anno quando il padre morì. Ma è un giovane, un giovane cattolico che prende sul serio il Vangelo e sceglie di obbedire alla sua coscienza, fino alla fine, perché «era convinto che fosse suo dovere manifestare apertamente il dissenso», dice ancora Albert Mayr.
Dissenso ad Hitler e anche al nazionalismo sia fascista che nazista, che Mayr Nusser esprime pubblicamente già 5 anni prima, quando gli altoatesini vengono costretti a scegliere se stare con l’Impero di Mussolini o con il Reich del führer. Il 23 giugno 1939, alla vigilia dell’invasione della Polonia e dell’inizio della guerra, fascisti e nazisti decidono la sorte dei sudtirolesi italiani che, entro la fine dell’anno, dovranno scegliere se trasferirsi nel Reich e conservare la cittadinanza tedesca oppure rimanere nelle proprie terre ed essere assimilati alla cultura e alla lingua italiane, che venivano imposte a marce forzate. Mayr Nusser, che frattanto era stato eletto presidente dell’Azione cattolica di Trento e non faceva mistero della sua avversione ad entrambi i totalitarismi – criticando duramente i silenzi e le omissioni della Chiesa e di molti cattolici – e al binomio «sangue e suolo», rifiuta di decidere. È un dableiber, un «non optante», e si trova fra due fuochi: da una parte i sudtirolesi di lingua tedesca che non vogliono l’assimilazione forzata all’Italia e il Partito nazista sudtirolese (Vks) che sogna la “Grande Germania” di Hitler, dall’altra i fascisti che vogliono italianizzare tutto l’Alto Adige. Mayr Nusser rifiuta di scegliere, perché non si può decidere se abbracciare Mussolini o Hitler, e inizia l’attività con la Lega Andreas Hofer, un’associazione clandestina antifascista e antinazista che fa propaganda e informazione nei confronti delle ragioni dell’opzione. Resistenza nonviolenta ai totalitarismi che, spiega Piero Stefani, relatore al convegno e direttore scientifico della Fondazione del Museo nazionale dell’ebraismo italiano e della Shoah, «deve essere consapevole dell’influsso pervasivo esercitato sulle persone dal contesto violento in cui si trovano, deve cercare di contrastarlo attraverso il primato attribuito, in sé e negli altri, alla dignità della persona, deve riconoscere che i suoi avversari sono uomini e non mostri, deve essere disposta a pagare il prezzo più alto per la scelta di manifestare pubblicamente i propri convincimenti perché, parafrasando un detto antico, chi salva la dignità umana, a partire da se stesso, è come se salvasse il mondo intero».
Con l’armistizio, l’8 settembre del 1943, le truppe tedesche invadono l’Italia e l’Alto Adige viene occupato. Nell’agosto del 1944 Mayr Nusser riceve la cartolina di precetto, obbligato ad arruolarsi nelle SS ed inviato in Prussia per l’addestramento, dove avrebbe dovuto giurare ad Hitler, secondo la formula prevista per le SS: «Giuro a te, Adolf Hitler, führer e cancelliere del Reich, fedeltà e coraggio. Prometto solennemente a te e ai superiori designati da te fedeltà fino alla morte. Che Dio mi assista». «Giurare a un dittatore in nome di Dio?», si chiede Mayr Nusser. «Giurare per odiare, per conquistare, per sottomettere, per insanguinare la terra? Giurare per rinnegare la propria coscienza, giurare e piegarsi ad un culto demoniaco, il culto dei capi, innalzati a idoli di una religione sterminatrice?». Quindi la decisione, il 4 ottobre: «Signor maresciallo, io non posso giurare ad Hitler, perché sono cristiano e la mia fede e la mia coscienza non me lo consentono».
Subito arrestato, rinchiuso in una cella di un manicomio dismesso, poi condotto in carcere a Danzica e, a gennaio, condannato per disfattismo. «Amatissima Hildegard, sono convinto che il nostro amore reggerà anche alla dura prova rappresentata dal passo impostomi dalla mia coscienza», scrive alla moglie, poco prima di essere messo su un treno, ai primi di febbraio, insieme ad altri 40 obiettori, diretto a Dachau. Breve sosta a Buchenwald per risolvere alcuni problemi burocratici, poi di nuovo in marcia verso sud, premuti nei vagoni piombati. Ad Erlangen, il 20 febbraio, il treno si ferma di nuovo: la linea ferroviaria è stata bombardata e non si può più andare avanti. Mayr Nusser sta male, ha la febbre, la dissenteria lo sta uccidendo. Lo portano in ospedale, a tre ore di cammino, ma il medico nazista che lo visita lo rimanda indietro: «Niente di grave, può riprendere il viaggio». Torna sul treno e, durante la notte, muore. «Broncopolmonite», dirà il telegramma che oltre un mese dopo, il 5 aprile, arriverà ad Hildegard, per comunicarle con asettico linguaggio burocratico la morte del marito. Sepolto in Germania, il suo corpo tornerà a Bolzano, e poi nella chiesetta di Stella sul Renon, solo nel 1958.
La diocesi di Bolzano-Bressanone, dopo decenni di oblio, lo vorrebbe santo. Tre anni fa è stato chiuso il processo diocesano e ora tutti gli atti sono in Vaticano, dove però tergiversano: troppo pericoloso, forse, additare come esempio un obiettore di coscienza, per di più antifascista. Non si vuole riconoscere il «martirio» di Mayr Nusser perché la morte è avvenuta sul treno, per cause naturali, come se il viaggio nel vagone piombato verso Dachau fosse stato un viaggio di piacere liberamente scelto. «Fatico a capire queste motivazioni», spiega don Josef Innerhofer, postulatore della causa di beatificazione. «Mayr Nusser è un martire per la fede, perché lui ha detto no ad Hitler ispirato dalla sua coscienza cristiana». Un’interpretazione religiosa, che tende a depotenziare il valore di opposizione politica al nazismo, però non condivisa da tutti, per esempio dallo storico altoatesino Leopold Steurer, che la ritiene riduttiva. «Mayr Nusser era profondamente cristiano, ma la sua scelta è fatta anche di coraggio civile e ha un valore di testimonianza pubblica». «Le motivazioni di fondo di mio padre erano di carattere religioso, però le conseguenze e le implicazioni delle sue obiezioni non sono state personali ma inevitabilmente sociali e politiche», aggiunge Albert Mayr, che sottolinea anche un altro aspetto, di stringente attualità: l’informazione. «Mio padre cercava, nonostante le difficoltà del tempo, di informarsi, di capire e di sapere cosa erano e cosa stavano facendo il fascismo e il nazismo, oltre la propaganda di regime. L’informazione, e l’informazione critica, è fondamentale per poter scegliere liberamente e secondo coscienza, anche oggi».
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