Voci dal Risorgimento fuori da ogni retorica

STORIA Una densa antologia curata da Alberto Mario Banti

STORIA Una densa antologia curata da Alberto Mario Banti

Curato da Alberto Mario Banti con la preziosa collaborazione di Pietro Finelli, Gian Luca Fruci, Alessio Petrizzo e Angelica Zazzeri, Nel nome dell’Italia. Il Risorgimento nelle testimonianze, nei documenti e nelle immagini suscita interesse sin dall’Introduzione, che per la verve polemica dell’autore è stata – ingiustamente – l’oggetto unico delle recensioni apparse sui quotidiani. Per spiegare l’indispettito clamore suscitato, è opportuno ricordare che la forzatura di Banti nel sottolineare, in apertura, l’assoluta alterità del Risorgimento, pare avere come obbiettivo polemico il tentativo di farne, oggi, il mito fondatore della Nazione. Se in maniera acritica anche molta della sinistra sinistrata ha accettato senza colpo ferire la messa al bando della Resistenza spostando il proprio interesse sul Risorgimento, l’autore teme che questa nouvelle vague venga recepita unicamente sulla base delle proposte avanzate da una riabilitazione attenta ad aspetti retorici assai poco promettenti (anche, secondo Banti, nella versione «ciampiana»).
Si potrebbe obiettare che il Risorgimento per cui ci si può ancora «schierare» non debba essere necessariamente quello che – nell’interpretazione dell’autore della Nazione del Risorgimento (Einaudi 2000) – ha permesso di portare a compimento l’Unità. Gli elementi «deteriori» di cui Banti sottolinea la centralità e l’efficacia simbolica nel discorso del Risorgimento – il virilismo, la visione elitaria della cittadinanza politica, un’idea di nazione fondata sulla comunità di «sangue» e così via – non dovrebbero infatti far dimenticare quegli elementi che, messi adeguatamente in prospettiva storica, possono essere ancor oggi punti di riferimento ideali. In altre parole, non si può dimenticare che il lungo Risorgimento (dunque a partire dal Triennio repubblicano) portò, tra le altre cose, a una prima emancipazione degli ebrei, espresse le prime forme di partecipazione allargata (pur se limitatamente ai ceti popolari urbani e alle donne), cominciò a ragionare di socialismo (Pisacane), e propose pensatori che, forse «minoritari» e sconfitti, tentarono di entrare in sintonia con il pensiero europeo più avanzato, con particolare riguardo alla cultura scientifica (basti ricordare Cattaneo).
Di certo è opportuno trovare ragioni altre per – eventualmente – «prendere le parti» del Risorgimento, uscendo dalle secche dell’ambigua retorica patriottarda. Se la difesa dello Stato unitario – come dice giustamente Banti, «dovrebbe essere innervata di altri valori e di altri argomenti», è il caso di ricordare che In nome dell’Italia offre più di uno spunto (basti pensare alla galleria di figure femminili le cui parole, collocate nel contesto in cui vennero prodotte e circolarono, mantengono intatto valore d’esempio). Insomma il Risorgimento, al netto di una retorica che può non appartenerci più anche se fu, allora, una delle chiavi di volta per renderlo relativamente «popolare», resta pur sempre abitato da figure che possono continuare a parlarci, anche perché nell’Italia unita parlarono a generazioni che da radicali e repubblicane diventarono in seguito anarchiche, in altri casi socialiste, in altri suffragiste e via dicendo.
Per quanto riguarda le linee guida dell’antologia, Banti precisa che «la scelta delle fonti ha cercato di trasmettere anche l’immagine di un Risorgimento fatto da molti uomini e da molte donne, non necessariamente tutti e tutte di primo piano, non necessariamente tutti e tutte autorevoli e potenti, ma capaci, con la loro partecipazione, di fare del Risorgimento un movimento ampio, ricco, contraddittorio, e – a parere di chi ha lavorato alla partecipazione di questa antologia – ancora oggi straordinariamente affascinante e degno di essere attentamente studiato, piuttosto che acriticamente giudicato, enfaticamente esaltato o liquidato senza appello».
Ciascuna delle sei sezioni in cui si articola l’antologia, e che coprono un arco cronologico tra il 1796 e i primi due decenni post-unitari, è preceduta da una breve introduzione nella quale i collaboratori del volume forniscono un quadro entro cui collocare la documentazione prodotta, a sua volta presentata pezzo per pezzo, per suggerire le coordinate interpretative che devono fungere da guida nella lettura dei testi o delle immagini (poco più di una trentina). E questi brani introduttivi, così come gli interludi tra documento e documento, hanno il non comune pregio della chiarezza coniugata con profondità concettuale.
Catechismi rivoluzionari, proclami, testi letterari, memorie (anche di un copetaro, ovvero un venditore di torrone, sull’insurrezione napoletana del 1821), diari, cronache, carteggi. Ma anche costituzioni (lo Statuto albertino e la costituzione della Repubblica romana del 1849). Il lungo Quarantotto e la parola liberata. Il giornalismo politico quale strumento di lotta e propaganda, capace di adeguare il linguaggio alle necessità di una parola che deve essere mobilitante e rapida al tempo stesso. Comizi, dimostrazioni e feste pubbliche. Il contrastato «accesso femminile alla sfera pubblica» nelle sue diverse forme. L’internazionalizzazione del Risorgimento e il ruolo degli esuli. I dignitosi lamenti provenienti dalle carceri borboniche, la crescente popolarità dei leader politici (a cominciare da Garibaldi e Mazzini) con l’ausilio di nuovi mezzi tecnologici, principalmente la fotografia in formato carte-de-visite. Il sacramento dell’unità nazionale con i plebisciti del 1860. E poi l’Italia postunitaria, con le tensioni che attraversarono da subito il nuovo Regno: il brigantaggio nel Mezzogiorno continentale, la rottura con la Santa Sede prima e dopo Porta Pia, ma anche la lacerazione prodottasi sull’Aspromonte e a Mentana, e, ancora, dopo Custoza e Lissa, la voce allarmata di Pasquale Villari a denunciare «il quadrilatero di 17 milioni di analfabeti e 5 milioni di arcadi». È impossibile sintetizzare la ricchezza della scelta antologica, ma va detto che sarebbe riduttivo definire questa raccolta solo un’antologia. C’è stato un sapiente lavoro di scavo – operato su documentazione già edita, escludendo le fonti d’archivio – sulla base di criteri che rispondono in larga misura all’impostazione del Risorgimento fatta propria da Banti ma che tuttavia non si esauriscono in quella.
In altre parole, grazie a un’attenzione particolare sul tema delle modalità di diffusione dei testi e della loro ricezione, viene portata molta acqua al mulino della visione bantiana del Risorgimento come figlio della temperie romantica (mi si perdoni la semplificazione estrema), ma lo si fa con la piena consapevolezza della complessità del fenomeno (basti ricordare come il «machismo» virilista del discorso della Nazione non impedisca un significativo allargamento della partecipazione politica femminile). Insomma, integrando qua e là le voci dissonanti, ricordando e lasciando parlare i conflitti e le contraddizioni e non solo le istanze olistiche, emerge un quadro ricco di sfumature. In breve, in un campo di studi ancora da dissodare – e che non inficia la legittimità di approcci diversi e quantomeno complementari (la storia sociale della cultura, ad esempio), il volume rappresenta un importante passo avanti nella conoscenza della nostra storia del lungo Risorgimento.

LIBRI: NEL NOME DELL’ITALIA, A CURA DI ALBERTO M. BANTI, LATERZA, PP. XVII-424, E. 24

0 comments

Leave a Reply

Time limit is exhausted. Please reload CAPTCHA.

Sign In

Reset Your Password