«Lavoro, istruzione, solidarietà : rilanciamo le idee della Resistenza»

Hessel, la forza dell’indignazione

93 anni. È un poà l’ultima tappa. La fine non è più molto lontana. Che fortuna poterne approfittare per ricordare ciò che ha fatto da fondamento al mio impegno politico: gli anni di Resistenza e il programma elaborato sessantasei anni fa dal Consiglio Nazionale della Resistenza!

Hessel, la forza dell’indignazione

93 anni. È un poà l’ultima tappa. La fine non è più molto lontana. Che fortuna poterne approfittare per ricordare ciò che ha fatto da fondamento al mio impegno politico: gli anni di Resistenza e il programma elaborato sessantasei anni fa dal Consiglio Nazionale della Resistenza! Nell’ambito del Consiglio, e per merito di Jean Moulin, tutte le componenti della Francia occupata— i movimenti, i partiti, i sindacati— si sono riunite per proclamare la loro adesione alla Francia combattente e all’unico capo che essa riconosceva: il generale De Gaulle. Da Londra, dove nel marzo del 1941 avevo raggiunto il generale, apprendevo che questo Consiglio aveva messo a punto un programma, adottato il 15 marzo 1944, che proponeva alla Francia liberata un insieme di princìpi e valori sui quali fondare la democrazia moderna del nostro Paese. di quei princìpi e di quei valori, oggi abbiamo più che mai bisogno. Spetta a noi, tutti insieme, vigilare perché la nostra società sia una società di cui andare fieri. Non questa società dei sans papiers, delle espulsioni, del sospetto nei confronti degli immigrati, non questa società che rimette in discussione le pensioni e le conquiste della Sécurité sociale (lo Stato sociale), non questa società in cui i media sono monopolio dei ricchi: tutte cose che, se davvero fossimo stati gli eredi del Consiglio Nazionale della Resistenza, ci saremmo rifiutati di avallare. A partire dal 1945, dopo una spaventosa tragedia, le forze in seno al Consiglio della Resistenza si votano a un’ambiziosa risurrezione. È allora, rammentiamolo, che nasce la Sécurité sociale così come la Resistenza l’auspicava, come il suo programma prevedeva: «Un progetto completo di Sécurité sociale, volto ad assicurare mezzi di sostentamento a tutti i cittadini, qualora fossero inabili a procurarseli con il lavoro» ; «una pensione che consenta ai lavoratori anziani di avere una vecchiaia dignitosa» . Le fonti di energia, l’elettricità e il gas, le miniere di carbone, le grandi banche vengono statalizzate. Come indicava il programma, «il ritorno alla nazione dei grandi mezzi di produzione monopolizzati — frutto del lavoro collettivo —, delle fonti di energia, delle ricchezze del sottosuolo, delle compagnie d’assicurazione e delle grandi banche» ; «l’insediamento di una vera e propria democrazia economica e sociale, che comporti l’evizione dei grandi gruppi di potere economico e finanziario dal controllo dell’economia» . L’interesse generale deve prevalere sull’interesse particolare, l’equa distribuzione delle ricchezze prodotte dal mondo del lavoro deve prevalere sul potere del denaro. La Resistenza propone «un’organizzazione razionale dell’economia che garantisca la subordinazione degli interessi particolari all’interesse generale e sia affrancata dalla dittatura professionale fondata sull’esempio degli Stati fascisti» , e il governo provvisorio della Repubblica se ne fa carico. Una vera democrazia ha bisogno di una stampa indipendente; la Resistenza lo sa, lo esige, difendendo «la libertà della stampa, il suo onore e la sua indipendenza rispetto allo Stato, al potere del denaro e alle influenze estere» . È ciò che ribadiscono le ordinanze sulla stampa, fin dal 1944. Ed è questo che oggi è in pericolo. La Resistenza chiedeva la «possibilità effettiva per tutti i ragazzi francesi di beneficiare dell’istruzione più progredita» , senza discriminazioni; mentre le riforme proposte nel 2008 vanno contro questo progetto. Alcuni giovani insegnanti, dei quali sostengo l’azione, sono arrivati a rifiutare di applicarle e si sono visti decurtare lo stipendio come punizione. Si sono indignati, hanno «disubbidito» , giudicando tali riforme troppo lontane dall’ideale della scuola repubblicana, troppo al servizio di una società del denaro e troppo poco attente allo sviluppo della creatività e dello spirito critico. È il complesso dei fondamenti delle conquiste sociali della Resistenza che viene rimesso in discussione oggi. ***Hanno il coraggio di raccontarci che lo Stato non è più in grado di sostenere i costi di queste misure per i cittadini. Ma com’è possibile che oggi manchi il denaro necessario a salvaguardare e garantire nel tempo tali conquiste, quando dalla Liberazione, periodo che ha visto l’Europa in ginocchio, la produzione di ricchezza è considerevolmente aumentata? Forse perché il potere dei soldi, tanto combattuto dalla Resistenza, non è mai stato così grande, arrogante, egoista con i suoi stessi servitori, fin nelle più alte sfere dello Stato. Le banche, ormai privatizzate, dimostrano di preoccuparsi anzitutto dei loro dividendi e degli stipendi vertiginosi dei loro dirigenti, non certo dell’interesse generale. Il divario tra i più poveri e i più ricchi non è mai stato così significativo; e mai la corsa al denaro, la competizione, erano state a tal punto incoraggiate. Il motore della Resistenza era l’indignazione. Noi veterani dei movimenti di resistenza e delle forze combattenti della Francia libera, ci appelliamo alle nuove generazioni perché mantengano in vita e tramandino l’eredità e gli ideali della Resistenza. Diciamo loro: ora tocca a voi, indignatevi! I responsabili politici, economici, intellettuali e la società non devono abdicare, né lasciarsi intimidire dalla dittatura dei mercati finanziari che minaccia la pace e la ricchezza. Il mio augurio a tutti voi, a ciascuno di voi, è che abbiate un motivo per indignarvi. È fondamentale. Quando qualcosa ci indigna come a me ha indignato il nazismo, allora diventiamo militanti, forti e impegnati. Abbracciamo un’evoluzione storica e il grande corso della storia continua grazie a ciascuno di noi. Ed è un corso orientato verso una maggiore giustizia, una maggiore libertà, ma non la libertà incontrollata della volpe nel pollaio. Questi diritti, promulgati nella Dichiarazione nel 1948, sono universali. Se incontrate qualcuno che non ne beneficia abbiatene pietà, aiutatelo a conquistarli.

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Hessel. L’ultranovantenne che umilia il marketing
di Stefano Montefiori

PARIGI— Indignez vous! è arrivato in poche librerie francesi lo scorso 20 ottobre, duemila copie stampate dalla piccola Indigène editions di Montpellier. «L’editrice Sylvie Crossman ha raccolto le mie idee e le mie parole, convincendomi a pubblicarle in un libriccino» , raccontava umile al «Corriere» , qualche giorno dopo, Stéphane Hessel. Quelle 30 paginette nel frattempo sono state ristampate undici volte, vendute in un milione di copie e oggi in Francia spuntano ovunque, dalle edicole ai megastore, in posizione strategica vicino alle casse. Indignatevi! è diventato un caso internazionale, con imminenti traduzioni dal galiziano all’estone, dall’ebraico al russo (probabile prefazione di Mikhail Khodorkovskij). Nella storia dell’editoria pochi successi si sono fondati così poco— cioè zero — sulla potenza del marketing. Merito soprattutto della figura di Stéphane Hessel, straordinario 93enne che ha vissuto tante vite in una. Nato a Berlino da padre ebreo, francese di adozione (i suoi genitori furono immortalati da Truffaut in Jules e Jim), combattente nella Resistenza francese, torturato dai nazisti e poi scampato al lager di Buchenwald, fu tra i redattori della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, prima di intraprendere una grande carriera di diplomatico. Il suo attuale impegno pro-palestinese gli vale accuse di antisemitismo e «indignazione a senso unico» , l’École Normale Supérieure di Parigi ha cancellato un suo dibattito su Gaza. Con il diffondersi della «moda Hessel» aumentano le voci critiche, come quella del grande psichiatra Boris Cyrulnik: «Ho molta tenerezza e ammirazione per Stéphane Hessel, però mi indigno che ci chieda di indignarci perché l’indignazione è il primo passo della militanza cieca. Bisogna chiederci di ragionare, e non di indignarci» . Ma Hessel, mite e testardo, insiste.

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