Non solo Marghera, anche Roma è stata teatro, sabato scorso, di uno stimolante incontro di riflessione sul tema «Dopo Pomigliano: una proposta per una società ed un economia solidale», promosso dal Circolo Amici del manifesto e presieduto da Enzo Scandurra, che ha sottolineato il bisogno di uscire dal senso di impotenza legato al modo di vedere le cose presentate dal linguaggio dominante anche nella sinistra italiana, quella che aderisce alla «realtà della globalizzazione».
Non solo Marghera, anche Roma è stata teatro, sabato scorso, di uno stimolante incontro di riflessione sul tema «Dopo Pomigliano: una proposta per una società ed un economia solidale», promosso dal Circolo Amici del manifesto e presieduto da Enzo Scandurra, che ha sottolineato il bisogno di uscire dal senso di impotenza legato al modo di vedere le cose presentate dal linguaggio dominante anche nella sinistra italiana, quella che aderisce alla «realtà della globalizzazione».
Occorre rovesciare quel paradigma paralizzante che non lascia spazio ad un pensiero critico, autonomo e che ci presenta le scelte fatte come uniche possibili, bisogna uscire dunque dal linguaggio-rimozione (orwelliano) che, vorrei aggiungere, trova espressione anche nel termine «alternativlos» («senza alternative»), appena eletto «termine dell’anno 2010» del linguaggio politico in Germania, caro anche alla cancelliera Merkel.
Per ben sette ore quasi un centinaio di persone ha ascoltato attentamente, nell’aula del Chiostro della Facoltà di Ingegneria, dapprima la ricca e articolata relazione-base di Bruno Amoroso del Centro Studi Federico Caffè e poi i circa 20 interventi del pubblico su svariati aspetti della pressante tematica. Punto di partenza era il documento del circolo romano: «Una proposta per ripartire».
Non da zero, ampliando la prospettiva dalla tematica Fiat alla necessità di un innovazione della democrazia «imperniata sul decentramento», che non confonde, per dirla con Federico Caffè, «l’ombra della partecipazione con la realtà del potere».
Amoroso ha ricostruito le origini del problema, ovvero quella «deindustrializzazione in occidente secondo strategie globali» che risale alla «fine del fordismo che ha riorganizzato i sistemi produttivi dominanti, bloccando la crescita delle economie ‘altre’ e marginalizzando i loro mercati».
Tutte le cosidette riforme che ne sono seguite (del welfare/privatizzazione, dell’istruzione e della ricerca e del mondo del lavoro) provengono appunto da quelle decisioni, che si mostrano «inconciliabili con la particolare struttura della società italiana, le cui strutture economiche e della società civile non si sono omologate ai principi di una imposta riforma liberale dello Stato e dell’economia. Da questa sconnessione, interpretata come un vizio della società italiana, ma che in effetti è la sua particolarità ed originalità proprio per la capacità di resistenza delle sue comunità all’omologazione al mercato capitalistico ed allo Stato liberale, nasce il bisogno di muoversi con forza su linee di trasformazione ben più radicali, ma diverse: un welfare ed economie di comunità sottratti al dualismo stato-mercato tipica dei paesi dell’Europa centro nord; sistemi di formazione e ricerca radicati nei bisogni dei territori e dei saperi locali e non subordinati ai bisogni di società ed economie a noi aliene; sistemi di relazioni industriali che spingono verso la ricomposizione a livello comunitario e nazionale degli interessi frammentati prodotti da sistemi corporativi e di interessi contrapposti».
È dagli anni Ottanta che si sono messi in moto processi di riorganizzazione economica e sociale per contrastare questo stato di cose in molti paesi, che si trovano oggi di fronte ad una grande sfida di cui danno conto diversi contributi teorici recenti, quali “L’economia sociale” (Federico Caffè), “L’economia civile” (S. Zamagni), “L’economia associativa” (F. Archibugi) o “L’economia del Bene comune” (R. Petrella e B. Amoroso), per citare solo alcuni. Anche in Italia occorre uscire dai confini di nicchia nei quali queste tendenze sono finora state relegate come sussidiarie e pensare un nuovo patto sociale nella prospettiva di quella società del benessere costruita non più sull’obbiettivo della crescita economica ma sulla solidarietà.
Da questa premessa Amoroso ha avanzato una serie di proposte concrete riguardanti Lavoro/Territorio, Saperi/Formazione e Reddito sociale, che hanno trovato integrazione, proposte concrete e ulteriori domande negli interventi che si sono succeduti nel corso della giornata.
Che hanno riguardato argomenti come la ricostruzione del rapporto tra cultura-natura-sistemi produttivi, l’Università dello sviluppo sostenibile, la ri-territorializzazione, la mobilità futura, la prospettiva della democrazia in un paradigma capitalistico all’esaurimento, nel quale predomina la rendita nelle sue varie tipologie, da quella fondiaria a quella criminale e dove il lavoro viene distrutto e non resta altro che appellarsi infine a forme di reddito di cittadinanza incondizionato.
È stata proposta infine tutta una serie di obiettivi pratici per la creazione di nuovi posti di lavoro, per un consumo più consapevole, un maggiore controllo del territorio, ma soprattutto per approfondire un dibattito che guardi oltre questo capitalismo. Chi fosse interessato a seguire la riflessione comune già in atto nel Circolo del manifesto, che si incontra ogni 15 giorni a Roma, si può rivolgere a idicerbo@libero.it.
I materiali del convegno sono disponibili su http://www.ilmanifesto.it/archivi/circoli/roma/
0 comments