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Quando c’era il Pci. Livorno 1921 la prima rivoluzione

Novant’anni fa con lo strappo drammatico dai socialisti, nacque il Partito comunista italiano. Dopo settant’anni esatti, quell’esperienza si chiuse. Mentre una mostra dell’Istituto Gramsci celebra l’anniversario, ecco la cronaca dei due congressi che travolsero la sinistra. Volano accuse di ogni tipo “Pagnottisti”, “stipendiati”, urla la platea all’indirizzo dei sindacalisti “Voi ricevete i rubli”, è la risposta 

Novant’anni fa con lo strappo drammatico dai socialisti, nacque il Partito comunista italiano. Dopo settant’anni esatti, quell’esperienza si chiuse. Mentre una mostra dell’Istituto Gramsci celebra l’anniversario, ecco la cronaca dei due congressi che travolsero la sinistra. Volano accuse di ogni tipo “Pagnottisti”, “stipendiati”, urla la platea all’indirizzo dei sindacalisti “Voi ricevete i rubli”, è la risposta 

Livorno, 15 gennaio 1921, teatro Goldoni. La destinazione del XVII Congresso del Partito socialista è un ripiego: Firenze, destinata in origine a ospitarlo, è a serio rischio di assalti fascisti. Una foto di Carlo Marx invade il fondo del palcoscenico. Fiori e piante adornano platea e palchi. Millecinquecento soldati e duemila fra guardie regie e carabinieri proteggono (o sorvegliano?) i tremila delegati. «In città l´animazione è grandissima», scrive il Corriere della sera. «I comunisti “puri” non hanno ancora designato i loro candidati, ma saranno l´avv. Terracini, relatore, l´on. Bombacci, l´ing. Bordiga e il prof. Gramsci, direttore dell´Ordine nuovo».
L´esito del congresso appare segnato: scissione. Non a caso il quotidiano milanese ha citato per prima, tra le frazioni convenute a Livorno, quella comunista “pura”. È questa a richiamare l´attenzione. L´ingegnere Amadeo Bordiga, un napoletano di trentadue anni, direttore della rivista Il Soviet, animato da una «logica rigorosa fino all´eccesso» – così lo descriverà Togliatti – ha già riscosso il consenso dell´intera sua corrente.
A partire dal gruppo torinese capeggiato da Gramsci, che assai più tardi entrerà con Bordiga in un cruciale antagonismo: per il momento è chiaro che, se si vuol dare vita al partito comunista, occorre accettare le direttive bordighiane. Ed esse ammettono solo «il dilemma fra la dittatura borghese e quella dittatura del proletariato» che vige nella «gloriosa Russia dei Soviet». In mezzo a quel bivio, niente.
L´intransigenza di Bordiga riscuote l´appoggio di Gregorij Zinoviev in nome della Terza Internazionale, detta Komintern, il cui bollettino riferisce: i comunisti italiani «affermano di avere con sé il 75-90 per cento del partito». Scissione, dunque, subito. Lo stesso Gramsci ha formulato un roseo paragone: trentamila comunisti sono bastati in Russia per fare la rivoluzione, da noi i numeri paiono assai più favorevoli. Terracini, il relatore, è d´accordo. In realtà, ecco il rapporto fra le correnti che uscirà dal Goldoni: ai massimalisti o “centristi”, raccolti intorno a Serrati, vanno novantottomila voti, a cinquantottomila ammontano i comunisti di Bordiga e quattordicimila sono i riformisti al seguito di Turati. Ma ormai è deciso: il Partito comunista italiano va creato in ogni modo.
Netta anche la scelta dei militanti della nuova generazione. La proclama dalla tribuna Secondino Tranquilli (si chiamerà poi Ignazio Silone): «La gioventù socialista chiede ai rappresentanti comunisti di bruciare qui il fantoccio dell´unità».
La scena madre più veemente trova l´interprete nell´anziano Turati. Durissimo verso i comunisti, egli prende a parlare fra grida di «Viva la Russia!» e conclude con la platea in piedi. Christo Kabakciev, delegato del Komintern, invoca, all´opposto, l´espulsione dei riformisti. Volano accuse di ogni tipo. «Pagnottisti», «stipendiati», urlano i comunisti all´indirizzo dei sindacalisti. «Voi ricevete i rubli», è la risposta. Definito «rivoluzionario da temperino» da uno dei presenti, Nicola Bombacci estrae una pistola: a fatica lo calmano Bordiga e Terracini. «Non per nulla», commenterà il Corriere della sera, «i congressi si tengono nei teatri».
Gramsci non parla. «Non esistevano altoparlanti per voci deboli come la sua», testimonierà Alfonso Leonetti. Ma Camilla Ravera riferisce che per l´amico Antonio quei giorni sono stati un supplizio: i riformisti gli hanno rivolto troppe «ingiuste parole» fra le quali, si saprà, l´assurda accusa di essere stato «un ardito di guerra» nel 1915-18. Freddo e sprezzante si mostra Bordiga. Il suo «non è un addio, è un ripudio». È lui che, la mattina del 21 gennaio, invita coloro che hanno votato la mozione comunista ad abbandonare la sala. «Sono convocati alle 11 al teatro San Marco per deliberare la costituzione del Partito comunista», appunto. Uscendo, i “convocati” cantano l´Internazionale. Gli risponde, da dentro, l´Inno dei Lavoratori.
Il San Marco è più un relitto che un teatro. Lo illumina qualche rara lampada. Non c´è una sedia. Si gela. Dal tetto piombano scrosci di pioggia. Le relazioni sono succinte. Scheletrici gli interventi. Alla fine il capo delegato della III Internazionale osserva: «Il taglio del partito è avvenuto in modo non soddisfacente». Gramsci si sfoga: è il «trionfo della reazione». Da lontano, anche Lenin parla di «successo della reazione capitalistica», in linea con gli attacchi che ha già mossi a Bordiga nell´Estremismo, malattia infantile del comunismo. Mussolini esprime la sua esultanza in due articoli sul Popolo d´Italia, 16 e 22 gennaio. «La rivoluzione», scrive, «resta sospesa per l´assenza degli attori». «Invece della rivoluzione», insiste, «la scissione. Il partito che doveva regalare il paradiso al proletariato si spezza».
Alla lacerazione congressuale tiene dietro il riflusso, proprio mentre s´aggrava l´attacco dei fascisti alle sedi operaie. Ma neppure gli eventi dell´ottobre ´22, apriranno gli occhi a chi dirige il neonato P.c.d´I (Partito comunista d´Italia). Bordiga archivierà la marcia su Roma come la normale soluzione d´una crisi di governo o al massimo come la «legalizzazione d´uno stato di fatto». Verranno respinti gli inviti dello stesso Kominform a unire socialisti e comunisti contro lo squadrismo. Il Congresso di Lione, 1926, avvierà il tramonto di Bordiga, ma «il fossato aperto nel 1920-21», sono parole dello storico Paolo Spriano, «non si colmerà neppure con l´epoca dei Fronti popolari o con la guerra antifascista o con la morte di Stalin, né tanto meno con il XX Congresso del Pcus». I decenni si sommeranno ai decenni. Che cosa si vuole che insegni la Storia?

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