CARCERE E DIRITTI. Dietro il rifiuto brasiliano c’è anche un rapporto sulle nostre galere stilato dai volontari italiani. Per Margara, «in Brasile sono anche peggiori ma l’Italia ha ormai fama di paese non democratico» Galere impresentabili, tortura non punita dal codice ed ergastolo. Parla Alessandro Margara, ex capo del Dap
CARCERE E DIRITTI. Dietro il rifiuto brasiliano c’è anche un rapporto sulle nostre galere stilato dai volontari italiani. Per Margara, «in Brasile sono anche peggiori ma l’Italia ha ormai fama di paese non democratico» Galere impresentabili, tortura non punita dal codice ed ergastolo. Parla Alessandro Margara, ex capo del Dap
C’è anche un dossier sulle carceri italiane nella documentazione raccolta dal governo brasiliano prima di decidere per il no all’estradizione dell’ex terrorista Cesare Battisti. Fu il senatore Eduardo Suplicy, del Pt, il partito di Inácio Lula Da Silva, a contattare un’associazione italiana e a chiedere di stilare un dettagliato rapporto sul sistema penitenziario italiano.
«Che è assolutamente impresentabile e che contribuisce a costruire la fama internazionale di un Paese, l’Italia, di rango non proprio democratico». Ne è certo Alessandro Margara, una vita nell’amministrazione penitenziaria e a capo del Dap dal 1996 al 1999. Oggi presidente della Fondazione Giovanni Michelucci che si occupa anche di edilizia penitenziaria, le carceri le conosce bene, non solo quelle italiane. Le prigioni brasiliane? Ride, quando glielo chiediamo: «Terribili, peggiori di quelle italiane».
Tra i motivi addotti dal governo brasiliano per negare l’estradizione di Battisti c’è la pessima fama del nostro sistema giudiziario e penitenziario. Secondo lei è una buona ragione?
Nella polemica su Battisti manca in effetti l’unico dato noto da tempo: l’impresentabilità del nostro sistema carcerario. Credo invece che sul sistema giudiziario italiano, a parte la lungaggine processuale spesso sanzionata in sede europea, non si possano avanzare critiche come fa invece il nostro governo e il suo capo. Il nostro carcere però gode di pessima fama soprattutto per il problema del sovraffollamento per il quale siamo secondi in Europa solo dopo la Bulgaria, e che è determinato dalle politiche governative soprattutto nei confronti delle persone in difficoltà sociali. Leggi varate dal centrodestra che purtroppo neanche il governo Prodi ha modificato.
L’Italia è stata più volte condannata dal Consiglio d’Europa e della Corte europea dei diritti dell’uomo.
Sì, per quella che nel linguaggio del diritto europeo si chiama «tortura»: cioè «trattamenti contrari al senso di umanità e degradanti». L’ultima volta nel 2009 per la condizione di sovraffollamento del 2004 ma da allora nonostante l’indulto il numero di detenuti è aumentato di 10 mila unità, arrivando quasi a 70 mila.
Da quando lei era a capo del Dap a oggi come è cambiata la condizione detentiva?
Erano meno affollate. E guardi che il sovraffollamento inceppa tutto il sistema, rende disumana la detenzione, difficoltoso il collegamento con l’esterno e annulla il fine rieducativo della pena.
Reato di tortura ed ergastolo: altri due nèi che rendono il sistema giudiziario italiano poco credibile.
Esistono, sia sulla tortura che sul controllo dei diritti dei detenuti, convenzioni internazionali che sono state firmate dall’Italia ma non sono mai state eseguite dalla lex esecutionis. L’Italia si è rifiutata di inserire il reato di tortura nel codice penale e nega ad organismi indipendenti Onu il diritto di ispezione: infatti nel 2003 ha firmato, ma mai ratificato, un protocollo alla Convenzione Onu sulla tortura entrato in vigore nel 2002, mentre il Brasile lo ha ratificato nel 2007. Sull’ergastolo, poi, nel caso di Battisti si dovrebbe trattare di un ergastolo cosiddetto ostativo, vero cioè, in cui non si può ottenere la liberazione condizionale o altri benefici perché rientrerebbe nei reati previsti nell’articolo 4 bis dell’ordinamento penitenziario.
Secondo lei nelle carceri italiane l’incolumità di Battisti sarebbe a rischio?
Si è creato attorno al personaggio un clima mediatico che certamente lo mette a rischio rispetto agli altri detenuti. Quindi in effetti, visto che probabilmente sarebbe posto in regime di isolamento, il problema del sovraffollamento non lo sfiorerebbe nemmeno. Semmai dovesse invece essere sottoposto al 41 bis, allora sì che rimpiangerebbe il sovraffollamento.
Le cronache testimoniano che nelle carceri italiane si muore, questo è certo. Ma quali sono i soggetti più a rischio, secondo lei?
Certo, in un quadro così fosco come quello delle nostre carceri può succedere tutto: non possiamo dire che c’è una ragionevole certezza che questo signore possa venir perseguitato o maltrattato psichicamente e fisicamente, ma certo un carcere di questo genere può riservare sorprese di ogni tipo. Le persone più a rischio nelle carceri però sono i poveracci, non c’è dubbio.
Tossicodipendenti, malati psichici, giovani teppisti che vivono ai margini della società. Non certo i Battisti di turno…
Sicuramente. Ma in effetti lo stesso personaggio, per come è stato presentato e anche per le sue caratteristiche personali che non lo rendono di certo simpatico, rischia di trovarsi a contatto con un ambiente che non è rispettoso nei suoi confronti.
Secondo lei le prigioni brasiliane sono migliori?
No (ride, ndr). Le prigioni brasiliane sono terribili. Basta leggere le cronache: dentro, ci sono veri e propri stati di guerra. Come forse c’erano da noi in altre epoche. Perché sicuramente va detto che gli anni di piombo furono terribili sotto vari aspetti e uno di questi era il carcere: negli anni ’70 era terribile finirci dentro, ma era anche terribile ciò che accadeva tra i detenuti stessi. Gli omicidi e le ribellioni erano tante, e accanite.
Quindi le nostre carceri sono più sicure oggi?
Il personale di sorveglianza, che allora era un corpo militare, era molto meno numeroso di oggi, e debole complessivamente. Ne derivava una politica di durezza nei confronti dei singoli detenuti che era in qualche misura di difesa. Oggi invece il personale è più numeroso ed ha un potere maggiore. La forza è indispensabile per avere il controllo della situazione, se viene meno si rischia la degenerazione e la trasformazione in atti di violenza.
Forse la fama di quel clima anni ’70 potrebbe aver influito nella decisione presa. Lei che idea si è fatto di questa storia? Condivide la posizione del Brasile?
Bisognerebbe prendere atto della decisione, cercando di capire i motivi per cui sia Lula che Dilma Rousseff non vedono con simpatia il sistema penitenziario e giudiziario italiano. È gente che ha conosciuto il carcere. E credo che facciano fatica a concepire l’idea di cedere alla richiesta di galera da parte di un Paese che ha molti torti, e non solo in questo campo, e che persegue una politica delle carceri, anche se il Brasile non è da meno, non c’è dubbio. Quello che proprio non capisco è come si fa a dire che Battisti, che ha passato tutto il periodo iniziale di latitanza in Francia, non debba essere considerato fruitore della dottrina Mitterrand riguardo il terrorismo politico. Comprendere però i brasiliani, che hanno avuto esperienze di carcere per motivi ineccepibili di resistenza alla dittatura, diversamente dal caso Battisti, significa capire perché non riescono a comprendere tutte le ragioni dell’Italia che internazionalmente è purtroppo noto per non essere un Paese di rango democratico.
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