SCAFFALE. «Prima linea. L’altra lotta armata» (1974-1981), un libro dello storico Andrea Tanturli
Il «partito armato» era una definizione in gran voga tra la fine dei ’70 e l’inizio degli ’80. Giornalisticamente efficace, era tuttavia sbagliata e fuorviante. Ancora oggi condiziona, deformandola, l’immagine di quella fase storica. Restituiva infatti l’immagine di un blocco armato coeso nonostante le divisioni. L’intera esperienza della lotta armata veniva così uniformata ai connotati della principale organizzazione, che era peraltro l’unica a immaginarsi davvero come partito armato: le Brigate rosse. La realtà è che, se ci fu un «partito armato», ci fu anche un «movimento armato» che seguiva coordinate e logiche molto diverse, spesso opposte.
IL PRINCIPALE GRUPPO movimentista in armi fu Prima linea, seconda organizzazione armata per importanza, alla quale tuttavia la folta pubblicistica e la scarna storiografia hanno sin qui dedicato poca attenzione, concentrate come erano – e come sono rimaste – sulle Br e in particolare sulla loro più clamorosa azione, il sequestro Moro. Questo vuoto, che non era comunque totale, è riempito ora da Andrea Tanturli, ricercatore a Firenze con Prima linea. L’altra lotta armata (1974-1981), vol. 1 (DeriveApprodi, pp. 380, euro 25).
È un libro davvero imperdibile per chiunque sia interessato alla storia del movimento rivoluzionario italiano degli anni ’70. Affronta la parabola di Pl con gli strumenti dello storico, seguendo lo schema cronologico ma senza indulgere né all’aneddotica né al tipico modello giudiziario che inanella descrizioni di attentati ma cercando invece di ricostruire, attraverso un lavoro certosino anche sui documenti, le radici politiche e il contesto sociale senza i quali è impossibile cogliere la realtà di Pl. Allo stesso tempo coglie, nello specchio per nulla deformante della storia di Pl, il percorso, il dilemma e infine la deriva di tutta quella parte del movimento che, dopo lo spartiacque del 1974, non aveva scelto né la via dell’istituzionalizzazione né quella del partito clandestino.
A DIFFERENZA delle Br sempre attente soprattutto alla base del Pci e del movimento operaio tradizionale, Pl nasce dal movimento e per il movimento. I suoi militanti e dirigenti, in massima parte provenienti dalle esperienze di Lotta continua e Potere operaio, mantengono a lungo una doppia militanza: intervengono sia nei conflitti sociali che nelle azioni armate. In tutta la fase di gestazione e nei primi anni l’area di Senza tregua, trasformatasi poi in Prima linea, considera l’esperienza armata reversibile: uno strumento da adoperare o da mettere da parte a seconda delle circostanze e delle esigenze del conflitto di classe. Per anni più «semiclandestina» che clandestina, Pl è molto meno strutturata delle Br, priva di un vero e proprio vertice a livello nazionale, poco attenta alle esigenze della compartimentazione: capita più d’una volta che alcuni militanti siano costretti a disertare le azioni armate perché infortunatisi giocando a pallone. È presente e attiva essenzialmente a Milano, Torino e Firenze, allungandosi sino Napoli. Non riescono invece né la fusione con le Formazioni combattenti comuniste, nonostante una breve fase di «comando unificato», né lo «sbarco» nella capitale, probabilmente perché la colonna romana delle Br costituisce un’anomalia, essendo una specie di «colonna movimentista».
L’ORGANIZZAZIONE vera e propria è distinta dalle «squadre», alle quali spetta il compito di intervenire nel vivo dei conflitti con attacchi di portata meno strategica, anche se nella pratica le due aree spesso finiscono per sovrapporsi. Pl nasce strettamente collegata alle lotte operaie, soprattutto nelle situazioni in cui il movimento è più presente e i conflitti più aspri, ma sarà poi attenta ai conflitti disseminati nel sociale, l’ecologia, l’eroina, persino il femminismo. Considerarla il «braccio armato del movimento», segnala nella prefazione Tanturli, è però un errore. L’ambizione era più alta: indirizzare il movimento verso uno sbocco e un’uscita vincente dalla controffensiva che si andava delineando al termine della fase montante di conflittualità operaia..
Questo primo volume, l’autore lo ha dedicato ampiamente alla fase «di gestazione», appunto gli anni tra il 1974 e il 1977. Protagonista è dunque non solo l’area di Senza tregua, dalla quale nascerà Pl, ma l’intera autonomia soprattutto milanese. Lo spaccato in questione permette di fare il punto sul quadro complessivo e sul dibattito nei quali maturò, in settori pur sempre minoritari ma non insignificanti del movimento, la scelta armata. Fu una mossa in larga misura difensiva, il tentativo di evitare un esito che appariva in prospettiva già determinato, dopo la ristrutturazione seguita allo shock petrolifero del ’73, alzando la posta e spostando il terreno dello scontro di classe.
NEL SECONDO VOLUME Tanturli affronterà l’ultima fase della vicenda Pl: le scissioni, le «ritirate strategiche», lo scioglimento, la dissociazione collettiva. Ma già alla fine di questo volume registra la sconfitta della sua scommessa. L’organizzazione armata «movimentista» finì per far proprio quel modello brigatista in contrapposizione al quale era nata. Tanturli giustifica la sterzata con le conseguenze del sequestro Moro, che obbligarono tutti a far prevalere le ragioni dello scontro militare su quelle della politica, ma soprattutto alla dissolvenza del movimento. Senza il quale Pl non aveva più ragione di esistere.
* Fonte: Andrea Colombo, IL MANIFESTO
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