Cinema. Lo spirito del maggio 68 al presente

Cannes 71. Con il maggio francese fu interrotta la manifestazione, ma i cineasti erano già mobilitati

Maggio 1968. La Francia è in piazza, la rivoluzione è qualcosa di reale, la società che plaude De Gaulle sembra finalmente destinata a essere capovolta nell’utopia di un sogno, meraviglioso e impossibile, che sta esplodendo nel mondo: “Sotto il pavet la spiaggia” e “La vita è altrove”, lontano dal quel “vecchio mondo” di discriminazioni, classi, ghetti.

A Cannes c’è il festival ma il cinema è Nouvelle Vague, quella francese e quelle nel mondo che portano in sé l’Europa della Primavera di Praga o il Brasile contro la dittatura, non si accordano con l’evento polveroso, pomposo, di star, strass e tappeti rossi, così lontani dalla Francia in sciopero, dalle università chiuse, dalla gente in piazza, dalla violenza della polizia, dalle barricate, dai “Baci rubati”. L’edizione del Sessantotto si apriva con la versione in 70 millimetri di Via col vento, sulla Croisette di sole e palme arrivano però Truffaut, Godard, Rivette, Chabrol, gli stessi che, insieme a molti altri registi e non solo francesi (ci sono Bertolucci, Bellocchio, Rossellini, i Taviani) pochi mesi prima hanno dato vita al “Comitato in difesa di Henri Langlois”, fondatore nel 1936 insieme a Geroge Franju della Cinémathèque parigina, messo alla porta dal ministro della cultura di De Gaulle, André Malraux. Langlois, scrive Truffaut, è un uomo ossessionato “da una sola idea” che è quella di preservare i film e di trasmettere il patrimonio dell’immaginario alle generazioni future. “Henri Langlois – scriveva Serge Daney nel necrologio alla sua morte (il 13 gennaio 1977,ndr) divideva il mondo in due: quello è che va bene per la Cinémathèque e quello che invece no”.

Il 9 febbraio del 1968 dunque Langlois viene destituito dal suo ruolo, lo stato vuole il controllo della Cinémathèque, mal digerisce la libertà di scelte che il suo fondatore mantiene.

Di certo Malraux non poteva pensare cosa sarebbe accaduto dopo o quantomeno aveva sottovalutato la portata della sua decisione. Truffaut è presente alla riunione e se va infuriato, Al posto di Langlois viene nominato un certo Pierre Barbin già alla direzione del festival di Tours che invia subito lettere di liceziamento e fa cambiare le serrature degli uffici. Truffaut scrive subito a Rossellini e lancia una campagna di sostegno che coinvolge registi in tutto il mondo, la stampa francese, con Le Monde che pubblica una petizione in sostegno di Langlois – Scandalo alla Cinémathèque titolano alcuni giornali – firmata tra gli altri da Eustache e Abel Gance. Non è che l’inizio. Il 14 febbraio tremila persone, tutto il cinema, si radunano sulla piazza del Trocadero, di fronte alla sala di Palais de Chaillot, cercano di forzare i cordoni di polizia. Cariche, feriti – Truffaut, Tavernier – l’ex poeta Malraux è sempre più in difficoltà anche perché nel frattempo le major americane che avevano depositato le copie alla Cinémathèque cominciano a minacciare di ritirarle e poi era Langlois che aveva i diritti di tutto … Il 22 aprile Maleaux decide di affrancare la Cinémathèque dal controllo statale Langlois verrà reintegrato al suo posto.

Torniamo al Maggio, di cui in molti vedono nell’affaire Langlois il prologo, tra il 10 e il 24, le date del Festival di Cannes. Il 18 maggio – in programma c’era Frappé alla menta di Carlos Saura – Truffaut, Godard, Malle interrompono il festival in solidarietà con la Francia in lotta. Forman e Lelouch, il giorno dopo, il festival viene sospeso e davanti all’assemblea riunita nella piccola sala Cocteau – il Palais non era quello di oggi – ritirano i loro film.

Da questo nascerà la Quinzaine des Realisateurs che riunitasi attorno a Robert Enrico e a Jacques Doniol-Valcroze, dopo molte discussioni decise di lanciare un festival alternativo dove “difendere le libertà artistiche, morali, professionali ed economiche della creazione e partecipare all’elaborazione delle nuove strutture del cinema”, alla cui guida venne nominato il giovane cinefilo Pierre Henri Deleau.

L’attività della neonata sezione comincia l’anno dopo, su suoi schermi sono passati in tanti da allora – Oshima, Scorsese, Fassbinder, Bene …. – ma quest’anno se ne festeggia il cinquantenario nella Francia macroniana “En Marche” di polizia che carica nelle università occupate e nei licei, sgomberi selvaggi (vedi La Zad), razzismo praticato anche oltre confine (ma siamo in Europa no?) vedi Bardonecchia, i lacrimogeni sul Primo Maggio con i cordoni di polizia che impedivano alla gente di raggiungere i concentramenti delle manifestazioni, lo sciopero dei ferrovieri duramente attaccato dal governo con la sua politica ultraliberista.

La prima edizione della Quinzaine, mostra tra gli altri Nostra signora dei turchi eCapricci di Carmelo Bene, Le lit de la Vierge di Philippe Garrel, L’etè di Marcel Hanoun, Une femme douce di Robert Bresson, Acéphale di Patrick Deval del gruppo Zanzibar, Barravento di Glauber Rocha, Nocturno 29 di Pere Portabella, Partner di Bertolucci .. Quello che conta è praticare una rivoluzione che sia anche degli immaginari, l’anno dopo il Sessantotto per certi aspetti è stato sconfitto ma il suo segno è rimasto indelebile, da allora è iniziata una trasformazione che metterà in discussione tutto, la società, i consumi, i rapporti, il femminile, il maschile, il corpo, il desiderio, la famiglia, l’amore, l’io. E l’immaginario, cioè la scelta di un punto di vista sul mondo da cui narrarlo, restituirne il conflitto e il movimento, il senso e il tempo diviene il luogo privilegiato di questa mutazione, laddove ribellione, desideri, utopie, contraddizioni vivono liberamente in sintonia, e al tempo stesso anticipandoli, coi sentimenti del tempo.

Esiste ancora questa onda nel cinema (immaginario) di oggi? La risposta è sì, e attraversa sguardi e generazioni unite dalla spinta comune che porta ciascuno di questi artisti a interrogarsi sul mondo e su come illuminarne paesaggi e vissuti. E’ questo che ci piace scoprire sulla Croisette (e in genere) ogni volta. Ci sarà anche film del sessantottino JL Godard (un riscatto dopo la vergogna di Hazanavicius lo scorso anno?), Livre d’image, uno di quei registi che appunto non ha mai smesso di mettersi in gioco e di mettere in discussione il sistema delle immagini spiazzando lo sguardo di chi lo aspetta a ogni opera. Il Sessantotto al presente.

FONTE: Cristina Piccino, IL MANIFESTO

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