Internet è un formidabile strumento di controllo sociale, una piazza virtuale per affari miliardari e un apparato con regole militari
Internet è un formidabile strumento di controllo sociale, una piazza virtuale per affari miliardari e un apparato con regole militari
I confini sciolti come neve al sole. Una libertà radicale nel comunicare oltre le frontiere nazionali. Sono le due fondamenta della concezione dominante della Rete. Fondamenta solide, se rappresentate omettendo le tendenze, le pratiche comunicative, le strategie delle imprese per mettere sotto controllo un habitat dove l’accumulo di dati personali è la materia prima per affari miliardari. Internet è al tempo stesso spazio economico, produttivo basato sui Big Data e una formidabile tecnologia del controllo sociale che segue linee di sviluppo diverse da quelle che una distratta teoria critica dipinge come un grande fratello in azione.
Nessuno schermo impartisce la linea di condotta, né c’è un nemico esterno o una quinta colonna interna da combattere e denunciare alle autorità costituite. Ci sono semmai policy, netetiquette da fare proprie e rispettare. Più che il regno autoritario descritto da George Orwell, Internet è il regno incontrastato del politicamente corretto, che ha guardiani efficienti e spesso totalmente arbitrari. Su Facebook ci sono software che analizzano il contenuto di conversazioni e post alla luce di parole chiave, che rivelano potenziali messaggi razzisti, sessisti, terroristici.
Così può accadere che post violentissimi o pedopornografici possano circolare senza ostacoli e account di gruppi militanti anticapitalisti bloccati perché contrari alla policy dell’impresa di Mark Zuckeberg. E se scatta la protesta dei colpiti dalla censura di Facebook, la risposta standard, sicuramente gestita da un altro software è sempre la stessa: «ci scusiamo per l’inconveniente, ma l’errore è dovuto a un funzionamento non ottimale dell’algoritmo». Sta di fatto che il controllo è decisamente cheap e discreto. Allo stesso tempo, è compito degli utenti dei social network esercitare la verifica dei contenuti, segnalando ai webmaster le infrazioni al politicamente corretto incontrate nella navigazione.
Il controllo sociale è esercitato anche in un’altra maniera: la costituzione di comunità virtuali transnazionali tra simili. I simpatizzanti per l’estrema destra possono scambiare le loro critiche xenofobe e sessiste all’interno di gruppi chiusi. Lo stesso possono fare gli amanti di pratiche sessuali non convenzionali, o gli appassionati di gatti, con i loro gruppi di condivisione di foto e video: a volte, l’account non riguarda un umano, ma un cane, pappagallo o micio che sia. Fenomeni ridicoli, certo, ma sempre più diffusi in questo ridisegno dei confini globali secondo affinità elettive che non contemplano la comunicazione tra diversi. L’omogeneità delle comunità virtuali funziona come una potente tecnologia del sé, scriverebbe l’abusato Foucault. Ma se il filosofo francese pensava soprattutto a quel governo della vita esercitato dallo Stato, nella società globale della Rete le politiche della vita sono prerogativa non solo degli stati nazionali, ma anche di organismi sovranazionali che stabiliscono le regole di Internet e delle imprese. Amazon, Airb&b, Uber e tutte le piattaforme per fare affari on line, enfatizzano commenti e recensioni ai loro prodotti. Li pilotano, ma entro regole proprietarie certe e certificate. E sottoscritte dagli utenti. La relazione servo/padrone dovrebbe essere ripensata alla luce della sottomissione volontaria.
Dunque i confini non spariscono, ma vengono prodotti continuamente dagli stessi utenti. Più che un panopticon, la Rete è l’emblema di un synopticon, strategia di controllo sociale basata su relazioni vis-à-vis. Alle imprese non rimane altro che elaborare i dati, impacchettarli, venderli a chi li userà per scopi pubblicitari.
L’umano perde la sua corporeità, per essere ridotto a una successione di bit. Ma se questa è la tendenza ne esiste un’altra meno chiara, spesso inintellegibile. Che Facebook, Google, Amazon, Apple e le altre major del world wide web si approprino dei dati personali considerandoli una loro proprietà privata è stato ampiamente studiato. Sono le dinamiche del capitalismo estrattivo, cioè di quel regime di accumulazione capitalistica basato sulla espropriazione dei commons non tangibili, immateriali direbbero alcuni teorici della network culture. Meno evidente è la formazione di un complesso militare-digitale che vede in azione militari, va da sé, ma anche imprese private. Silicon Valley, oltre che laboratorio di innovazione tecnologica, è diventata nel tempo l’atelier che produce software per il controllo sociale. Quando si dice Silicon Valley non si intende solo la valle californiana. I maggiori committenti e produttori di software per il riconoscimento facciale, analisi dei video e dei contenuti sono sì statunitensi, ma anche inglesi, francesi. E israeliani.
Il complesso militare digitale non si ferma alla National security agency, ma vede piccole start up inglesi e israeliane che fanno affari con militari e altre organizzazioni economiche, come quelle che gestiscono gli aeroporti o le polizie metropolitane: la videosorveglianza ha bisogno di strumenti i di elaborazione efficienti.
È un complesso militare-digitale litigioso. I big della Rete sono gelosi dei loro Big data e difficilmente li cedono o li fanno consultare dalle agenzie della sicurezza nazionale. I ripetuti rifiuti di Facebook, Google, Apple di collaborare con la Nsa o con la Fbi nella condivisione dei dati sono presentati come l’adesione al sacro rispetto della privacy, in realtà salvaguardano un business.
Questo complesso militare-digitale mina le fondamenta della democrazia: è basato sul segreto e sulla sottrazione al controllo del popolo. Con una differenza: nessuno limita la libertà di comunicare. Semmai ne definisce il lessico appropriato: sorveglianza e controllo devono essere a maglie larghe per consentire linee di fuga e di circolazione ampia. Altrimenti i Big data si inaridiscono. E quando il rischio di esaurimento del data mining diventa alto, si ripristina l’orrore moderno: frontiere e sovranità nazionale esercitata dallo Stato.
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