L’infrastruttura della democrazia partecipata

STATUTI E MOVIMENTI

Ovunque in Italia, in molteplici circostanze urbane e territoriali, per motivi simili, fioriscono e sono attivi comitati, a volte effimeri, a volte consolidati localmente come quasi mini-partiti politici. Questa Italia migliore – perché più altruista – esprime quanto esiste nel nostro paese in tema di democrazia partecipata. Dall’altra parte, da parte delle forze politiche, tutte, stanno risposte negative, l’indifferenza o l’ostilità , un comportamento che deriva prima di tutto dall’interesse di una classe ad auto perpetuarsi.

STATUTI E MOVIMENTI

Ovunque in Italia, in molteplici circostanze urbane e territoriali, per motivi simili, fioriscono e sono attivi comitati, a volte effimeri, a volte consolidati localmente come quasi mini-partiti politici. Questa Italia migliore – perché più altruista – esprime quanto esiste nel nostro paese in tema di democrazia partecipata. Dall’altra parte, da parte delle forze politiche, tutte, stanno risposte negative, l’indifferenza o l’ostilità , un comportamento che deriva prima di tutto dall’interesse di una classe ad auto perpetuarsi.
Veniamo alla parte propositiva. È essenziale l’idea che il passaggio sia considerato «bene comune», già lo è secondo la Costituzione. Per questo, una delle proposte cardine della Rete dei comitati per la difesa del territorio è di amministrare questo bene comune sulla base di una carta statutaria, uno «statuto», appunto, fatto delle regole di uso e trasformazione del paesaggio e dei «paesaggi».
Statuto del territorio a livello regionale, perciò, da articolare in tanti statuti locali, a livello di «ambiti», distinti e sovraordinati ai piani, da cui discendano politiche urbanistiche comunali coerenti. Questa potrebbe essere una proposta unificante per la costellazione neo-ambientalista. Una proposta da praticare in forme di democrazia diretta – un esempio in Toscana è lo statuto partecipato di Montespertoli coordinato da Alberto Magnaghi – e da adattare a seconda delle realtà regionali, delle leggi, della qualità delle rappresentanze politiche.
Statuti e movimenti, termini apparentemente contraddittori, ma in realtà i primi possono prefigurare lo sfondo politico, unificante dei secondi, non fosse altro per un conseguente spostamento di potere decisionale verso il basso. Tenendo conto che i secondi, i comitati, ma anche movimenti, associazioni, costituiscono nel complesso una cittadinanza politicamente delusa, propensa ad astenersi dal voto perché non rappresenta se non combattuta dalle forze politiche di destra e di sinistra.
Ma le forze politiche perché sono così sorde? Alla base – come sottolinea Asor Rosa – c’è un capitalismo oligopolistico, colluso con il potere politico, che in Italia si esprime nei grandi gruppi di costruzione e si sostanzia negli appalti, nei sub appalti, nelle ditte mafiose, nelle amministrazioni conniventi, nelle valutazioni ambientali fasulle, nei mancati controlli … tutte cose note, a su cui è necessario insistere. E alla base della base ci sono le banche che finanziano le grandi opere, le Tav, le autostrade, le ferrovie, i trafori; tanto più costano meglio è, più corrono interessi: rendite sicure perché tutte le perdite sono a carico dello Stato. Business che deve andare avanti, mal che vada a spesa del contribuente.
Ma allora, ci si può chiedere, di fronte a questo moloch cosa possono fare i comitati? In realtà quello che possono fare non è poco, prima di tutto resistere come fece il popolo vietnamita, che conosceva il suo territorio, di fronte allo strapotere militare americano. Poi, come dice Asor Rosa «allargare attorno a sé il consenso popolare». Aggiungo, da professore universitario, svegliando la coscienza dei giovani, non con la propaganda ma mostrando la bellezza (nel senso più pieno del termine), la profondità identitaria del paesaggio, l’unico vero bene non esclusivo, non riservato, aperto all’esperienza di tutti, bene comune appunto.
Tuttavia non si possono omettere i punti deboli della proposta federativa dei comitati. Il fatto è che qualsiasi federazione, qualsiasi coordinamento con finalità in qualche modo politiche richiede un’infrastruttura. E questa infrastruttura suppone ruoli, organizzazione, risorse finanziarie, tutto ciò che in realtà i comitati non possiedono e che è, oltretutto, lontano dal loro modo di essere. Il volontarismo è una fiammata, non un fuoco continuo. Si capisce perciò la decisione (nel convegno tenuto a settembre a Sarzana) del movimento «no consumo di territorio» di rimanere allo stato di movimento – una decisione accompagnata, però, dalla dichiarazione della stanchezza per un lavoro volontario alla lunga insostenibile.
Qui, a mio avviso, potrebbero entrare in gioco le amministrazioni di sinistra, se sono tali non solo a parole e se capiscono che dare ascolto e supporto a movimenti e comitati è l’unica o quasi chance di rinnovamento. Iniziando da fatti semplici: rendere gli atti urbanistici trasparenti e accessibili, in particolare le «conferenze di servizi» dove si consumano i peggiori crimini contro il territorio, sostenere processi partecipativi non istituzionali, rivedere le leggi e i piani – la Rete toscana ha fatto molte proposte circostanziate in proposito, come d’altronde le associazioni ambientaliste tradizionali. In Toscana, l’assessore al territorio, Anna Marson, si sta muovendo in questa direzione e ora la questione fondamentale è se la giunta regionale le darà quel supporto politico che nasce da una condivisione di valori.
Su un piano più generale ognuno può fare le considerazioni che crede. Certo sarebbe interessante se almeno un partito di sinistra non marginale fosse capace di rappresentare questa cittadinanza non rappresentata – diciamo il 10% degli elettori, ma forse sottostimo. Non per tatticismo o per opportunità locale, ma per reale adesione al principio che paesaggio e territorio sono beni comuni. Quindi con un conseguente cambiamento di programmi e di uomini.

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