Omicidio in San Frediano. Il pm Bocciolini chiede nove mesi di reclusione per tre carabinieri, e dieci mesi per un altro militare dell’Arma responsabile di aver scalciato il giovane, già prono a terra e immobilizzato dagli altri sul selciato impedendogli di respirare
FIRENZE “Se lo avessero messo a sedere, invece che lasciarlo sdraiato, Riccardo Magherini non sarebbe morto. I carabinieri avevano l’obbligo della sua incolumità, mentre hanno contribuito alla sua morte”. Le parole del pubblico ministero Luigi Bocciolini arrivano forti e chiare in aula di udienza. Ricordano molto da vicino quello che hanno sempre detto i familiari del giovane e il loro legale Fabio Anselmo: “Un fatto è certo, se Riccardo quella notte non avesse incontrato i carabinieri, oggi sarebbe ancora vivo”. Un atto di accusa corroborato da numerosi dati di fatto emersi nel corso del dibattimento. E confermato dal pm Bocciolini, che alla fine della sua requisitoria ha chiesto la condanna a nove mesi di reclusione, per omicidio colposo, per i carabinieri Stefano Castellano, Davide Ascenzi e Agostino Della Porta; e la condanna a dieci mesi, per omicidio colposo e percosse, nei confronti di un quarto militare dell’Arma, Vincenzo Corni, che sferrò un paio di calci a Magherini quando era a terra ammanettato.Fra i responsabili della morte del quarantenne Riccardo, stroncato da un “arresto cardiaco” in Borgo San Frediano nella gelida notte fiorentina del 2 marzo 2014, nelle pieghe di un violento fermo di polizia, almeno secondo il pm c’è anche la volontaria Claudia Matta della Croce rossa. “Lei non avrebbe praticato le manovre di rianimazione che forse avrebbero potuto salvarlo”, annota Bocciolini. Che nella ricostruzione della tragedia non ha considerato probante, a discolpa, la deposizione di un’altra volontaria Cri, Janeta Mitrea, anch’essa imputata e per la quale il pm ha chiesto l’assoluzione, dato che “stava medicando uno dei carabinieri”.
Eppure la deposizione di Janeta Mitrea era stata precisa: “La mia collega due volte chiese ai carabinieri se era possibile togliere le manette, ma le risposero che era pericoloso. E per mettere il saturimetro si è dovuta far spazio fra due carabinieri. Uno di loro era a cavalcioni su Magherini”. A conferma, Gian Aristide Norelli, il medico legale che effettuò l’autopsia sul giovane, avrebbe poi spiegato alla corte che la posizione in cui era costretto Magherini (prono a terra sul selciato gelido, mentre era in camicia, ndr), con uno dei carabinieri a cavalcioni su di lui, aveva reso ancora più difficile la respirazione, già affannosa a causa di una sindrome da eccitazione delirante. Fino a provocare l’arresto cardiaco.
Eppure Riccardo Magherini, conosciuto in tutto il quartiere di San Frediano, marito e padre felice, non era un violento. Dagli esiti dell’autopsia è emerso che aveva assunto cocaina. Ma anche in quella tragica notte, mentre vagava urlando in Borgo San Frediano, non aveva aggredito nessuno. A confermarlo almeno un centinaio di testimoni. Certo, aveva dato un pugno a una vetrina, fracassandola. E aveva rubato il cellulare di un negoziante. Ma quando era entrato nell’auto di Sara Cassai, scambiandola per un taxi, era sceso non appena lei gli aveva chiesto di uscire. “Aveva gli occhi della paura”, ha ricordato Cassai. Andava solo tranquillizzato.
Come le altre udienza, la requisitoria è stata seguita dai familiari di Magherini e da decine di amici e conoscenti. Fuori dall’aula su uno striscione c’era scritto: “Riky, hai chiesto aiuto e hai trovato la morte”. Alla fine c’era delusione, non per le richieste di condanna quanto per le pene ritenute esigue. “La vita di una persona vale più di nove mesi di condanna – hanno detto il fratello Andrea e il padre Giorgio Magherini – ma confidiamo nella giustizia”.
Eppure la deposizione di Janeta Mitrea era stata precisa: “La mia collega due volte chiese ai carabinieri se era possibile togliere le manette, ma le risposero che era pericoloso. E per mettere il saturimetro si è dovuta far spazio fra due carabinieri. Uno di loro era a cavalcioni su Magherini”. A conferma, Gian Aristide Norelli, il medico legale che effettuò l’autopsia sul giovane, avrebbe poi spiegato alla corte che la posizione in cui era costretto Magherini (prono a terra sul selciato gelido, mentre era in camicia, ndr), con uno dei carabinieri a cavalcioni su di lui, aveva reso ancora più difficile la respirazione, già affannosa a causa di una sindrome da eccitazione delirante. Fino a provocare l’arresto cardiaco.
Eppure Riccardo Magherini, conosciuto in tutto il quartiere di San Frediano, marito e padre felice, non era un violento. Dagli esiti dell’autopsia è emerso che aveva assunto cocaina. Ma anche in quella tragica notte, mentre vagava urlando in Borgo San Frediano, non aveva aggredito nessuno. A confermarlo almeno un centinaio di testimoni. Certo, aveva dato un pugno a una vetrina, fracassandola. E aveva rubato il cellulare di un negoziante. Ma quando era entrato nell’auto di Sara Cassai, scambiandola per un taxi, era sceso non appena lei gli aveva chiesto di uscire. “Aveva gli occhi della paura”, ha ricordato Cassai. Andava solo tranquillizzato.
Come le altre udienza, la requisitoria è stata seguita dai familiari di Magherini e da decine di amici e conoscenti. Fuori dall’aula su uno striscione c’era scritto: “Riky, hai chiesto aiuto e hai trovato la morte”. Alla fine c’era delusione, non per le richieste di condanna quanto per le pene ritenute esigue. “La vita di una persona vale più di nove mesi di condanna – hanno detto il fratello Andrea e il padre Giorgio Magherini – ma confidiamo nella giustizia”.
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