La Capitale delle destre

fascisti

nella variegata «galassia nera» della Capitale, c’è un mondo fatto di sigle, luoghi fisici o virtuali, simbolismi, date cerchiate sul calendario. Un sottobosco popolato di vecchi camerati e di giovanissimi neppure maggiorenni

ROMA C’è la destra «ufficiale», quella che rifiuta l’etichettatura di «fascista», ma che a seconda dei casi si autodefinisce «sociale», «popolare», «nazionale», «gollista», «lepenista». Poi c’è l’estrema destra, quella che una volta era «radicale», e che oggi viaggia sotto le insegne di CasaPound, Forza Nuova o del «rinato» Movimento sociale italiano.

Ma poi, nella variegata «galassia nera» della Capitale, c’è un mondo fatto di sigle, luoghi fisici o virtuali, simbolismi, date cerchiate sul calendario. Un sottobosco popolato di vecchi camerati e di giovanissimi neppure maggiorenni, che si ritrova nelle trattorie dei Castelli romani o nelle curve degli ultrà di Roma e Lazio, tra leader degli Anni di piombo che non hanno ancora passato la mano e nuove leve che vengono soprattutto dalle periferie abbandonate. Un pacchetto di voti consistente, che trovò una forma di «saldatura» in un momento ben preciso: la vittoria di Gianni Alemanno al Campidoglio, il 28 aprile del 2008. Quel giorno, sulla piazza, c’era di tutto. Da Alessandra Mussolini che, quasi in lacrime, pensava agli incroci del destino («ti rendi conto, è il 28 aprile…», cioè la data della fucilazione, ad opera dei partigiani, del nonno Benito), alla bandiera della storica sezione di Colle Oppio, una sorta di rudere in una delle aree archeologiche più importanti di Roma (davanti al Colosseo, a fianco della Domus Aurea , la reggia di Nerone), che nel Dopoguerra venne occupata da alcuni esuli istriano-dalmati ed è diventata luogo di ritrovo per generazioni di militanti ex Msi, poi ex An, ora in Fratelli d’Italia.

Al Campidoglio, i sostenitori di Alemanno festeggiarono esibendo il saluto romano e, in quell’immagine, c’era quasi il senso di una «presa»: «Abbiamo espugnato il palazzo d’inverno», dissero i «camerati».

Otto anni dopo, quella destra è dispersa in mille rivoli, il grande contenitore di Alleanza nazionale non c’è più e il risultato sono le «sette sfumature di destra» in corsa alle comunali 2016. Di questi candidati, almeno quattro si richiamano — più o meno direttamente — alla storia missina, un tempo si diceva postfascista, della Capitale.

I più a destra sono Simone Di Stefano, leader di CasaPound e dei «fascisti del terzo millennio». Di Stefano ci provò anche tre anni fa, racimolando appena 7 mila voti. Ma CasaPound, a Roma, non è solo una forza elettorale. È diventata un «marchio», non solo con il richiamo alla simbologia fascista, ma anche con canzoni, serate al pub, osterie (in una, all’Esquilino, lavora uno dei capi, Gianluca Iannone), l’attività nelle scuole affidata al Blocco studentesco dove per un periodo ha militato anche il figlio di Alemanno. A loro, inizialmente, si era appoggiato Matteo Salvini: CasaPound, nella manifestazione leghista di un anno fa a piazza del Popolo, faceva da servizio di sicurezza. Ora, però, le strade si sono divise e Di Stefano corre da solo.

Alle Comunali, c’è anche Alfredo Iorio, leader del «Trifoglio», gruppo che si ritrova nella vecchia sezione del Msi di via Ottaviano, due passi da San Pietro. Da qui veniva Daniele De Santis, «Gastone» per gli amici, che il 3 maggio 2015, prima della finale di Coppa Italia Napoli-Fiorentina, uccise con un colpo di pistola l’ultrà partenopeo Ciro Esposito a Tor di Quinto. Anche via Ottaviano è un luogo simbolo. Perché qui, nel 1975, venne colpito a morte lo studente greco Mikis Mantakas, uno dei «Cuori neri» narrati nel libro di Luca Telese. Roma, infatti, è anche la città del «presente», le braccia tese per ricordare i «martiri» degli Anni di piombo. Paolo Di Nella, Francesco Cecchin, i poveri fratelli Mattei arsi vivi nel rogo di Primavalle. E, naturalmente, la strage di Acca Larentia, 7 gennaio 1978, l’unico posto che riesce ancora a riunire (quasi) tutte le anime postmissine o postfasciste.

Da Giorgia Meloni a Francesco Storace, entrambi candidati a sindaco, che ogni anno portano i fiori ai tre militanti missini uccisi (Francesco Ciavatta, Franco Bigonzetti, Stefano Recchioni), fino alle sigle più estreme. Da due anni, gli unici a disertare sono gli ex di Avanguardia nazionale, gruppo degli Anni 70 che si autosciolse un attimo prima di essere dichiarato fuori legge dal governo, ancora capeggiati da Bruno Di Luia, ex stuntman , quello che al funerale di Pino Rauti contestò la visita di Gianfranco Fini. Gli «avanguardisti», si ritrovano a mezzanotte del 6 gennaio sotto quella che chiamano «la stele di Mussolini», l’obelisco del Foro Italico con la scritta «Dux», che la presidente della Camera Laura Boldrini propose di cancellare. Risposta? Una serie di foto su Facebook , a braccia tese.

Ernesto Menicucci

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