L’esodo è stato preparato da oltre sei anni di dibattito. Oggi il movimento contro la “valutazione della ricerca” (Vqr) è una liberazione, mentre si moltiplicano le prese di posizione dai sociologi agli antropologi fino agli economisti
Si è parlato varie volte sul Manifesto e sulla stampa italiana di ciò che sta succedendo nell’Università in questi giorni. E’ stato detto del grande silenzio degli intellettuali (Asor Rosa), del declino del loro ruolo critico, dell’assuefazione al peggio e dell’alienazione dei lavoratori della conoscenza (Tiziana Drago).
Non si è parlato ancora dell’ESODO che sta avvenendo. Un esodo che si sta facendo via via più cospicuo di giorno in giorno, lasciando incredule le gerarchie, stizzite le agenzie valutatrici e ancora incredibilmente silente il Ministero. Ma le cifre parlano ormai chiaro: la protesta in prima persona si attesta con dati dal 5 al 20% ma ha comunque intercettato un “disagio” molto vasto che, nelle sedi dove c’è stato movimento, attivismo e discussione sui malesseri dell’Università, raggiunge punte del 30% e oltre.
Si tratta –lo sappiamo- di una sottrazione a un compito chiamato “inserimento dei prodotti della ricerca” per la cosiddetta VQR- Valutazione della Qualità della Ricerca degli atenei italiani. Si stanno sottraendo i docenti e i ricercatori di tutte le università italiane, sconosciuti docenti dediti al loro lavoro da decenni e top scientist di fama internazionale, direttori di Dipartimento partecipi del movimento e candidati rettori che lo approvano. L’esodo in atto è iniziato come forma di protesta con la cosiddetta “mozione Ferraro”, ma è più ampio di quanto si potesse prevedere.
*** #StopVqr, settimana rovente per la clamorosa protesta nell’università
Che piaccia o no, la teoria negriana ha una sua concretizzazione nei movimenti e raggiunge perfino un ambiente ritenuto asettico come l’Università ma che in realtà si dimostra ancora vivo, fucina di incontri e di saperi utili alla società. Il tema del “sottrarsi” viene proposto da Antonio Negri e Michael Hardt in una pagina molto intensa, contenuta nel libro intitolato Comune, ed è un tema che riecheggia insistentemente in questo periodo nei movimenti sociali e nelle riflessioni degli intellettuali.
Secondo David Graeber le teorie negriane hanno una tendenza a navigare sulla superficie dei fatti e solo raramente arrivano a toccare la realtà empirica, ma a chi è attento ai movimenti, e magari vi partecipa, la connessione tra le teorizzazioni di Negri e le realtà appaiono molto evidenti.
Esattamente come scrive Negri, “l’esodo non è un rifiuto della produttività della forza lavoro biopolitica quanto un rifiuto degli intollerabili ostacoli imposti alla produttività del lavoro biopolitico da parte del capitale”. L’università italiana, quella parte di essa che oggi si sta muovendo, sottrae le sue forze pubbliche vitali a ostacoli imposti in nome di una meritocrazia e un valutazionismo che è invece sottofinanziamento e privatizzazione (Francesca Coin).
Questo movimento – che scatta tecnicamente con l’umiliazione del non riconoscimento di un intero quinquennio di lavoro ai fini pensionistici- è preparato da anni di attivismo sottotraccia da parte di centinai di universitari, azioni a cui nessuno ha dato importanza in questi anni, su cui pochi hanno scritto, ma che invece hanno comportato decine e decine di incontri, di assemblee, di documenti, di testi scritti collettivamente, di termini discussi, di posizioni dibattute e poi sintetizzate. Se ne sono occupati la Rete29Aprile, forse l’unica realtà oggi attiva a livello nazionale, Conpass, Docenti Preoccupati, Università Bene Comune, l’intersindacale, il coordinamento dei ricercatori non strutturati.
Dopo i sociologi, con il comunicato “Contro il declino dell’Università”, recentemente anche gli antropologi italiani dell’ANUAC hanno preso posizione con un documento chiamato “Dignità dell’Università” dal quale si evince che è proprio a partire dalla migliore tradizione di studi critici della disciplina che oggi si contesta quel declino dell’Università pubblica e libera che ci viene imposto.
Declino che non deve essere accettato come destino: gli antropologi hanno sempre dimostrato –attraverso la loro disciplina- che le cose hanno sempre almeno un’altra possibilità nei modi in cui possono essere fatte. E’ quindi proprio un dovere scientifico, che deriva dai nostri studi e dalle nostre pratiche, quello di occuparci delle . E’ una necessità di unione della pratica con la teoria, di impronta gramsciana. Non possiamo studiare società africane, americane e “altre”, e non vedere le stesse pratiche, la stessa qualità delle pratiche (neoliberiste, neocoloniali, neoschiavizzanti) in quelle che vengono imposte al sistema di istruzione superiore del nostro mondo occidentale, qui e ora.
L’esodo che sta avvenendo nelle nostre Università, mostra che si è verificata così quella metamorfosi delle singolarità attraverso l’educazione e le pratiche del cooperare, del comunicare, dell’organizzare degli incontri e dell’accumulazione progressiva del “Bene Comune”. Il nostro Comune è l’idea di università come comunità scientifica che collabora e diffonde saperi, li critica e li costruisce insieme. Comunità che collabora.
L’accumulazione c’è stata, vitale, potente, e ora esplode. Altro che silenzio dei docenti! I temi dell’apocalisse universitaria in corso sono stati discussi con dottorandi, precari della ricerca (umiliati dal non riconoscimento della DIS-COLL, indennità di disoccupazione), con gli studenti, i colleghi, i Rettori, i cittadini. Abbiamo proposto pubblicamente una filiera di percorso universitario che si chiama “Ruolo unico della docenza e della ricerca”, che sbarazzandosi di gerarchie e sottomissioni, libera il Comune delle idee della ricerca, della pratica dell’insegnamento, libera i nostri rapporti reciproci ed espande, come un’esplosione collettiva, la ricerca di base (fondamentale) da cui nasce un po’ di eccellenza (parola del capitalismo, che francamente non ci serve).
L’esodo di oggi è stato preparato da oltre sei anni di dibattito su come le mire liberistiche hanno preso, sotto le loro grinfie, l’Università pubblica e libera, e solo chi ha partecipato sottotraccia a quelle valanghe di discussioni, di mail, di contatti, di frasi, di parole, sa quanto questa preparazione sia stata un lavoro duro da compiere.
L’esodo di oggi, in tutta Italia – chiamato in varie forme NO-VQR- è una liberazione, perché, come scrive Negri, “ha fatto breccia nella continuità del controllo, ha riempito i varchi con nuove espressioni culturali e nuove forme di vita”.
Non è rivoluzione, è esodo, cioè un’alternativa nel momento in cui la strada maestra della rivoluzione non è accessibile, e cioè quando non c’è un soggetto politicamente attivo a guidare il processo rivoluzionario. Come scrivono Hardt e Negri riprendendo Gramsci, qui si sta muovendo “un’idea rivoluzionaria per tempi non rivoluzionari.” L’Università, si muove.
*Università di Firenze
0 comments