Il Banglatour dei fascisti romani

bengalesi

Razzismo. Indagati 13 simpatizzanti di estrema destra. Perquisizioni nella capitale, a Ferrara e a Chieti

L’inchiesta della procura di Roma su una cinquantina di aggressioni a cittadini del Bangladesh mostra un sistema gangsteristico che mette in scena l’Arancia meccanica xenofoba

ROMA. «Andiamo per cantine con lo Zyklon B», dicevano evocando il gas impiegato nei campi di concentramento nazisti. E partivano per pestare migranti. Bisogna fare attenzione ai luoghi nei quali si dipana questa storia per capire il portato simbolico ed il disegno politico che potrebbero implicare.
Siamo a Roma, quartiere Appio-Latino, a pochi metri dalla storica sezione di Acca Larentia, luogo simbolo del neofascismo romano oggetto di contese legate al culto della memoria dei caduti. Qui vennero uccisi tre giovani missini, nel gennaio del 1978, e attorno a quegli omicidi si gioca da anni la battaglia per l’egemonia sull’area da parte dei diversi, e spesso in conflitto tra loro, gruppi e partiti della galassia neo e postfascista. Sempre da qui, sostengono gli inquirenti, si partirebbe per il cosiddetto «Banglatour». I raid colpiscono infatti soprattutto cittadini del Bangladesh, destinatari inconsapevoli di vere e proprie «spedizioni punitive». Vittime scelte per motivi che poco hanno a che fare con valori sbandierati dalla destra quali «onore» e «lealtà»: i bengalesi diventano un obiettivo perché «non reagiscono e non denunciano».

Dunque, dalla via Tuscolana si varca la frontiera simbolica di Porta Furba per arrivare a Tor Pignattara, al Quadraro e al Pigneto, quartieri storicamente abitati da migranti e, appunto, con una forte presenza bengalese. La comunità parla da anni, con terrore e sgomento, di aggressioni immotivate ed esplosioni di violenza improvvisa. Basta superare una piccola coltre di paura e diffidenza per sentirsi raccontare di pericoli notturni e botte da orbi. «Le aggressioni — sostengono gli inquirenti — sono descritte come un pestaggio terapeutico e ideologico. Un massacro che ti scarica i nervi e la tensione e che racchiude un credo, quello di combattere l’immigrazione».

Ieri il lavoro della Procura di Roma su una cinquantina di aggressioni, tutte verificatesi in circostanze analoghe, è arrivato ad uno snodo importante: ci sono state diverse perquisizioni nella Capitale, Ferrara e Chieti. Tredici persone ritenute vicine a Forza Nuova e alla destra più estrema sono indagate per reati quali associazione finalizzata all’incitamento alla discriminazione e alla violenza per motivi razziali, minaccia, lesioni, detenzione di armi da fuoco. L’ipotesi investigativa disegnerebbe un vero e proprio itinerario della caccia al bengalese che si dipana tra quartieri confinati tra loro eppure diversi per composizione sociale. Per i Ros, coordinati dal pubblico ministero Sergio Colaiocco, uno dei luoghi di partenza di queste macabre cacce all’uomo sarebbe la sede di Forza Nuova di via Amulio, che ieri è stata perquisita assieme a quella, dall’altro lato del quartiere, in via Lidia.

Le carte dell’inchiesta raccontano dell’Arancia Meccanica xenofoba e dello spirito che la anima, la descrivono come una via di mezzo tra un rito d’iniziazione e una prova di fedeltà imposta dai più esperti. Si parla di «rigoroso e talvolta violento indottrinamento dei suoi appartenenti». Tra loro figurano anche minorenni, nei confronti dei quali il battesimo del fuoco serve ad «assicurare il rispetto delle regole interne al gruppo e consolidarne le gerarchie».

Nel maggio del 2013, ad esempio, viene colpito un bengalese che tornando a casa percorre una stradina dalle parti di via di Tor Pignattara. Gli chiedono se ha da accendere ma mentre si fruga in tasca parte un pestaggio violentissimo. I due responsabili vengono rintracciati nel quartiere, pare persino avessero i vestiti ancora sporchi di sangue. La storia di bullismo e violenza estrema parrebbe finire così, ma succede che l’avvocato di uno dei due racconti a Repubblica gli eventi che hanno coinvolto il suo assistito, all’epoca dei fatti appena sedicenne: «Qualcuno, più grande di lui, lo aveva attirato a frequentare la sede di Forza Nuova e l’idea che mi sono fatto è che il Bangla Tour fosse una sorta di iniziazione per essere accettato nel gruppo. Ma su di lui, sono certo, c’è stato un vero e proprio lavaggio del cervello. Ritengo sia una vittima inconsapevole di un sistema che tende comunque ad approfittarsi dei più deboli».

L’indagine ha documentato anche eventi collaterali al pestaggio dei bengalesi, circostanze che ricostruiscono i codici non scritti di questo ambiente, fatti legati al regolamento di conti tra membri del branco o tra formazioni dell’estrema destra. Uno degli indagati, ad esempio, diviene a sua volta vittima. È ritenuto dai camerati responsabile di violenza sessuale. Una volta bendato, lo fanno inginocchiare e poi gli puntano addosso un’arma da fuoco. Parte un colpo che lo ferisce al volto e gli provoca l’indebolimento dell’udito.

«Ci sentiamo in dovere morale di intervenire in favore di un territorio cui sentiamo di appartenere» si legge in un documento diffuso solo pochi giorni fa da Forza Nuova, a proposito di un fatto di cronaca nera che veniva arbitrariamente connesso ai «fatti di Colonia». Tra i tredici indagati c’è anche Giovanni Maria Camillacci, 43 anni, dirigente romano di Forza Nuova. Venne avvistato – tra le altre cose – accanto al segretario nazionale Roberto Fiore alla conferenza internazionale dell’agosto 2014 che vide convergere a Yalta, nella Crimea da poco tornata a far parte del territorio russo, diverse formazioni neofasciste europee. E l’anno prima a Damasco, in Siria, a portare appoggio ad Assad e alle «comunità cristiane del Medio Oriente». A Camilacci, considerato il «capo» del gruppo, sarebbero attribuite nove ipotesi di reato.

Si parte dall’adesione alle «idee fondate sulla superiorità della razza bianca e sull’odio razziale» e si arriva agli eventi che hanno fatto partire le indagini: le violenze ai danni di cittadini del Bangladesh. Di queste, al momento, una è stata circostanziata. Si tratta di un pestaggio avvenuto nel settembre 2011 che ha comportato alla vittima sette giorni di prognosi.

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