La manifestazione inizia puntuale, come tutto in Corea. Sul piazzale della stazione centrale di Seoul il sindacato Kctu e gli altri aderenti al fronte di Risposta coreana al G20 si sono radunati in circa 5.000 per affermare la loro opposizione. Alla fine la manifestazione e la breve marcia nel centro della città sono state autorizzate dalle autorità coreane.
La manifestazione inizia puntuale, come tutto in Corea. Sul piazzale della stazione centrale di Seoul il sindacato Kctu e gli altri aderenti al fronte di Risposta coreana al G20 si sono radunati in circa 5.000 per affermare la loro opposizione. Alla fine la manifestazione e la breve marcia nel centro della città sono state autorizzate dalle autorità coreane. L’assembramento è organizzatissimo: manifesti, pettorine e bandiere per ogni partecipante sembrano moltiplicare il numero dei presenti a vista d’occhio. La polizia in borghese cerca di approcciare senza successo i giornalisti stranieri incuriositi ed arrivati numerosi, vista la noia che regnava al centro stampa in attesa dell’inizio del vertice, dicendo loro paternalisticamente di fare attenzione.
Sul palco si alternano in tanti. Leader sindacali, politici e organizzatori di base arringano la folla e la incitano con i canti ritmici coreani, che ricordano le sigle dei cartoni animati giapponesi.
Alle quattro e mezza iniziano i movimenti verso l’uscita della piazza per procedere con la marcia. La polizia con i suoi pullman ha separato la piazza dal vialone che la costeggia lasciando solo un’uscita stretta. Un imbuto per controllare l’avvio della marcia. Dopo che la testa del corteo con gli ospiti internazionali esce, due file di poliziotti in tenuta d’assalto decidono di fare da tappo e bloccare il deflusso. Ci si inizia a spintonare. Il confronto dura alcuni minuti, ma alla fine la presenza diffusa dei media costringe la polizia a riaprire il passaggio, una volta che tutto il vialone è stato militarizzato da un lato per evitare fuori uscite. Allora si capisce che ci sono quasi duemila agenti in strada.
Finalmente si può attaccare la canzone della marcia che scandisce ogni manifestazione sindacale coreana e ci si muove. Sono ben pochi i negozianti che hanno abbassato le saracinesche, tutti accettano l’evento, anche se non si uniscono. I tanti venditori ambulanti cercano clienti «impegnati» sul marciapiede libero dalla polizia. Nel frattempo i pullman del trasporto pubblico continuano a costeggiare la marcia, come se nulla fosse. Ci muoviamo tra i grattacieli grigi del centro di Seoul sotto un cielo dello stesso colore, che promette pioggia.
Le scritte in inglese contro il G20 prendono il sopravvento nelle prime file. Oramai anche grazie alla legittimazione internazionale l’evento per il movimento coreano è un successo, nonostante i numeri contenuti rispetto a domenica scorsa. Il governo, accusato da tanti per i suoi abusi sulle libertà fondamentali, oggi non può calcare la mano e tutto scorre liscio. Arrivati alla fermata della metro Sookmyung University scoppia il diluvio con raffiche di vento furibonde. Siamo quasi alla fine, ma in tanti non mollano e inneggiano contro i tuoni sempre più forti. G20 bagnato, G20 fortunato? No, oramai si sa che si va verso il fallimento del negoziato a testimoniare quello che la piazza urla: i venti non sono in grado di risolvere la crisi globale.
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