Dieci anni fa annunciò la fine della lotta armata. Ma il sogno di Seanna Walsh continua
BELFAST. « BOBBY era mio fratello, sono passati 35 anni ma ogni giorno è come se mi fosse accanto. Con i suoi versi, le sue idee, le canzoni strimpellate alla chitarra che aveva imparato in carcere. Quando l’Ira decise di affidarmi il compito di annunciare al mondo la resa delle armi e la pace in Irlanda del Nord dopo mezzo secolo di guerra civile, mi sono passati davanti tutti i ricordi di un’amicizia che in quei terribili 66 giorni di sciopero della fame era diventata un rapporto indelebile».
Seanna Walsh è stato uno dei capi dell’Irish Republican Army. Non uno qualsiasi. Era il leader del Blocco H della prigione di Long Kesh, dove nel 1981 Bobby Sands e altri nove attivisti morirono per rivendicare uno status di rifugiati politici che il governo britannico di Margareth Thatcher non volle mai riconoscere. E fu il primo ex combattente a volto scoperto a pronunciare un discorso storico, nel luglio di dieci anni fa. Disse al mondo che l’Ira dichiarava conclusa la lotta armata e che i “volontari” avrebbero da allora in avanti usato «esclusivamente mezzipacifici e politici» per perseguire l’obiettivo ultimo dell’organizzazione, cioè l’unità d’Irlanda. Ha gli stessi occhi febbrili e lucidi di allora, il passo stanco ma non vinto malgrado 21 anni trascorsi dietro le sbarre.
Walsh, lei e Bobby Sands eravate inseparabili. Eppure a un certo punto proprio lui chiese che il capo del Blocco H fosse un altro, Brendan “Bik” McFarlane.
Come mai?
«Bobby era un uomo sensibile e molto intelligente. Anche se digiunava da moltissimi giorni e stava già male, temeva che io, per amicizia, lo fermassi prima della morte. E forse aveva ragione».
Come vi siete conosciuti?
«La prima volta che ho incontrato Bobby Sands è stata quando fui arrestato, nel 1973, e mi rinchiusero a Long Kesh. Rimasi in cella solo un mese, Bobby era lì, fu uno dei primi a salutarmi. La simpatia fu immediata, forse perché aveva un background molto simile al mio, appena due anni più di me, amava la musica popolare, suonava la chitarra e riusciva con le note a farci dimenticare per un po’ dove stavamo e come venivamo trattati».
In carcere eravate i leader dei prigionieri… «Ci rifiutavamo di indossare le uniformi o di fare lavori di prigione, fummo confinati agli H-blocks, dietro le sbarre 24 ore al giorno, sette giorni a settimana, non potevamo fare esercizi, non avevamo accesso ad alcun materiale di formazione, tanto meno scritto. Eravamo nudi nelle carceri, solo con le coperte. Nel 1980 decidemmo che la repressione non poteva più continuare e cercammo di convincere il governo britannico a riconoscerci almeno lo status di prigionieri politici. La risposta fu quella che tutti ricordano e così, dopo il primo sciopero della fame del 1980, qualche mese dopo ne cominciò un altro passato alla storia. Bobby Sands fu l’ideatore di quella protesta e decise che sarebbe andato fino in fondo. L’avevamo capito tutti che sarebbe morto, per primi i suoi genitori».
Quando lo vide per l’ultima volta?
«Fu ad una visita, la protesta era cominciata da almeno un paio di settimane, si era tagliato i capelli, era irriconoscibile. Lo abbracciai e gli augurai buona fortuna. Avevo capito che non l’avrei mai più rivisto ».
Molti anni dopo, nel luglio del 2005, il vertice dell’Ira scelse proprio lei, l’amico del cuore di Bobby Sands, per annunciare al mondo la fine della lotta armata.
«Il cessate il fuoco del 1997 aveva segnato la fine del conflitto, ma quella dichiarazione video, con un militante a volto scoperto, ha cambiato la storia del mio paese. Quando i compagni mi scelsero, mi chiesi se fossi davvero preparato a un evento che avrebbe avuto una risonanza mondiale. Prima di accettare ne parlai con mia moglie e le mie figlie. Sapevo che quel video poteva avere conseguenze anche per la mia famiglia ma allo stesso tempo ero molto orgoglioso che la leadership Repubblicana avesse pensato a me. L’ho fatto, ero emozionato ma dovevo farlo, per il mio paese, la mia gente, per Bobby e tutti gli altri che sono morti per un’idea».
Walsh, ma un giorno Belfast tornerà ad unirsi con Dublino?
«Noi lavoriamo ogni giorno per questo. In pace, con il dialogo, senza armi. Crediamo che il sacrificio degli hunger strikers e di tanti altri volontari non debba essere vano. Un giorno lasceremo il Regno Unito e ci ricongiungeremo con l’Irlanda. La storia è dalla nostra parte».
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