‘MICCIA CORTA’, SEGIO RACCONTA ASSALTO CARCERE ROVIGO

Il racconto dell’ assalto al carcere femminile di Rovigo, il 3 gennaio 1982, intersecato alle riflessioni ed ai ricordi di un’ epoca, quella degli anni di piombo, vissuta realmente in ”prima linea”

ESCE LIBRO SCRITTO DA UNO DEI FONDATORI DI PRIMA LINEA (ANSA) – ROMA, 25 FEB – Il racconto dell’ assalto al carcere femminile di Rovigo, il 3 gennaio 1982, intersecato alle riflessioni ed ai ricordi di un’ epoca, quella degli anni di piombo, vissuta realmente in ”prima linea”, tra tentativi di attacco allo Stato, detenzioni, dissociazioni e battaglie – che durano ancora oggi – per una soluzione politica del terrorismo, ”perche’ la storia di quegli anni permane come un buco nero, un’ occasione di riconciliazione mancata”. E’ quanto propone questo ‘Miccia corta, una storia di Prima linea’, libro scritto da Sergio Segio, tra i fondatori di Pl, pubblicato per Derive Approdi.
La miccia corta e’ quella che Segio ed i suoi compagni, Albert, Roccia, il Riccio, Olmo, Bruno, Eva e Martino, prepararono, in quella fredda domenica di gennaio di 23 anni fa, per innescare l’ esplosivo destinato ad aprire una breccia nel muro di cinta del carcere di Rovigo, in modo da far evadere la compagna dell’ autore del libro, Susanna Ronconi ed altre tre detenute politiche, Marina Premoli, Federica Meroni e Loredana Biancamano. Dodici secondi era il tempo fissato tra l’ accensione della miccia e l’ esplosione della dinamite. Dodici secondi che, racconta Segio, ”possono essere brevissimi o eterni. Dipende da quale parte si sta. O da quale lato del muro.
Lasciare piu’ tempo tra l’ accensione e l’ esplosione aumenterebbe i rischi per eventuali passanti e per le stesse guardie del muro di cinta”. Ed e’ proprio quello che succede: l’ azione riesce, le quattro detenute evadono, ma sulla strada rimane ucciso un passante, Angelo Furlan, falegname di 64 anni, colpito da una scheggia mentre portava a spasso il suo cane.
”Una morte non voluta la definisce l’ ex terrorista che ci colpi’ subito profondamente”. In proposito, Segio ricorda poi con commozione quanto avvenne tre anni dopo, nell’ ottobre del 1985, quando, ”ormai da tempo arrestati, ci trovavamo tutti nella gabbia del tribunale. Durante una pausa, mentre i giudici si erano ritirati, al gabbione si avvicinarono Maria Teresa Furlan, figlia di Angelo e suo marito, Angelo Bordin.
Spontaneamente e con un velo agli occhi ci stringemmo a lungo le mani con forza, senza bisogno di parole. Il loro fu un gesto di grande generosita’ e forza morale. Lo e li ricordero’ sempre con immensa gratitudine”.
Quella raccontata dal libro, premette l’ autore, ”non e’ intesa come ‘la’ storia di Prima linea”; la scelta ”e’ stata un’ altra: quella di dar conto di un episodio, l’ assalto al carcere di Rovigo, per le particolari valenze che esso a quel tempo ha avuto, sia sul piano della mia vicenda personale, sia, piu’ in generale, su quello di un momento fortemente rappresentativo del culmine e della fine di una storia e, in un certo senso, di un’ epoca, quella della lotta armata”. E come sarebbe finita quella storia, Segio lo sapeva gia’ allora. ”La sconfitta politica osserva e’ ormai certa, il sogno si e’ sgretolato, impastato nel sangue nostro e in quello delle nostre vittime, nella ferocia delle prigioni di Stato e nell’ orrore di quelle del popolo. Ma assaltando questo carcere cominciamo a riprenderci la liberta’ delle nostre compagne”.
La rievocazione di quel 3 gennaio e’ cosi’ intervallata da flashback che delineano il contesto nella quale quell’ assalto e’ maturato, la storia personale di Segio, la sua esperienza in Lotta continua prima e in Prima Linea poi. E quella di tanti suoi compagni di strada. ”Ricordo scrive i compagni morti in piazza e quelli uccisi per strada o sotto casa. Una lista interminabile, una contabilita’ infinita che nessuno ha piu’ tenuto e che e’ stata pian piano espunta dalla memoria collettiva”. Scorrono cosi’ tanti nomi, da Pino Pinelli a Giuseppe Tavecchio, da Claudio Varalli ad Alceste Campanile, da Vincenzo Caporale a Giorgiana Masi.
Il libro si conclude con una serie di lettere ”a mo’ di postfazione”. Una, scritta da Susanna Ronconi nel novembre del 1982, dal carcere dove era nuovamente finita, racconta il giorno in cui le venne riferito della morte della madre. ”Questa scrive Ronconi e’ una morte senza messe e sepolture, con lei ho perso tutti gli appuntamenti. Mi chiedo perche’ non piango, ora che sono arrivata al fondo e mi sono detta quasi una verita’. E’ come se la certezza che questo dissidio sara’ l’ espiazione mi concedesse una cupa, assoluta calma”. (ANSA) NE 25-FEB-05

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