FLI Bocchino: «Patto sì, ma con quale premier?» Oggi il discorso del leader
«Viva il re di Spagna, mora il malgoverno». Italo Bocchino piomba in sala stanza con l’irruenza e la sfrontatezza di un Masaniello contemporaneo che di buttare giù la monarchia non ha nessuna voglia ma che a quella monarchia è tutto intenzionato a strappare la corona.
FLI Bocchino: «Patto sì, ma con quale premier?» Oggi il discorso del leader
«Viva il re di Spagna, mora il malgoverno». Italo Bocchino piomba in sala stanza con l’irruenza e la sfrontatezza di un Masaniello contemporaneo che di buttare giù la monarchia non ha nessuna voglia ma che a quella monarchia è tutto intenzionato a strappare la corona. Ma allora la spina la staccate o no?, intignano i cronisti. E il patto di legislatura che vi è stato proposto da Silvio Berlusconi lo accettate o meno? E la crisi, la crisi – chiedono ormai sfiniti i giornalisti che da mesi pure loro si passano il cerino senza riuscire ad accendersi nemmeno una sigaretta – l’aprite o non l’aprite?
Bocchino è appena sceso dal palco – un disco volante, va da sé futurista, che gli studi di Mediaset al confronto sono paccottiglia di basso modernariato – e sembra aver ripreso il controllo di sè. Non urla, non gli si strozza la voce e non incita Fini – come dal palco aveva fatto solo pochi istanti prima – ad alzare di nuovo il dito «contro un’ingiustizia che non appartiene alla politica». La cacciata di Fini è stata il grande errore di Berlusconi, dice, quanto al patto di legislatura «è solo una formula lessicale. Non c’è scritto con quale presidente del Consiglio, con quale maggioranza, con quale governo. Quando Berlusconi lo chiarirà, valuteremo». E non si tratta dell’ennesimo rimpallo perché a Gianfranco Fini, il Masaniello di Futuro e Libertà chiede a chiare lettere di osare, di farsi protagonista di una nuova storia che si chiama Terza Repubblica e che solo «nel nome» del presidente della Camera i futuristi si impegnano a costruire. Guardaci, siamo i tuoi uomini e siamo qui per farti da scudo umano. Abbi coraggio, conta su di noi, mettici alla prova: quello che vogliamo è democrazia interna e una forza che proceda senza «bava alla bocca».
E’ un’ovazione. Del resto già un po’ di brividi c’erano stati quando nell’intonare l’Inno di Mameli il «Siam pronti alla morte, l’Italia chiamò» è risuonato battagliero nel gigantesco nonché stracolmo padiglione di Umbria fiere. Le parole di Bocchino mettono provvidenzialmente d’accordo falchi e colombe: «Noi siamo perché proceda la legislatura e perché il presidente del Consiglio sia quello che ha vinto le elezioni. Ma daremo i nostri voti solo per i provvedimenti previsti nel programma». Altrimenti? Altrimenti soluzioni alternative. Il problema è che messe così le cose non vanno molto oltre quel che Fini ha detto e ripetuto più volte. E se c’è una cosa che in quest’occasione il fondatore di Fli non può permettersi proprio è di apparire paralizzato e incapace di muovere un passo in qualsiasi direzione. Il ponte strettissimo che in qualche modo dovrà varcare stamattina è tutto qui.
Fini intanto è lì, in prima fila. Il suo arrivo ha blindato l’ingresso per motivi di sicurezza così che non tutti hanno potuto apprezzare il ritorno alla vocazione originale di Luca Barbareschi che ha recitato il «Manifesto per l’Italia». Ma gli applausi, lunghi e insistiti, con cui la platea ha accolto il presidente della Camera, quelli sì, li abbiamo sentiti tutti forte e chiaro.
A Bastia umbra, ieri, non si è deciso di staccare la spina. Ma ché scherzate? siparietti da Prima Repubblica, commentano i futuristi. Noi siamo oltre. Oltre il patto di legislatura, oltre l’appoggio esterno, oltre la terza gamba. Nella terra che – come ha ricordato l’onorevole Catia Polidori – fu di Francesco e Chiara (questa di Francesco deve essere una fissa che ha preso un po’ tutti i politici italiani), sintesi perfetta di «fare, sapere e saper fare» , Gianfranco Fini è stato incoronato leader del centrodestra. Un leader – ex missino, ex fascista, ex An e adesso anche ex Pdl – che però la sua storia e la sua tradizione tutte le rivendica.
«Abbiamo degli obiettivi ambiziosi e nessun traguardo ci può essere precluso», dice Fini aprendo i lavori. Cosa abbia in mente è ancora un mistero mentre a Bastia circolano voci disparate e surreali. Forse pensa alla presidenza del Consiglio, forse sta contrattando col nemico: a te il Quirinale, a me palazzo Chigi. E qualcuno azzarda anche un Berlusconi bis. Quale sia l’esito, Fini ieri ha vinto sulla politica: «Quello di oggi, per me, è un momento unico e irripetibile. E’ il momento in cui la politica decide finalmente di fare a meno di interessi e carrierismi».
E quando qualcuno cerca di tirare giù dal disco volante i marziani di Fli, ricordando loro che oggi toccherà rispondere non solo agli elettori ma anche a quello che sino a ieri era ancora il re di Spagna, pronto interviene, di nuovo Bocchino: «Il 29 settembre, giorno del suo 74esimo compleanno, Berlusconi ci ha detto che in cinque settimane avrebbe realizzato i cinque punti del programma. Non è successo niente, perché altrimenti Bossi e Tremonti avrebbero posto il veto». Già, Bossi e Tremonti. Visti qua da Bastia sembrano lontani e sfocati. Con loro Fini tuttavia, più che con Berlusconi, dovrà fare i conti. Il Cavaliere è disarcionato ma il cavallo è imbizzarrito.
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