In arrivo il marchio Chrysler per Mirafiori? Newco per Pomigliano

L’Italia è il paese dove qualsiasi scusa è buona per parlar di fuffa, di modo che «chi sa» possa fare i suoi giochi nell’ombra. Da antico dominus della vita nazionale, la Fiat sa condurre questo gioco quasi meglio dell’«impresario» Berlusconi. La prova? Roba di questi giorni

L’Italia è il paese dove qualsiasi scusa è buona per parlar di fuffa, di modo che «chi sa» possa fare i suoi giochi nell’ombra. Da antico dominus della vita nazionale, la Fiat sa condurre questo gioco quasi meglio dell’«impresario» Berlusconi. La prova? Roba di questi giorni Dopo esser stato in tv «per la prima volta, per difendere i progetti dell’azienda», l’a.d. del Lingotto, Sergio Marchionne, ha dovuto prender atto di aver sbagliato la «comunicazione». La correzione di rotta, però, ha bisogno di qualche «complice», molto silenzio sulle scelte operative (investimenti, modelli, occupati, ecc), e un po’ di diversivi. L’occasione del ritiro del premio Pico della Mirandola, nell’omonima cittadina modenese, è diventata l’occasione per tirar di nuovo fuori il volto progressive della nuova Fiat. E quindi: «quando dico che l’Italia, per il gruppo Fiat, è un’area in perdita, non significa che vogliamo andarcene dal paese». Ma «la verità è che esiste un problema di competitività», e quindi «vogliamo impegnarci per sanare le inefficienze della nostra rete industriale in Italia». Nemmeno una parola, ovviamente, sul fatto che la prima «inefficienza» della produzione in questo paese è l’assenza di modelli appetibili sul mercato (l’unica vettura su grandi volumi resta la nuova Punto, assemblata a Melfi).
I complici, invece, hanno colto al volo una tranquilla contestazione organizzata fuori dai giovani della sinistra «radicale» modenese (Pdci, Rifondazione, Sel, il centro sociale Guernica), tra striscioni ironici e slogan pro sciopero generale, per lanciarsi nella solita «condanna» con toni da «antiterrorismo».
Silenzio assoluto, invece, su quanto lo stesso Marchionne e i segretari di Cisl (Bonanni), Uil (Angeletti) e Fismic (Di Maulo) si erano detti il giorno prima – un altro «accordo separato» buttato tra i piedi della nuova segreteria Cgil, per quanto «dialogante» – a proposito del futuro dello stabilimento di Mirafiori. In mancanza di notizie ufficiali, corrono le voci. La più accreditata, al momento, riferisce che prossimamente lo stabilimento storico della Fiat – quello che è stato per un secolo il cuore della produzione automobilistica e quindi anche della classe operaia italiana – cambierà nome e ragione sociale. Non più Fiat, ma Chrysler, con una quota azionaria «nazionale» ridotta ad appena il 20%. Insomma, una «conquista» all’incontrario.
Su Pomigliano, invece, lo stesso Marchionne ha confermato che ormai si sta dando vita ad una newco. «Cominceremo le assunzioni probabilmente dal 2011, ci sarà una salita graduale», sapendo che «il volume di Panda che stiamo trasferendo è sufficiente per assorbire il numero degli organici di Pomigliano». Nessuno – tanto meno i «complici» che hanno firmato «l’accordo» per lo stabilimento campano – ha minimamente fatto caso alla circostanza che i quasi 5.000 dipendenti di Pomigliano sono già suoi dipendenti. E che quindi questa strana procedura – licenziare tutti per poi riassumerli individualmente – è solo un modo, ai limiti della legislazione e forse oltre,per «scremare» politicamente i dipendenti.
Ancor meno si fa caso al fatto che in questo modo, ci saranno ben quattro differenti contratti all’interno del solo settore auto: quello firmato da tutti i sindacati nel 2008 e tuttora in vigore (è stato disdettato da Federmecccanica a partire dalla sua scadenza naturale, tra un anno), quello «separato» del 2009, poi «derogato» per venire incontro alle necessità della Fiat e infine il «modello Pomigliano». Dimenticavamo: in attesa del «modello Chrysler» per Mirafiori…

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