La rivolta «sudista» ha battuto Tremonti

Governo ko. Il ministro anticipa il decreto sviluppo

ROMA
«Prove generali di crisi di governo». Non è solo Pierpaolo Baretta del Pd a commentare così la batosta subita in commissione Bilancio da Giulio Tremonti sulla finanziaria (da quest’anno legge di stabilità ). Finiani e Mpa hanno eseguito le minacce della vigilia e votato compatti contro il governo insieme a Udc, Pd e Idv a difesa dei fondi Fas, quelli destinati soprattutto al Sud.

Governo ko. Il ministro anticipa il decreto sviluppo

ROMA
«Prove generali di crisi di governo». Non è solo Pierpaolo Baretta del Pd a commentare così la batosta subita in commissione Bilancio da Giulio Tremonti sulla finanziaria (da quest’anno legge di stabilità ). Finiani e Mpa hanno eseguito le minacce della vigilia e votato compatti contro il governo insieme a Udc, Pd e Idv a difesa dei fondi Fas, quelli destinati soprattutto al Sud. Su due emendamenti gemelli di Udc e Mpa entrambi pro-Mezzogiorno la macchina da guerra berlusconiana è andata sotto: 24 voti per «terzo polo», Pd e Idv contro 22 per Pdl e Lega.
«La maggioranza non c’è più – ammette amaramente uno dei deputati del Pdl in commissione – è saltato il banco, da adesso in poi Fli e Mpa possono dettare legge su tutto». Perché per la Bilancio passano tutti i provvedimenti di spesa. Una strettoia che Tremonti ha affrontato anche stavolta con lo stesso stile di sempre: andando al muro contro muro senza concedere nulla nemmeno ai suoi deputati. «Era chiaro dall’inizio – masticano amaro nel Pdl – quando Tremonti manda Vegas a parlare a nome del governo già si sa che dirà no a tutto». A complicare il quadro stavolta anche la scelta del relatore, caduta su Marco Milanese, da anni fedelissimo braccio destro di Tremonti, capace di pronunciare sempre una sola frase: il testo non è emendabile.
Il tonfo del governo in commissione sulla finanziaria non è un infortunio e ha un’origine tutta politica. «Vogliamo un impegno di Tremonti sui 4-5 emendamenti che abbiamo presentato – avvertiva il finiano Lo Presti – le dichiarazioni di Silvio Berlusconi alla direzione del Pdl saranno un fatto extra-parlamentare. Tremonti deve venire in Commissione e prendere impegni in Parlamento». L’emendamento sui Fas era dunque stato accantonato prima di una pausa dei lavori durata un’ora per la direzione del Pdl e il discorso di Berlusconi. Subito dopo, alla ripresa – nonostante l’annuncio del premier sugli imminenti decreti sviluppo e milleproroghe – il testo è stato votato e il governo è andato sotto. E dire che sia Milanese che Vegas avevano sfidato apertamente i 3 futuristi e il deputato siciliano dell’Mpa avvertendoli che votare in quel modo era il famoso «staccare la spina» di cui si parla da giorni. Detto, fatto. Anzi, finiani e «lombardiani» confermano che voteranno ancora tutti i propri emendamenti (sui quali molto probabilmente convergerà l’opposizione) se il governo non concederà modifiche alla manovra. Vegas, dopo la sconfitta, fa finta di minimizzare: «Staccata la spina? Beh, hanno soffiato su una candela».
Di fatto, è il liberi tutti. Tanto che anche i «peones» del Pdl, stanchi di fare i soldatini obbedienti di un generale distante, hanno pensato di iniziare a votare i propri emendamenti confidando nella successiva fiducia da parte del governo. La soglia tra l’anarchia e il clima da caserma è labile. A fatica i dubbiosi sono stati convinti a «tenere le posizioni».
Fli non ha partecipato e avverte comunque la maggioranza: «Se ci sarà un maxiemendamento e un voto di fiducia dovrà essere sul testo uscito dalla commissione, altrimenti faremo le barricate».
Tra gli emendamenti in discussione ce ne sono di molto rilevanti. Uno, a prima firma Levi del Pd, ripristina il fondo editoria e oltre al manifesto «salverebbe» altri 90 giornali di partito, di idee e in cooperativa. Non mancano nemmeno i regolamenti di vecchi conti. Per esempio a preoccupare gli ex An c’è un emendamento firmato da Bocchino che di fatto azzera i fondi del ministero di Giorgia Meloni e li destina tutti all’università.
Il governo prova a far finta di nulla. Si annunciano votazioni in seduta notturna perché la finanziaria deve sbarcare in aula lunedì. E qui l’intreccio politico, se possibile, si complica ancora di più. «Perché è anomalo – ragionavano nel Pdl e nel Pd – che la maggioranza continui a voler votare anche quando sa di poter essere battuta in qualsiasi momento».
Tutti i sospetti si appuntano sul presidente della commissione Bilancio Giancarlo Giorgetti. Che ha fatto ben poco per contrastare la resa dei conti con i finiani e l’estenuante gioco del cerino tra Fini e Berlusconi. Leghista e vicinissimo a Bossi e Tremonti, Giorgetti si difende: «Prima o poi bisognava votare. Se c’è gente determinata a votare contro finisce come è finita e continuerà a finire così».
Alle 22, proprio mentre scriviamo, Calderoli e Tremonti sono arrivati a sorpresa in commissione. Tremonti si piega e annuncia che inserirà nella manovra i provvedimenti che avrebbe voluto mettere nel decreto sviluppo: «Fermiamo gli orologi qui e immaginiamo un corpo di emendamenti che anticipi quegli impegni». Il colpo è andato a segno. I lavori vengono rinviati alla settimana prossima, dopo il discorso di Fini a Perugia. La trattativa ormai è tutta politica.

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