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Patti oscuri, ricatti e depistaggi così lo Stato fu tradito dai suoi servitori

Falcone e Borsellino vittime della “strategia della tensione siciliana”. Ormai è quasi certo: Totò Riina fu solo uno strumento, e lui ne è consapevole 

Falcone e Borsellino vittime della “strategia della tensione siciliana”. Ormai è quasi certo: Totò Riina fu solo uno strumento, e lui ne è consapevole 

C´è chi ha trattato e c´è chi ha partecipato. Nelle stragi, due sono stati i livelli di commistione fra la mafia e gli apparati di sicurezza. Sono passati quasi vent´anni e oggi affiorano i primi frammenti di verità.
Non è stata solo Cosa Nostra ad uccidere Falcone e a far saltare in aria Borsellino, non è stato solo Totò Riina il macellaio dell´estate siciliana del 1992.
Tutto quello che era rimasto sotto traccia per tanto tempo adesso risale dalle viscere fangose della nostra Italia che ogni primavera e ogni estate celebra solennemente i suoi «eroi», i due magistrati che un pezzo di Stato voleva morti. Dall´Addaura a via Mariano D´Amelio, passando per Capaci e per un intrico dopo l´altro, quei misteri di Palermo che hanno segnato un quarto di secolo di strategia della tensione. Bombe. Bombe nella frontiera più lontana e inafferrabile, la Sicilia. Tutto quello che era rimasto nell´oscurità ora viene fuori. Patti. Ricatti. Scambi. Protezioni. E poi, poi i morti più eccellenti, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. È stato l´atto finale.
Paolo Emanuele Borsellino, procuratore aggiunto della Repubblica di Palermo, è stato assassinato cinquantasei giorni dopo il direttore generale degli Affari penali della Giustizia Giovanni Falcone. Neanche due mesi, 23 maggio e 19 luglio. Neanche due mesi erano trascorsi dal «botto» sull´autostrada, neanche due mesi e la Cosa Nostra di Corleone – secondo quanto è stato raccontato e spacciato per anni – ha deciso praticamente di «suicidarsi» con un altro clamoroso attacco allo Stato. «La verità è che Totò Riina è stato giocato, è stato messo nel sacco da qualcuno», ci hanno confessato alcuni investigatori qualche mese fa mentre indagavano sui primi coinvolgimenti dei servizi nelle stragi siciliane. Qualcuno che ha spinto i boss corleonesi – la mafia più violenta che si fosse mai vista – a dichiarare guerra aperta allo Stato. Come è andata a finire, lo abbiamo capito poi: Totò Riina e i suoi usati alla bisogna e poi scaricati, mandati avanti con il tritolo e poi seppelliti per sempre nei bracci del 41 bis.
La vicenda che sfiora o si abbatte su Lorenzo Narracci è soltanto una, è solo uno dei tanti «episodi» che hanno marchiato la spaventosa escalation della strategia della tensione siciliana. Iniziata con i delitti politici nei primi Anni Ottanta – Mattarella, La Torre, Reina, dalla Chiesa, Costa, Terranova, Chinnici, per citarne solo alcuni – e messa in scena in tutta la sua perfezione nel giugno del 1989 sugli scogli dell´Addaura. Fu allora, ma lo abbiamo scoperto solo oggi, che cominciarono a intravedersi sui luoghi delle stragi quelle «presenze estranee» a Cosa Nostra. All´Addaura i boss portarono l´esplosivo accompagnati da altri personaggi, «uomini dei servizi». Chi scoprì la trappola di Stato fu ucciso. Due poliziotti: Nino Agostino ed Emanuele Piazza. «Emanuele mi disse che in quell´attentato c´entrava la polizia», ha rivelato a Repubblica appena qualche giorno fa Gianmarco Piazza, il fratello di Emanuele. Per vent´anni non aveva parlato perché aveva paura, perché avrebbe dovuto confidarsi proprio con quegli investigatori che – secondo il fratello – erano coinvolti nell´attentato a Falcone.
Un´altra storia sembra Capaci, ma è sempre la stessa storia. Con le impronte dei funzionari del servizio segreto civile sparse sul luogo della strage (appunti dei cellulari di Narraci), con i depistaggi a seguire, con gli identikit dei sicari che non si trovano più, con le carte dell´inchiesta sepolte sotto lo sterco dei topi e corrose dall´umidità. Un´altra storia sembra via Mariano D´Amelio, ma è sempre la stessa storia. Con una squadretta di agenti appostata su Castel Utvegio, proprio sopra la strada della morte. Con i tabulati di Gaetano Scotto – il boss dell´Arenella che teneva i rapporti fra le «famiglie» e gli 007 – scomparsi dal fascicolo processuale. Con le agende sparite, per esempio quella rossa che Paolo Borsellino portava sempre con sé e che mai più si è ritrovata. In ogni strage siciliana hanno lasciato il loro odore quelli là, hanno lasciato il tanfo i «soggetti esterni», gli spioni.
Che cosa si scoprirà ancora è difficile intuirlo. Ma se è vero che Totò Riina è stato il mafioso che ha scatenato la guerra allo Stato italiano alla fine del secolo scorso, è ormai abbastanza certo che non ha fatto tutto da solo. Molto probabilmente il boss di Corleone non parlerà mai. E se ne andrà nella tomba da sconfitto. Consapevole di avere fatto la fine del sorcio: utilizzato fino a quando serviva, latitante fino a quando faceva comodo, potente fino a quando qualcuno lo convinse – prendendolo in giro- che avrebbe risolto tutti i suoi problemi mettendo quelle bombe.

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