Ecco perché le grandi aziende (e non solo) sapranno tutto di noi
HAI FREDDO , vuoi accendere il riscaldamento ma hai paura della bolletta? No problem: clicca qui, sul termostato, e ottieni uno sconto del venti per cento sulla tariffa. In cambio di cosa? Una quisquilia: accetti che il gestore monitori per un mese, a scopo di marketing, il modo con cui utilizzi tutti gli apparecchi elettrici in casa. In poche parole no privacy, a meno che tu non sia sufficientemente benestante: per gli altri arriva il Grande Fratello. È questo uno degli scenari che potrebbero avverarsi nei prossimi dieci anni con l’evoluzione degli strumenti di monitoraggio diffuso. Conseguenza diretta di quella che oggi chiamiamo l’”internet delle cose”, ossia l’aggiunta di una connessione a qualsiasi oggetto della vita quotidiana. La previsione (anno 2025) è contenuta in un rapporto di PewResearch, uno dei più noti osservatori mondiali sull’evoluzione dei costumi. I ricercatori hanno intervistato 2.011 esperti — docenti, capi di aziende, guru — e tra le previsioni c’è proprio quella che Pew definisce l’alba del privacy divide. Ovvero la contrapposizione tra i privacy rich e i privacy poor : ricchezza economica e diritto all’anonimato tenderanno a coincidere.
«Non ci sarebbe nemmeno tanto da sorprendersi: già adesso la privacy comincia a essere un lusso. Banalmente nei supermercati otteniamo uno sconto se passiamo i prodotti con la carta fedeltà, che traccia i nostri acquisti», dice Raymond Wacks, professore emerito di legge all’università di Hong Kong e tra i massimi esperti mondiali di privacy online (ha scritto da ultimo nel 2013 Privacy and Media Freedom , Oxford University Press). Il passo successivo, nei supermercati, è con l’internet delle cose: sensori che, tra scaffali, nel carrello o sui manichini, analizzano il movimento delle persone nel negozio. Lo fanno già le catene americane Wal-Mart e Macy’s. I manichini della startup tecnologica Iconeme sono entrati a fine 2014 nei primi negozi (nel Regno Unito): capiscono se qualcuno ha guardato a lungo un prodotto senza comprarlo. Riescono a dire età e sesso del cliente (grazie a un software che analizza l’immagine del volto). Tutte informazioni utili a scopo commerciale. Certo, sono anonime; almeno finché il cliente non decida di associare un proprio profilo utente, tramite app su smartphone, magari in cambio di un buono omaggio.
Il rapporto di Pew inquadra una certezza e un’incognita. La prima è che internet si estenderà a un maggior numero di oggetti. La seconda è che non sapremo se nel 2025 ci sarà un quadro di regole saldo, a tutela della privacy, contro i rischi di abusi: gli esperti sono divisi su questo punto. Il 55 per cento di loro ritiene che nemmeno tra dieci anni avremo un quadro di regole consolidate. Del resto che il futuro sia dell’internet delle cose è emerso con chiarezza durante l’ultimo Ces (Consumer electronic show) di Las Vegas, la maggiore fiera di elettronica al mondo. Tantissimi gli annunci dedicati a strumenti per monitorare i nostri consumi domestici o i parametri corporei. E che tutto questo sia una minaccia mai vista prima per la privacy è risultato dalle parole, sempre al Ces, di Edith Ramirez, a capo dell’autorità di settore americana Ftc (Federal trade commission). «L’internet delle cose può creare un quadro completo, profondamente personale e inquietante delle nostre vite», ha detto. «Qui compresi dettagli sulla nostra salute, preferenze religiose, famiglia, storia creditizia». Per esempio, nota Ramirez, se connettiamo le tv a uno smartphone (via onde radio), diventa possibile monitorare i gusti televisivi di una persona specifica. Gli smartphone sono infatti associati a precisi profili utenti (Google, per esempio). «È già tecnicamente possibile questo tracciamento; se non avviene è perché manca ancora un contesto economico in cui queste informazioni possano essere sfruttate e analizzate commercialmente. Ma il contesto ci sarà entro dieci anni», dice Wacks.
Di nuovo, si può immaginare un baratto fra tracciamento e uno sconto sul canone tv. Inoltre, il tracciamento diventerà anche più sofisticato e dettagliato. Un ruolo ce l’avranno le tecnologie di riconoscimento facciale, integrate nelle videocamere: stanno diventando sempre più abili a identificare le persone. Le tecnologie indossabili, diffondendosi, completano il quadro dei nostri dati che possono essere tracciati: gli smartwatch (orologi intelligenti, a breve è atteso quello di Apple), i gadget per il fitness e per monitorare la qualità del sonno stanno uscendo in questi mesi dalla nicchia di mercato in cui erano relegati. Diventeranno di massa man mano che miglioreranno nei costi e nella qualità. Un’evoluzione è prevista anche per i cellulari: assolvendo a nuove funzioni, potranno tracciare ulteriori abitudini degli utenti. Adesso cominciano a vedersi i primi servizi per pagare nei negozi e sui mezzi pubblici con i cellulari. «I rischi sono numerosi», dice Antonello Soro, presidente dell’Autorità garante della privacy. «Sarà possibile la profilazione potenzialmente illimitata di abitudini e comportamenti; come pure ricavare, all’insaputa degli interessati, informazioni dettagliate anche da insiemi di dati o da loro correlazioni, che apparentemente non sono personali e utilizzarle per finalità del tutto diverse da quelle della originaria raccolta». Quindi, che fare? «Il nuovo regolamento Ue per la protezione dei dati ha l’ambizione di incorporare la tutela dei diritti direttamente nelle tecnologie, fin dalla loro progettazione», conclude Soro. Vedremo chi vincerà la battaglia.
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