Tra Sel e Vendola il centro della sinistra

Il governatore apre ai cattolici e prepara le primarie Dopo il congresso di Firenze restano alcuni nodi irrisolti

Il governatore apre ai cattolici e prepara le primarie Dopo il congresso di Firenze restano alcuni nodi irrisolti

Alla fine del congresso di Sel, dopo le lacrime commosse dei delegati e il battimani scatenato dai Modena City Ramblers, Nichi Vendola non riceve tra le mani un mazzo di fiori ma un bambino da baciare. Una tre giorni in cui la maionese preparata a Firenze ha rischiato più volte di impazzire per i tanti ingredienti. «Bella ciao» ma anche «La cura» di Battiato. Una «partita» di governo ma anche un «partito» della sinistra. Un congresso partecipato e tradizionale ma anche una «convention» aperta e chiusa dal presidente pugliese. Internet e nomenklatura. Fiom e partite Iva. Obama e Brecht. Achille Occhetto e Milo Manara. Aldo Moro e Vandana Shiva.
Alla fine di tre giorni tumultuosi e importanti, però, la situazione è come era all’inizio. Soltanto più chiara. Da una parte c’è Vendola, che con i suoi due discorsi ha delineato in oltre tre ore non solo un’idea precisa di uscita dal «berlusconismo» come costruzione di una nuova egemonia nel centrosinistra ma anche un’innovazione nella forma della politica che si può riassumere nella scommessa sulle primarie dal basso e nel valore della «diversità» nella formazione delle alleanze politiche e soprattutto sociali. Dall’altra un partito, Sel, che d’ora in poi dimostrerà ciò che è. A mente fredda, è utile interrogarsi su un paio di questioni che il congresso lascia aperte.
Un partito è un partito
Siccome spesso la forma è la miglior cartina di tornasole delle pratiche partiamo da Sel. Un partito è un partito. E Sel nasce non solo con le quote rigidissime delle vecchie appartenenze: 40% dei posti agli ex del Prc, 30 agli ex Verdi, 25 agli ex Ds e 5 agli ex Pdci. Ma anche come un mosaico di tanti pezzetti territoriali: soltanto 15 sui 250 membri dell’assemblea nazionale sono stati espressi fuori dalle delegazioni regionali. Un fuoco di veti incrociati e di quote locali calcolate al bilancino ha prodotto un «listone bloccato» che, per dirne alcuni, ha eliminato persone come l’ex sottosegretario Alfonso Gianni, Simonetta Salacone (eurocandidata della scuola Iqbal Masih decisiva nel fare «Onda» contro Gelmini) e la nostra Giuliana Sgrena. Decisioni pericolose, tanto che lo stesso Nichi Vendola a fine congresso è dovuto intervenire per la quarta volta dal palco garantendo di voler rivedere alcune delle nomine fatte. Che rapporto c’è tra innovazione e tradizione, tra «Fabbriche di Nichi», il blog di Vendola, i social network e Sel? Vendola avverte che «Sel già non ci basta più, la vediamo come un moltiplicatore di appartenenze e un ponte verso mondi nuovi». Mussi invece fa spellare le mani ai delegati quando dice che sì, «quando Nichi vincerà le primarie Sel passerà dal seme all’albero senza passare per i cespugli. Nel frattempo però abbiamo un gruppo dirigente nazionale e tanti gruppi dirigenti locali».
L’«autobiografia» non basta
Vendola è tutto: presidente della Puglia, candidato premier e presidente di Sel. Ma lo scarto tra il leader e il suo partito è ampio. Lo stesso Vendola rincara la dose quando dice: «Tra le mie tante diversità che vi dovete beccare c’è anche la fede religiosa». E giù un discorso alto e intelligente sul Cristo crocefisso che rinuncia «ai segni del potere attraverso il potere dei segni». Su Aldo Moro che aveva capito il ’68 molto più di quanto le attuali elite capiscano la battaglia basilare della Fiom. Sulla vita come «diritto indisponibile» e la «rinuncia ad atteggiamenti anticlericali verso un mondo cattolico in pieno tumulto, dei temi etici voglio parlare anche con la Chiesa». Un’apertura mai sentita prima in un’assise della sinistra «radicale» e giammai in una relazione che conclude un congresso e dovrebbe indicare le cose da fare. Tanto più rumorosa perché Fabio Mussi, proprio pochi istanti prima di Vendola, aveva ottenuto una standing ovation sulla difesa della laicità dello stato. E’ vero, tra don Ciotti e Bagnasco c’è un mondo tumultuso. E Vendola, com’è noto, è persona autenticamente paradossale: comunista e cattolico, intellettuale curioso e solido amministratore del Sud, leader e maieuta di giovani attivisti, ex Pci e oltre il Pci. «Non farei mai un compromesso sulla precarietà», giura a chi gli chiede dell’alleanza con Casini. E poi: «Lo dice pure il papa». Una biografia, anche se così ricca, è sufficiente o è possibile un dialogo collettivo? Per esempio: su un tema davvero decisivo per l’uscita dal berlusconismo e la ricostruzione della sinistra (e non solo) come il «sexgate», la questione «maschile» e la «libertà delle donne», la scelta di Lorella Zanardo come intellettuale di riferimento è un gusto del leader o è possibile discutere insieme ad altri e altre?
Alleati e «alleabili» spiazzati
Il bilancio è positivo per il presidente pugliese e il suo partito. Sel ha solide radici nella Cgil e ai vertici delle sue categorie principali. Non solo i «super delegati» Maurizio Landini (Fiom) e Rossana Dettori (Funzione pubblica), ma anche Francesco Sinopoli (Lavoratori della conoscenza) e Betty Leone (ex Spi). Dal Pd dopo l’apprezzamento a caldo di Anna Finocchiaro è arrivato anche quello di Nicola Latorre, dalemiano affrancato dalle ossessioni dell’ex premier. Anche Enzo Carra, sherpa dell’Udc a Firenze, ha seguito tutti i lavori con sguardo accigliato: «Vendola è una risorsa per tutti, condivido le sue critiche al Pd ma da una sponda opposta. Alle primarie ha delle chance. Per ora però si candida a guidare un popolo più che a fare il premier».

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