Garibaldi social forum Teano non è Firenze ma gli somiglia

Comitati territoriali, migranti da Castelvolturno, network sociali, associazioni come Libera, Arci e Legambiente. E ancora: intellettuali, storici, giuristi, sindacalisti Fiom e gli operai Melfi e Pomigliano. Nella cittadina casertana lo «spirito» dei forum sociali

Comitati territoriali, migranti da Castelvolturno, network sociali, associazioni come Libera, Arci e Legambiente. E ancora: intellettuali, storici, giuristi, sindacalisti Fiom e gli operai Melfi e Pomigliano. Nella cittadina casertana lo «spirito» dei forum sociali

TEANO (CASERTA). Chi è stato a Firenze, ai tempi del social forum, dice di trovarci la stessa atmosfera. In effetti, sembra di esser tornati a dieci anni fa. Cambia il luogo e diversa è l’ambientazione: Teano non è Firenze ed altra è la fase storica, con la sinistra politica ancora alle prese con l’elaborazione del lutto per una sconfitta epocale. Mancano i partiti – l’ennesimo colossale errore – e le organizzazioni straniere. Per il resto qui, a Teano, è un melting pot di sigle e formazioni sociali. Ci sono i comitati territoriali (gli aquilani del 3.32, i pendolari dello Stretto, il Comitato pro Salvia e quello contro la centrale di Pannitteri nel parco del Reventino, per citarne qualcuno), i movimenti dalla tradizione consolidata (i no Tav, i no Ponte, Action, il Forum italiano dei movimenti per l’acqua), i gruppi dell’altraeconomia e quelli dell’antimafia. C’è la comunità migrante di Castel Volturno e l’antirazzismo di Terre di Mezzo di Milano e Nosotras di Firenze. Ci sono i network sociali (rete@sinistra e Forum per la sinistra). In prima fila storiche associazioni (Libera, Arci, Legambiente, Mani Tese). Partecipano intellettuali, storici, magistrati, avvocati, i sindacalisti della Fiom, e gli operai di Melfi, Pomigliano e Termini Imerese (vedi articolo a fianco). E, insieme a loro, tanti singoli attivisti (quasi 500 finora si sono registrati) accorsi nel borgo casertano perché, dicono, «un’altra Unità è possibile».
Teano li accoglie tappezzata di tricolori. In nome di una nazione non nazionalista, su un’idea di popolo non populista. Fuori dalla chiesa sconsacrata dell’Annunziata, fulcro logistico dell’evento, è un via vai di militanti. Tutti alle prese col patchwork di incontri, dibattiti, gruppi di lavoro e seminari. Dislocati nelle sale di palazzi d’epoca e nei locali del museo archeologico. E poi ci sono le plenarie, ad alto respiro ed affollate. Come l’assemblea coordinata da Paul Ginsborg su “Verità e Riconciliazione”, per fare i conti con la nostra storia; quella introdotta da Piero Bevilacqua, dedicata al bilancio storico dello stato nazionale; quella sui beni comuni, curata da Paolo Cacciari. Spiccano i tanti workshop: sulla sovranità alimentare e quella energetica, sui nuovi cittadini italiani, su mobilità e grandi opere, sulla dimensione euromediterranea, sul disastro ambientale e l’innovazione sociale, sui tanti sud del mondo in vista di Cancun 2011, sull’Italia come categoria letteraria, sulla formazione scolastica alla presenza degli studenti del Casertano. E, naturalmente, il confronto tra nord e sud «per capire dove va l’Italia» con Luigi Ciotti, Riccardo Iacona, Marco Revelli, Gianfranco Bettin.
Nonostante la pioggia e il tempo inclemente, c’è tanta voglia di nuova politica. Dal basso, partendo dai mille comuni impegnati nelle buone pratiche di solidarietà ed accoglienza. Perché se questa Italia, in 150 anni di storia patria, è riuscita davvero male, a Teano si prova a ricominciare da capo. Dai tanti presìdi di resistenza al saccheggio del territorio sparsi per lo Stivale. Dalle lotte per la difesa dei diritti e la dignità del lavoro. Dalle molte esperienze di economia solidale. Dalle voci dell’informazione autonoma. Dai comitati di cittadinanza attiva. Che non vogliono più saperne di Berlusconi ma, ancor di più, del berlusconismo. In nome di un protagonismo collettivo e dal basso. Non gridato, ma praticato sui territori. Da qui potrebbe nascere un’altra Italia, autoconvocata. Come quella dei sindaci che domenica si sono dati appuntamento nell’Annunziata per stringere un patto solenne di fronte ad una platea piena di camice rosse. Una sfilata di amministratori illuminati, in prima linea nella lotta per l’acqua pubblica (Anna Maria Bigon da Povegliano Veronese e Bengasi Battisti da Corchiano), nell’antirazzismo (Ilario Ammendolia da Caulonia e Mimmo Lucano da Riace), nel pacifismo (Sergio Gori da Quarrata e Eugenio Melandri da Genzano), nella battaglia antimafia (Giovanni Di Martino da Niscemi), nella raccolta differenziata (Enzo Cenname da Camigliano), nella cura del territorio (Domenico Finiguerra da Cassinetta di Lugagnano), nella cooperazione decentrata (Claudio Bertalot da Torre Pellice), nel buon mercato (Rossella Blumetti da Corsico), nella filiera corta (Gianluigi Surra da Carmagnola), nelle buone pratiche (Mario Cicero da Castelbuono).
Una Carta di Teano fondata su un’idea di democrazia sociale. Per la quale non tutto è misurabile col denaro, non tutto è mercificabile. C’è quest’Altra Italia a Teano che chiede di poter gestire i beni comuni, naturali e culturali, di non privatizzare l’acqua, di non incentivare modelli produttivi e di consumo per i mercati globali, di non sventrare i territori per l’alta velocità di pochi e l’immobilità di molti, i pendolari, di non cementificare con new town e sedicenti grandi opere.
A sera, il corso di Teano brulica di attivisti. Conclusi i dibattiti, Piazza Duomo accoglie i tanti banchetti delle organizzazioni. La mensa popolare è allestita presso l’Istituto alberghiero. Domani (oggi per chi legge ndr) si chiude. Verrà letto il Patto per una Nuova Italia alla presenza delle tante reti comunali (Enti Locali per l’Acqua bene comune, Rete comuni solidali, Associazione comuni virtuosi, Associazione Comuni dei Parchi, Rete Nuovo Municipio, Coordinamento Enti Locali per la pace e i diritti umani, Avviso Pubblico). A seguire l’assemblea plenaria sulla “Lotta alle mafie come Lotta di liberazione nazionale” a cura di Libera e del manifesto con Luigi Ciotti, Angelo Mastrandrea, Stefano Pisani (vicesindaco di Pollica-Acciaroli) e Mario Martone.
Infine recital teatrale dello “storico incontro” con Enzo Scandurra e Renato Nicolini. Per una Unità dal basso, contro i leghismi del nord e del sud.

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UNITÀ D’ITALIA
La società «operosa» che vuole ricostruire l’Italia dal basso
Andrea Bagni
In occasione della visita dell’imperatore russo «il ministro degli affari esteri credeva di poter mostrare i benefici effetti della sua amministrazione, imbiancando le facciate degli edifici pubblici … e nascondendo altresì agli sguardi i cenci degli infelici». Era regola la confusione dell’interesse privato con quello pubblico, cioè della «persona del principe». È un brano citato da Della odierna moralità politica nelle Due Sicilie di Claudio Fracassi. Si parla dell’Italia dei Borboni alla vigilia del 1860. Non sembra di essersi allontanati più di tanto. Siamo sempre alla persona, anzi al corpo, del principe. Ai suoi vizi, così privati così politici, che tengono occupate le menti dei sudditi: distratte, snervate, sepolte, cieche, divise. Oppure rabbiose, ma sempre in qualche modo subalterne: prigioniere dello specchio oscuro di una sovranità perversa.
Anche Marchionne con i suoi pulloverini rappresenta bene questa modernità iper-aziendale e insieme neofeudale: il lavoro ridotto a merce disponibile a piacere, senza contratti o sindacati, in un rapporto individuale servo-padrone. Il parlamento pieno di domestici servitori (vincolo di fedeltà personale, concessione di un beneficium, immunità). Le fabbriche pure. Forse ha ragione Bascetta quando sostiene che fa parte dello stesso scenario, della stessa grammatica separata dalla società e dai suoi disastri, l’ipotesi di grandi alleanze di salute pubblica. Modello Cln. Bisognerebbe in qualche modo spostarsi, giocare altrove un altro gioco. Però non mi sembra che possiamo immaginare luoghi conflittuali incontaminati, al riparo per l’urgenza dei bisogni da un ordine simbolico che privatizza desideri e sogni. Esistono eccome gli operai, ma appartengono molto diversamente alla classe operaia. È l’immaginario che è devastato, colonizzato, destrutturato. Il lavoratore di Videocracy progetta la sua emancipazione nel reality show: come faccio a dire a una ragazza che sono uno che lavora al tornio otto ore al giorno, chi uscirebbe con me. La destrutturazione non è solo socio-economica, è anche antropologica. Fra istituzioni violentate dal berlusconismo e nazione declinata stile Adro – qui siamo padroni in casa nostra – sembrano restare sul campo solo moltitudini frammentate, sgomente. Ma non rassegnate.
Secondo me bisogna ripartire da qui. Comunque. Da una democrazia creativa, all’altezza delle solitudini globali, vissuta in questa forma singolare, maschile e femminile, fondata su relazioni ravvicinate, non solo “di massa”. Da una nazione oltre lo stato-nazione e senza nazionalismo. Interamente politica, cioè aperta agli attraversamenti. Da una cittadinanza fondata sull’esserci in un territorio, oggetto della legge e dunque soggetto della legislazione. Un concetto di cittadinanza fondato su relazioni che nascono dall’appartenenza alla polis, in un certo senso artificiali ma perché umane. Per questo tessuto civile e politico la natura, il lavoro, il sapere – beni comuni – non sono né proprietà pubblica, dello stato, né proprietà privata, del capitale, perché non sono proprietà autoritaria di qualcosa d’altro che decide altrove. Sono luogo di incontro e dialogo di una collettività che partecipa, di una società costituente, di una comunità che viene.
C’è una società “operosa” che è società politica, forse l’unica politica oggi, che esiste come soggettività diffusa anche se non ha rappresentanza istituzionale. È questa nazione decente che si è incontrata a Teano per riprovarci ancora, dal basso, a tessere un po’ le fila di un’altra Italia – né sabauda né leghista né borbonica. Nel disastro degli Stati, dei nazionalismi e dei populismi, forse un popolo e una nazione possono incontrarsi. Fare altri discorsi, costruire altre grammatiche. Spostarsi e spostare. Vediamo.

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