Si versa un bicchiere di succo d’arancia, chiedendo scusa per la frazione di secondo rubata all’intervista. Borsa nera zeppa di appunti, maglietta bianca, maglione scuro, Naomi Klein racconta del suo nuovo lavoro — Una rivoluzione ci salverà: perché il capitalismo non è sostenibile — con un tono che contrasta con l’immagine dell’attivista sempre a caccia di nemici: sottovoce. Sono passati 16 anni da No Logo , il libro che la trasformò, a 29 anni, nella voce del movimento anti-globalizzazione: e dopo aver scritto sull’economia (e la cattiva politica) che deriva dalle emergenze (sociali, economiche, ambientali), ora affronta il tema del riscaldamento globale. Perché, spiega, il global warming è l’altra faccia del capitalismo; e solo cambiando alla radice quel modello, si potrà evitare la catastrofe.
Il libro è dedicato a suo figlio: ma crede che lui accetterebbe le sue teorie a favore della decrescita — cioè di una vita, per lui, meno ricca?
«Gli auguro una vita migliore della nostra: forse con meno cose, ma libera dall’illusione che siano loro a rispondere alle nostre domande di felicità. Su questo punto occorre essere onesti: ogni soluzione al riscaldamento globale implica un cambiamento radicale. O ci arrendiamo al fatto che avremo choc, ecologici ed economici, sempre più spesso, o rivoluzioniamo il nostro modello economico. Non possiamo far finta che le cose non cambieranno: stanno già cambiando».
Il capitalismo però non sembra destinato a svanire domani. Che si può fare, intanto?
«Quando Al Gore divenne la voce dell’ambientalismo, disse esattamente questo: “Ecco quello che tu, consumatore, puoi fare. Vai in bici. Sostituisci le vecchie lampadine”. Gore aveva reso l’ambientalismo una moda: ma le mode passano. E quel modello, che continuava a considerarci come consumatori, non come membri di comunità, ha fallito. Per quanto importanti, i cambiamenti individuali da soli non bastano: sono le comunità che possono fare pressioni e ottenere risultati».
Ne vede, di risultati?
«Molti: progetti di fracking bloccati in Polonia, Scozia, in vari Stati americani; lo sfruttamento di sabbie bituminose fermato nello stato di Alberta, in Canada; la decisione di Syriza di bloccare da subito una miniera nel Nord della Grecia».
La sensazione però è di dejà vu : dai social forum a Occupy, i movimenti avevano avuto occasioni importanti. «È un momento decisivo: solo noi possiamo perdere», aveva detto nel 2008.
«E abbiamo perso. Ma i movimenti non sono lineari, e non sono morti: si reincarnano, e imparano dai loro errori».
Quali?
«Il primo è stato quello di fidarsi di figure messianiche, affidare a loro il cambiamento e tornarsene a casa. È successo con Obama, ad esempio. Ma il più importante è stato quello di avere detto molti “no” senza avere dei “sì” altrettanto convincenti. Alle persone non piace l’ingiustizia, la diseguaglianza, il riscaldamento globale: ma hanno paura dell’alternativa, se non è elaborata con cura. Podemos, in Spagna, è un partito nato da movimenti sociali; le 900 cooperative energetiche in Germania mostrano che le fonti alternative non sono favole. Questi sono dei sì — degli esempi tangibili».
Eppure moltissimi movimenti si caratterizzano esattamente così: No-qualcosa.
«La fase del no serve: mette limiti, detta una linea. Ma non eravamo bravi con i sì. Stiamo migliorando: non si può rimanere per sempre in una posizione di opposizione. E poi, attenzione: i nuovi movimenti per l’ambiente riguardano persone che si innamorano del luogo dove vivono. È un errore considerarli solo movimenti “contro” qualcosa».
La violenza, nei movimenti, è stata un errore?
«L’esercito zapatista del Chiapas combatteva perché era attaccato. Credo che quella violenza fosse giustificata. Il che non vuol dire che fosse giusta, o una buona tattica».
Anche il Papa prepara un’enciclica sull’ambiente. Che contributo si aspetta?
«Fondamentale. L’ambientalismo è stato corroso dal pensiero economico. Quando si ragiona in termini di costi-benefici sulla riduzione immediata, o tra 20 anni, delle emissioni di CO2, sapendo che l’attesa causerà disastri in alcuni Paesi, si fanno discorsi al limite del genocidio. Le scelte ambientali sono anche morali».
L’ambientalismo e il cambiamento radicale delle strutture economiche non sembrano molto popolari tra i partiti socialdemocratici.
«E bisogna fare attenzione. Se la sinistra tradisce i suoi valori, se non dà vere alternative, è moralmente colpevole, e permette alla rabbia dei cittadini di trovare sfogo in una destra molto pericolosa».
Ma ci sono alternative realistiche, oggi?
«Dal punto di vista dell’ambiente, siamo di fronte a un’enorme possibilità. Il problema vero è quello di mantenere viva la speranza nei movimenti, anche dopo le sconfitte. Bisogna eliminare dalla politica il potere corrompente del denaro; e lavorare sull’elaborazione di alternative, non solo teoriche, ma mostrando esempi di quello che già sta avvenendo. Passare dall’“è possibile” allo “sta già accadendo, e proprio nel tuo territorio”. Lo vede? Ho imparato dagli errori. Questa volta andrà bene».
«Gli auguro una vita migliore della nostra: forse con meno cose, ma libera dall’illusione che siano loro a rispondere alle nostre domande di felicità. Su questo punto occorre essere onesti: ogni soluzione al riscaldamento globale implica un cambiamento radicale. O ci arrendiamo al fatto che avremo choc, ecologici ed economici, sempre più spesso, o rivoluzioniamo il nostro modello economico. Non possiamo far finta che le cose non cambieranno: stanno già cambiando».
Il capitalismo però non sembra destinato a svanire domani. Che si può fare, intanto?
«Quando Al Gore divenne la voce dell’ambientalismo, disse esattamente questo: “Ecco quello che tu, consumatore, puoi fare. Vai in bici. Sostituisci le vecchie lampadine”. Gore aveva reso l’ambientalismo una moda: ma le mode passano. E quel modello, che continuava a considerarci come consumatori, non come membri di comunità, ha fallito. Per quanto importanti, i cambiamenti individuali da soli non bastano: sono le comunità che possono fare pressioni e ottenere risultati».
Ne vede, di risultati?
«Molti: progetti di fracking bloccati in Polonia, Scozia, in vari Stati americani; lo sfruttamento di sabbie bituminose fermato nello stato di Alberta, in Canada; la decisione di Syriza di bloccare da subito una miniera nel Nord della Grecia».
La sensazione però è di dejà vu : dai social forum a Occupy, i movimenti avevano avuto occasioni importanti. «È un momento decisivo: solo noi possiamo perdere», aveva detto nel 2008.
«E abbiamo perso. Ma i movimenti non sono lineari, e non sono morti: si reincarnano, e imparano dai loro errori».
Quali?
«Il primo è stato quello di fidarsi di figure messianiche, affidare a loro il cambiamento e tornarsene a casa. È successo con Obama, ad esempio. Ma il più importante è stato quello di avere detto molti “no” senza avere dei “sì” altrettanto convincenti. Alle persone non piace l’ingiustizia, la diseguaglianza, il riscaldamento globale: ma hanno paura dell’alternativa, se non è elaborata con cura. Podemos, in Spagna, è un partito nato da movimenti sociali; le 900 cooperative energetiche in Germania mostrano che le fonti alternative non sono favole. Questi sono dei sì — degli esempi tangibili».
Eppure moltissimi movimenti si caratterizzano esattamente così: No-qualcosa.
«La fase del no serve: mette limiti, detta una linea. Ma non eravamo bravi con i sì. Stiamo migliorando: non si può rimanere per sempre in una posizione di opposizione. E poi, attenzione: i nuovi movimenti per l’ambiente riguardano persone che si innamorano del luogo dove vivono. È un errore considerarli solo movimenti “contro” qualcosa».
La violenza, nei movimenti, è stata un errore?
«L’esercito zapatista del Chiapas combatteva perché era attaccato. Credo che quella violenza fosse giustificata. Il che non vuol dire che fosse giusta, o una buona tattica».
Anche il Papa prepara un’enciclica sull’ambiente. Che contributo si aspetta?
«Fondamentale. L’ambientalismo è stato corroso dal pensiero economico. Quando si ragiona in termini di costi-benefici sulla riduzione immediata, o tra 20 anni, delle emissioni di CO2, sapendo che l’attesa causerà disastri in alcuni Paesi, si fanno discorsi al limite del genocidio. Le scelte ambientali sono anche morali».
L’ambientalismo e il cambiamento radicale delle strutture economiche non sembrano molto popolari tra i partiti socialdemocratici.
«E bisogna fare attenzione. Se la sinistra tradisce i suoi valori, se non dà vere alternative, è moralmente colpevole, e permette alla rabbia dei cittadini di trovare sfogo in una destra molto pericolosa».
Ma ci sono alternative realistiche, oggi?
«Dal punto di vista dell’ambiente, siamo di fronte a un’enorme possibilità. Il problema vero è quello di mantenere viva la speranza nei movimenti, anche dopo le sconfitte. Bisogna eliminare dalla politica il potere corrompente del denaro; e lavorare sull’elaborazione di alternative, non solo teoriche, ma mostrando esempi di quello che già sta avvenendo. Passare dall’“è possibile” allo “sta già accadendo, e proprio nel tuo territorio”. Lo vede? Ho imparato dagli errori. Questa volta andrà bene».
Davide Casati, Corriere della Sera
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