Franco Giustolisi

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Franco Giustolisi, la penna che spalancò «L’Armadio della vergogna»

Franco Giustolisi

Franco Giustolisi

La scom­parsa di Franco Giu­sto­lisi, sto­rico col­la­bo­ra­tore del mani­fe­sto, priva di una per­so­na­lità forte e dal carat­tere senz’altro deciso non solo i molti suoi let­tori ma anche i tanti tra sto­rici, stu­diosi e magi­strati che, nel loro campo distinto, si sono avvalsi della sua voce critica.

Dopo aver attra­ver­sato un tren­ten­nio da «inviato spe­ciale» su poli­tica, car­ceri e lotta armata nell’Italia degli anni ’60-’70, dalla metà degli anni Novanta, in piena tran­si­zione post-’89, Giu­sto­lisi si inca­ricò di fare i conti con le radici sto­ri­che e le apo­rie memo­riali ita­liane che pro­prio dalla Guerra Fredda erano deri­vate. La sua inchie­sta più nota ha finito per com­porre una seman­tica che ha resti­tuito un’immagine diretta e irri­du­ci­bil­mente con­flit­tuale alla sto­ria delle stragi nazifasciste.

 

È infatti gra­zie all’immagine figu­ra­tiva de L’Armadio della Ver­go­gna, titolo del suo cele­bre volume che rac­conta l’occultamento della docu­men­ta­zione sulle stragi nazi­fa­sci­ste in Ita­lia, che l’opinione pub­blica nazio­nale, ha ini­ziato ad ela­bo­rare una vicenda che richia­mava tutte insieme le ragioni della Guerra Fredda e quelle di Stato; l’impunità dei col­pe­voli e le ragioni mor­ti­fi­cate delle vit­time fino alle con­tro­nar­ra­zioni anti­par­ti­giane usate per «dare un senso» e «spie­gare» l’indicibile. Se oggi chiun­que si avvi­cini alla mate­ria può uti­liz­zare quello stru­mento come sin­tesi di una dia­let­tica com­plessa lo deve pro­prio alla sua capa­cità di ren­dere intel­le­gi­bile una que­stione tanto com­plessa quanto fondamentale.

Lo Stato ita­liano mentì, occul­tando le carte e la docu­men­ta­zione delle stragi di civili, la classe diri­gente del paese con­certò un silen­zio poli­tico «costiu­tente», pro­dro­mico ad ogni rifon­da­zione di isti­tu­zioni tra­volte dalla frat­tura della guerra civile, l’opinione pub­blica dell’epoca, infine, pre­ferì dimen­ti­care quelle tra­ge­die e con esse le sue respon­sa­bi­lità rispetto al con­senso al fascismo.

L’impronta ed il nome dati a quel lavoro di denun­cia acqui­si­rono all’epoca, era il 1994, e man­ten­gono oggi una loro uni­cità di signi­fi­cato come accade solo a quel gior­na­li­smo d’inchiesta capace di sot­trarsi al cir­cuito della «disin­for­ma­zione quan­ti­ta­tiva» che oggi sem­bra ren­dere fatti ed eventi di qual­si­vo­glia natura del tutto indi­stin­gui­bili sul piano della rile­vanza pub­blica e valoriale.

Il metodo usato ed il senso attri­buito agli eventi che Franco Giu­sto­lisi, cit­ta­dino ono­ra­rio di Sant’Anna di Staz­zema, ha rac­con­tato nel corso della sua bat­ta­glia per la verità e la giu­sti­zia sulle stragi hanno per­messo al suo lavoro di col­lo­carsi in una misura disci­pli­nare tra­sver­sale tra sto­ria, diritto e poli­tica, ricol­lo­cando l’inchiesta nella sua dimen­sione pub­blica di rap­porto tra diritto e dovere all’informazione nella società con­tem­po­ra­nea di «rete». L’armadio della ver­go­gna non ha «solo» ridato voce a chi venne tra­volto dalle logi­che mili­tari della guerra ai civili ma rap­pre­senta quel pro­filo d’indipendenza dell’informazione che, neces­sa­rio in natura, in epoca di «con­sen­so­cra­zia» diventa indispensabile.

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