Terre promesse. L’Expo 2015 è un laboratorio nel quale sono sperimentate le forme di precarietà prevista dal Jobs Act. Mentre l’uso del lavoro gratuito viene spacciato come un’occasione da sfruttare per arricchire il proprio «curriculum vitae»
">Expo 2015, i dannati dell’evento
Opera di Philippe Ramette
Terre promesse. L’Expo 2015 è un laboratorio nel quale sono sperimentate le forme di precarietà prevista dal Jobs Act. Mentre l’uso del lavoro gratuito viene spacciato come un’occasione da sfruttare per arricchire il proprio «curriculum vitae»
Opera di Philippe Ramette
Terre promesse. L’Expo 2015 è un laboratorio nel quale sono sperimentate le forme di precarietà prevista dal Jobs Act. Mentre l’uso del lavoro gratuito viene spacciato come un’occasione da sfruttare per arricchire il proprio «curriculum vitae»
«Come fai a “nutrire il pianeta” se non paghi i volontari che lavorano all’Expo?» ha domandato un giovane professionista milanese nel corso di un animato forum che commentava #IoNonLavoroGratisPerExpo, la campagna promossa in rete da decine di ragazze e ragazzi, giovanissimi, che hanno posato davanti ad un obiettivo con lo slogan scritto con un pennarello blu su un A4. Tra le centinaia di commenti è spuntato anche quello di una giovane avvocata che ha ammesso di ricevere solo un modesto rimborso spese in uno studio «con la scusa del tirocinio»: «Ma come si fa a lavorare gratis – ha chiesto — per una manifestazione a scopo di lucro?».
Più che un mercato del lavoro, l’Expo dedicata al tema «Nutrire il pianeta, Energia per la vita» sembra una fiera del dono. L’esposizione universale che inizierà nel 2015 nella data simbolica per il movimento operaio, il primo maggio, giorno anche della Mayday dove i precari sfilano per le strade di Milano, prevede almeno tre cerchi di volontari. Ci sono i 18500 stabiliti dall’accordo con i sindacati confederali di categoria (Cgil, Cisl e Uil) del luglio 2013. In realtà, le candidature presentate sarebbero 6 mila. L’amministratore delegato di Expo Giuseppe Sala parla invece di 12 mila tra le quali verranno selezionati 10 mila volontari. In ogni caso sono persone che lavoreranno a titolo gratuito per 184 giorni, alternandosi in piccoli gruppi impiegati per due settimane cinque ore al giorno, per ricevere e guidare nella città il flusso di 20 milioni di visitatori attesi, o meglio auspicati.
Il comune di Milano ha creato una sezione dedicata alle aziende partner dell’esposizione universale e a quelle aderenti alla Fondazione Sodalitas. Si chiameranno «volontari per un giorno» e dovranno offrire la disponibilità del proprio tempo per un lunedì a scelta durante i sei mesi dell’evento. A questo modello della gestione della forza lavoro volontaria partecipa anche il Touring club con il progetto «aperti al mondo». L’obiettivo è coinvolgere mille persone per la «valorizzazione del patrimonio culturale» il cui contributo gratuito servirà a rafforzare l’«offerta culturale» di Milano durante l’Expo.
Il volontariato, nella sua forma di lavoro gratuito per i «grandi eventi», eccede l’Expo e diventa un prototipo sociale utile anche per i beni culturali dove il Touring Club organizza dal 2005 il programma «Aperti per voi», settecento persone impegnate nell’accoglienza nei siti culturali. Dopo un periodo di formazione, a questi volontari verrà chiesta la disponibilità di quattro ore a settimana per l’accoglienza, l’orientamento e il presidio al Duomo, nell’area archeologica della Basilica dei Santi Apostoli, nella casa di Manzoni, alla collezione Grassi-Vismara o al mausoleo imperiale.
Al vertice di questa piramide ci sono i 140 ragazzi che verranno selezionati dall’Expo nell’ambito del progetto di servizio civile. Riceveranno 433 euro mensili a testa per 12 mesi. Dovrebbero iniziare a febbraio 2015 e verranno divisi in due gruppi per assistere le associazioni e le delegazioni dei paesi che parteciperanno all’esposizione universale. Il costo di questa operazione finanziata da Expo spa con 800 mila euro crea un’evidente contraddizione. Nell’esercito dei volontari c’è chi verrà pagato e chi no.
UN ACCORDO BESTIALE
Il 23 luglio 2013 i sindacati confederali e di categoria (Cgil, Cisl e Uil) hanno firmato un accordo con Expo 2015 spa accettando di codificare per la prima volta nel diritto italiano il ricorso al lavoro gratuito. È questa la differenza con eventi simili all’Expo, ad esempio l’Olimpiade a Londra oppure l’esposizione di Shangai. Uno degli aspetti caratterizzanti di questo accordo è la distinzione tra precari e volontari. Da una parte ci sono i precari: 195 stagisti, 300 contratti a termine, 340 apprendistiunder 29 che conseguiranno qualifiche da «operatori grande evento», «specialisti grande evento» o «tecnici sistemi di gestione grande evento». Dall’altro lato ci sono i volontari che dovranno mostrare di condividere i valori ufficiali dell’Expo: credere in un’alimentazione buona e sana in un’economia sostenibile. Valori difficili da non condividere. In cambio, però, Expo non darà nulla ai volontari se non l’opportunità di tenersi in contatto con il mondo così come si fa con facebook. vita. Se un «mi piace» aumenta la quotazione in borsa dell’azienda di Mark Zuckerberg, un volontario dovrebbe dare lustro all’Expo presentato come «il vero social network dell’anno». Uno slogan che riassume le politiche del lavoro nella nuova economia. Le attitudini umane non retribuite danno visibilità alle piattaforme economiche all’interno delle quali interagiscono, mentre al singolo resta l’illusione di avere fatto tesoro di contatti con i quali arricchire il proprio «portfolio di competenze». Con parole più banali: il curriculum.
Il volontariato all’Expo è diventato una ferita che molti sentono di avere subìto nella propria vita. È come se un accordo in fondo modesto, siglato per assicurare un aumento dell’occupazione diretta nel «grande evento» (e 18.500 volontari), avesse ispirato un’autobiografia collettiva in un paese dove centinaia di migliaia di persone vivono le conseguenze di una realtà inconfessabile: lavorare gratis con la promessa di conquistare un lavoro qualsiasi.
Si aspira a uno status necessario per dimostrare di fare qualcosa, piuttosto che niente. Meglio volontari a termine che poveri senza prospettive. Questa è la logica sociale che i sindacati hanno accettato, interpretando il senso comune dilagante: «Lavorare gratis, oggi, non è questione di essere lecchini ma è sperare in una futura assunzione» ha spiegato un altro utente facebook nei giorni infuocati della campagna contro il lavoro gratis all’Expo. Questa frase traduce la regola d’oro che oggi spinge ad accettare l’inaccettabile. Non solo all’Expo, ma in ogni momento della vita di giovani, adulti e anche over 50. La promessa di un posto di lavoro in futuro corrisponde al dovere di mostrarsi disponibili, flessibili e occupabili in ogni mansione nel presente.
A CACCIA NELLE SCUOLE
La caccia ai volontari Expo avviene nelle scuole milanesi, ma anche a Catanzaro o a Torino. In questi casi, l’obiettivo è portare giovani, e meno giovani, a Milano per due settimane, al massimo 28 giorni. Naturalmente a spese del volontario. L’importo è stato calcolato in 400 euro comprensivi del biglietto del treno e un minimo di 10 euro a notte per dormire in ostello. Sembra che l’organizzazione assicurerà solo un pasto al giorno. Il volontario dovrà pagarsi l’altro. Così il lavoro gratuito all’Expo si trasforma in un hobby costoso. Non c’è nulla di nuovo: mangiare in solitudine e a proprie spese accade a molti stagisti o ai praticanti.
Il coordinamento nazionale dei centri di servizio per il volontariato (Csvnet), a cui Expo spa ha dato il mandato di individuare i volontari, parla di seimila persone, due terzi in meno rispetto a quelle stabilite nell’accordo sindacali. Il 20% vive in Lombardia, il 55% in altre regioni. Il 62% ha un’età inferiore ai 24 anni e studia. Il 47% ha dichiarato di essere alla prima esperienza di volontariato e solo il 9% può essere considerato un «volontario seriale». Tra loro ci sono anche ultra sessantenni e pensionati (il 5%). Il 13% dei candidati dice di essere inattivo, mentre gli altri studiano o già lavorano. Al termine della selezione seguiranno un corso on-line necessario per la trasmissione delle competenze e per interagire con milioni di turisti. Quindici ore per imparare una lingua. Sull’attendibilità di un simile percorso formativo esistono molte perplessità. Le ha espresse Sergio Bologna in un appello che ha avuto una larga circolazione in rete: «Lavorare gratis non fa curriculum! Lavorare gratis significa accettare un’umiliazione. Vi dicono che conoscerete milioni di persone, che farete amicizia con il mondo, ma… fatemi capire.. dovrete accogliere i visitatori o dovrete distribuire i vostri biglietti da visita e i vostri indirizzi mail per farvi contattare? Rischiate di prendervi qualche calcio negli stinchi». L’invito di Bologna ai volontari è quello di scioperare contro il lavoro gratuito il 1 maggio 2015.
Non è sfuggito a nessuno che il 90% delle «assunzioni» dirette, tutte a termine, sia composto dai volontari. A rigore di termini, tale sproporzione sconsiglierebbe di parlare di un «accordo pilota sull’occupazione», così venne festeggiato dalle massime cariche dello Stato come dalla maggioranza che reggeva l’allora governo Letta. L’economista milanese Andrea Fumagalli ritiene che «l’accordo sindacale sull’Expo può essere considerato come il laboratorio di sperimentazione del “progetto garanzia giovani” e poi dell’attuale Jobs Act con i quali oggi si vuole affrontare l’emergenza della disoccupazione giovanile».
Un’emergenza che non verrà risolta, in maniera significativa, nemmeno dall’impatto occupazionale atteso. Le perplessità degli economisti abbondano sotto questo aspetto. Le hanno espresse Ermes Cavicchini e Livio Lo Verso. Il grande evento milanese produrrà una «cospicua domanda di lavoro flessibile che tendono a generare opportunità lavorative, ma che non si traducono in forme di occupazione stabile perchè si chiudono rapidamente». Il grosso delle ricadute occupazionali si avrà prima dell’evento nei settori delle costruzioni e nel terziario. Ma dal 2015 al 2020 le previsioni sono deludenti. «Ci sono fondati dubbi che i consistenti investimenti operati in questi anni abbiano un effetto moltiplicatore adeguato, almeno per quanto riguarda il mercato del lavoro» concludono Cavicchini e Lo Verso. Chi si candida ad un posto da volontario per trovarsi un posto di lavoro dopo l’Expo vivrà in questo contesto non certo incoraggiante.
TRA SCANDALI E CORRUZIONE
All’inizio sono stati in pochi ad intuire il significato profondo dell’operazione-volontari all’Expo. La controinformazione del centro sociale Sos fornace di Rho, dove c’è un punto San Precario, è stata fondamentale. Poi la consapevolezza è diventata patrimonio comune della rete dei movimenti «Attitudine No Expo». Ad eccezione del segretario della Fiom Lombardia Mirco Rota, i sindacati hanno provato a far passare sotto silenzio l’accordo. Il sindaco di Milano Giuliano Pisapia ha difeso lo status dei volontari, scambiandolo per uno dei tanti accordi con il terzo settore. «Il volontariato è un fenomeno diffuso nel nostro territorio», sostiene il primo cittadino milanese. Il problema è che fare il volontariato all’Expo non equivale a svolgere un’attività caritatevole per i poveri o a insegnare italiano ai migranti.
L’impresa avrebbe avuto qualche possibilità di successo se nel frattempo non fosse accaduto qualcosa che Roberto Maggioni e il collettivo Off Topic avevano annunciato nella loro inchiesta Expopolis (Agenzia X). Sono arrivati gli arresti a ripetizione per corruzione, i maxisequestri e le accuse di infiltrazione della ‘ndrangheta nei cantieri in cui sono stati investiti centinaia di milioni di euro. Una situazione che ha degradato l’immagine di Expo, facendo emergere lo scandalo del lavoro gratuito.
Dunque, corruzione e illegalità dei manager e della politica contro l’umiliazione di giovani e meno giovani che accettano di fare i volontari nella speranza di lavorare almeno per un giorno. Questa è l’enorme sproporzione che svilisce il tentativo di creare un’identificazione con i valori eco-compatibili dell’Expo ispirati alle mitologie olistiche del «made in Italy», il buon cibo «slow».
L’ambivalenza che circonda la figura del volontario è stata ormai superata. Il suo lavoro serve a «umanizzare» il logo di un grande evento e a completare l’offerta turistica o i servizi di accoglienza in un’economia culturale. Il suo impatto sull’occupazione è irrilevante. Il suo agire serve tuttavia a creare un rumore di fondo utile per attrarre visitatori o informare i turisti che poi finanzieranno bar, alberghi, musei, fiere portando soldi agli altri, ma mai un reddito agli interessati. Ai volontari resta la speranza che, in futuro, questo ruolo tocchi ad altri, mentre loro saranno impiegati precariamente altrove.
4/continua. I precedenti articoli sono stati pubblicati il 22 (http://?ilma?ni?fe?sto?.info/?l?e?c?o?n?o?m?i?a?-?p?o?l?i?t?i?c?a?-?d?e?l?l?a?-?p?r?o?m?e?s?sa/) , il 25 (http://?ilma?ni?fe?sto?.info/?i?-?s?o?g?n?i?-?i?n?f?r?a?n?t?i?-?d?e?i?-?f?r?e?e?-?l?a?n?ce/) e il 29 ottobre (http://?ilma?ni?fe?sto?.info/?i?-?s?o?m?m?e?r?s?i?-?d?e?l?l?a?c?c?a?d?e?m?ia/)
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