Le tute blu della Fiat, della Maflow, dell’Alenia. Gli studenti, i ragazzi del sud, gli insegnanti, Moni Ovadia in lacrime. Elena, 17 anni: “Quello che stanno facendo ai metalmeccanici ci riguarda tutti, perché quando io lavorerò non avrò nessun diritto”
Le tute blu della Fiat, della Maflow, dell’Alenia. Gli studenti, i ragazzi del sud, gli insegnanti, Moni Ovadia in lacrime. Elena, 17 anni: “Quello che stanno facendo ai metalmeccanici ci riguarda tutti, perché quando io lavorerò non avrò nessun diritto”
“Dirottati. Eravamo talmente tanti che alla fine il nostro pullman al casello di Roma è stato mandato, insieme ad altri provenienti dal sud, verso il parcheggio di Cinecittà anziché a Piramide. E così abbiamo seguito il corteo che partiva da Piazza della Repubblica”. I metalmeccanici della Fiom di Matera spiegano così il successo di questa giornata. “Siamo migliaia, non solo operai, ma anche studenti, pensionati, ricercatori, professori, impiegati. Tutti uniti, perché quando toccano i nostri diritti, toccano quelli di tutti i lavoratori. Adesso disdicono il nostro contratto, domani licenzieranno tutte le maestre, e dopodomani per i giovani non ci sarà più lavoro”.
Dal corteo dei metalmeccanici della Fiom non è arrivato nessun uovo, ma a gran voce un’unica richiesta: “Vogliamo il rispetto dei nostri diritti. È ora di pensare a un grande sciopero generale, questa piazza dimostra che è arrivato il momento”. Lo dicono gli operai di Pomigliano che “non si piegano”, loro che hanno aperto il corteo di piazza della Repubblica, mentri i colleghi della Sata di Melfi partivano da piazzale dei Partigiani, e sono arrivati a San Giovanni mentre la coda ancora doveva partire per raggiungerli. “I risultati del referendum di giugno hanno dimostrato quello che tutti pensano in questa piazza: i lavoratori vivono sotto ricatto, ma hanno una dignità che nessun contratto potrà mai cancellare”. Lo dicono gli studenti dei tanti movimenti e gruppi, da quelli dell’Onda alla rete degli studenti Medi ai giovani dei centri sociali, a quelli del Collettivo autonomo studentesco che hanno scelto di indossare oggi la maglietta rossa delle Fiom, insieme ai movimenti No Ponte e No Tav.
“Quello che stanno facendo ai metalmeccanici ci riguarda tutti – racconta Elena di Bologna, 17 anni, studentessa del Liceo artistico – perché quando io lavorerò non avrò nessun diritto, se ai miei genitori i diritti vengono tolti adesso”.
“Siamo qui per far sentire il nostro sostegno agli operai – le fa eco un giovane con i dread di appena 15 anni, studente di un istituto tecnico industriale – perché la Gelmini ci sta togliendo fondi e risorse per la scuola, e con quello che stanno facendo agli operai ci stanno anche togliendo la speranza per il futuro”.
Lo dicono anche le tante maestre, professori, insegnanti, ricercatori e precari della conoscenza che hanno sfilato accanto alle tute blu: “Il lavoro deve essere al primo posto, da questo anello può essere trainata tutta la catena della conoscenza. Siamo con gli operai perché anche noi siamo sfruttati come loro e l’unica maniera per ribellarci è unirci”, dice Marco, ricercatore precario di Mantova, venuto a Roma insieme al Coordinamento contro la Crisi.
“Qui c’è l’Italia che malgrado tutto quello che le stanno facendo tiene in piedi il Paese”, dice Moni Ovadia prendendo la mano di un ragazzo calabrese di Libera contro le mafie, che racconta a tutti, nonostante la sua giovane età, una verità che molti politici più adulti di lui ignorano: “Più toccano il lavoro e più la mafia aumenta, perché molti di noi giovani perdono la speranza e non trovano più altre alternative che la criminalità. I diritti degli operai sono un baluardo contro la ‘ndrangheta, perché non lo capiscono?”.
La pioggia comincia a scendere, insieme a una lacrima trattenuta appena da Moni, che lo guarda fermo: “E’ vergognoso quello che stanno facendo a questi operai. E’ vergognoso quello che stanno facendo a voi giovani”. Vicino a lui sono appena passati Nichi Vendola e Di Pietro, il politico pugliese ha detto che un nuovo vento sta girando: “Anche in Cina i lavoratori stanno scioperando e le tv ormai non riescono a nasconderlo, questo è il segno che il diritto al lavoro ormai non può più essere calpestato oltre”. Accanto a lui ci sono Barozzino, Dellamorte e Pignatello, i tre operai licenziati alla Sata di Melfi e poi reintegrati grazie a una sentenza del giudice del lavoro. “Noi lavoratori siamo il motore di questo Paese e il fatto che siamo così tanti oggi qui lo dimostra: non possono continuare a ignorarci”.
I braccianti di Altragricoltura e del Tavolo verde fanno eco ai cassintegrati dell’Eutelia, che sfilano con le maschere bianche e le lettere che compongono la parola dignità: “Noi lavoratori agricoli ormai non guadagniamo più nulla, per produrre un chilo di grano spendiamo 28 euro e ne guadagniamo la metà. Siamo gli schiavi del lavoro. Noi che siamo senza diritti, non possiamo che essere qui accanto a chi come noi li ha persi o li sta perdendo”.
Il gruppo delle Metalmeccaniche ha lo stesso colore del Popolo Viola e porta avanti le stesse istanze: “Stanno distruggendo il futuro di questo Paese, iniziando dal nostro lavoro. Noi donne, poi, paghiamo doppiamente il peso dei ritmi di lavoro massacranti, visto che abbiamo anche delle famiglie di cui prenderci cura”.
“Se toccano il reddito dei lavoratori toccano anche le nostre pensioni, ecco perché siamo qui”. Lo dicono i pensionati dello Spi Cgil giunti da tutta Italia. Anche i partigiani dell’Anpi ci tengono a sottolineare che gli operai non sono soli: “La loro battaglia è la battaglia di tutti noi: è quella contro il fascismo e per la difesa della Costituzione e dell’articolo uno, che dice che l’Italia è una repubblica fondata sul lavoro”.
Tutti sulla stessa barca degli operai: lo dicono i ragazzi Rom dell’Arci e i lavoratori immigrati di Rosarno, che gridano basta al lavoro nero e sì al contratto nazionale, lo dicono le ragazze del call center di Trapani Multimedia Planet. 900 giovani senza più lavoro da un anno. Lo dicono anche le brigate di solidarietà attiva, nate dopo il terremoto d’Abruzzo, che sanno bene come una fabbrica chiusa sia la cosa peggiore che possa esistere per un territorio.
Gli operai delle Steparava di Adro, in cassintegrazione, sono in camicia rossa accanto a loro: “La nostra è un’azienda multietnica – dicono – i diritti dei migranti sono i nostri”.
Ci sono anche i cassintegrati della Same di Treviglio, con un grosso uovo di polistirolo: “Noi non siamo criminali, siamo lavoratori esasperati, la smettessero di strumentalizzare il gesto di pochi che hanno perso il lavoro, e pensassero a tutelarci. Il contratto nazionale del lavoro non si tocca. Altrimenti altro che uova, è sciopero generale”.
Gli operai della Maflow di Trezzano sul Naviglio concordano, accanto a quelli dell’Alenia Spazio di Pomigliano, a quelli della Merloni dell’Umbria, ai tremila Marittimi della Tirrenia che rischiano la cassa integrazione: “Siamo in tanti, abbiamo paura per il nostro futuro, certo, la maggior parte di noi sono cassintegrati, ma siamo anche forti delle nostre ragioni: il diritto al lavoro non si tocca. Guarda quanti siamo a dirlo”. Una lunga coda di persone, sotto il palco di San Giovanni a Roma, che non ha ancora smesso di arrivare e di reclamare i propri diritti, nonostante la pioggia.
Articolo riproducibile citando autore e fonte (rassegna.it)
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