Le verità  scomode sulla mafia

Un libro di salvatore Lupo.  Per l’autore le stragi del ’92 non servivano a cercare nuovi interlocutori politici e rispondevano a una logica interna a Cosa Nostra 

Un libro di salvatore Lupo.  Per l’autore le stragi del ’92 non servivano a cercare nuovi interlocutori politici e rispondevano a una logica interna a Cosa Nostra 

Per descrivere una trama lunga quasi due secoli è partito da un punto ed è arrivato allo stesso punto: la storia della mafia non è la storia d´Italia, ma dentro la storia della mafia c´è molta Italia. Così, indagando nel passato e nel presente, districandosi fra luoghi comuni e false piste investigative o culturali, lo storico Salvatore Lupo – il più famoso e rigoroso studioso di Cosa Nostra – ci spiega che cosa sarà il futuro della segreta organizzazione nata in Sicilia. Conversando con il giornalista Gaetano Savatteri su giovani capi e vecchi padrini, su processi «politici» e sbandate del fronte antimafioso, n´è venuto fuori un saggio, Potere criminale, Intervista sulla storia della mafia (Laterza, pagg. 191, euro 12) che oggi sarà in libreria. Nei ragionamenti di Lupo le sorprese non mancano. E sono tante. Come questa: «Per troppo tempo ci siamo raccontati la favola che fosse figlia del sottosviluppo. Poi abbiamo invertito i termini del discorso, dicendo che il sottosviluppo è figlio della mafia. Ma entrambe le proposizioni sono errate: la mafia è una patologia della modernità. È stato così nel diciannovesimo e anche nel ventesimo secolo».
È in ogni pagina del libro che lo storico offre una riflessione o uno spunto originale, una ricostruzione inedita. Per esempio mette in dubbio che Totò Riina sia stato il vero capo dei capi di Cosa Nostra («Lui fu inquadrato negli anni ´80 esclusivamente sulla base di informazioni provenienti dai suoi arcinemici»), racconta di un Tommaso Buscetta bugiardo e invischiato nel grande traffico di stupefacenti («Fa scendere una fitta censura sul ruolo degli americani, mente sistematicamente ogni volta che parla di se stesso»), ricorda la polemica del grande scrittore siciliano di Racalmuto su I professionisti dell´Antimafia dicendo: «Fra Sciascia e Borsellino ci fu ben altro che un´incomprensione. Attaccando un magistrato valoroso, Sciascia fece una scelta difficilmente giustificabile».
Poi è alla fine, quando affronta il capitolo delle stragi, che Salvatore Lupo sostiene di non credere che quegli attentati puntassero ad aprire canali di dialogo con nuovi interlocutori politici, manifesta incertezze su «suggeritori» che abbiano spinto Cosa Nostra a organizzare le stragi siciliane del 1992, continua a privilegiare – per quella strategia della tensione – le logiche interne a Cosa Nostra. E spiega: «Allo stato delle mie conoscenze, continuo a ritenere la scelta terroristica dei primi anni ´90 come il frutto di un´estrema coazione a ripetere, da attribuirsi a Riina e soci».

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