Nicola Gratteri © Reuters

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Gratteri, il carcere del lavoro forzato

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A leg­gere i reso­conti dell’intervento svolto dal pro­cu­ra­tore aggiunto di Reg­gio Cala­bria Nicola Grat­teri il 5 giu­gno davanti alla Com­mis­sione diritti umani del Senato sull’applicazione del regime peni­ten­zia­rio per gli appar­te­nenti ai ver­tici delle orga­niz­za­zioni mafiose, si tira un sospiro di sol­lievo per lo scam­pato peri­colo di avere que­sto pub­blico mini­stero mini­stro della giustizia.

L’analisi di Grat­teri sul fun­zio­na­mento del 41bis è stata dav­vero a tutto campo. Ha con­te­stato la distri­bu­zione dei 750 dete­nuti in regime di car­cere duro in 12 isti­tuti, con i rischi di inter­pre­ta­zioni diverse da parte dei diret­tori delle norme e ha indi­vi­duato la solu­zione nella costru­zione di 4 nuovi car­ceri dedi­cati allo scopo con 4 diret­tori specializzati.

Grat­teri si è doman­dato anche la ragione della chiu­sura negli anni novanta delle car­ceri di Pia­nosa e dell’Asinara, auspi­cando la loro ria­per­tura con que­sta desti­na­zione. La man­canza di memo­ria sto­rica è dav­vero una male­di­zione, per­ché attri­bui­sce scelte moti­vate e dibat­tute a pura casua­lità o super­fi­cia­lità.
Va ricor­dato che la scelta di chiu­dere le car­ceri spe­ciali fu dovuta al rifiuto dove­roso da parte dello stato demo­cra­tico di sop­por­tare con­di­zioni di vio­lenza inau­dita e di gestioni para­noi­che da parte di diret­tori imme­de­si­mati nella parte di ven­di­ca­tori e aguz­zini. Si vuole tor­nare a quella pra­tica di tor­tura appena ora che l’Italia ha evi­tato una con­danna defi­ni­tiva per vio­la­zione dell’art. 3 della Con­ven­zione dei diritti umani da parte della Cedu per trat­ta­menti cru­deli e degra­danti? Va rico­no­sciuto al pro­cu­ra­tore anti ‘ndran­gheta di avere pro­po­sto una dimi­nu­zione dei dete­nuti a regime spe­ciale a 500 per una appli­ca­zione seria affi­data al Gom, il reparto spe­cia­liz­zato della Poli­zia Peni­ten­zia­ria, poten­ziando i con­trolli anche durante i col­lo­qui. Infatti “nel momento in cui c’è un col­lo­quio biso­gna guar­dare la mimica fac­ciale, i segni che il dete­nuto fa ai parenti con brac­cia e mani”.

A que­sto pro­po­sito il pro­cu­ra­tore ha invi­tato il legi­sla­tore ad inter­ve­nire su un vuoto enorme, cioè il caso della moglie del dete­nuto che è anche avvo­cato, per­ché in quel caso il col­lo­quio non si può regi­strare. Non è chiara la solu­zione pro­po­sta: obbli­gare a cam­biare avvo­cato (comun­que i col­lo­qui non sareb­bero regi­strati) o a divor­ziare? Nell’incertezza si legge anche che alla man­canza di per­so­nale esperto si può ovviare con il tra­sfe­ri­mento di mili­tari dell’esercito ade­gua­ta­mente for­mati e comun­que dimi­nuire il numero sovrab­bon­dante di agenti della poli­zia peni­ten­zia­ria pre­senti in via Are­nula, la sede del mini­stero della giustizia.

Il cul­mine dello slan­cio rifor­ma­tore si è espresso sulla que­stione del lavoro per i dete­nuti. “Io sono per i campi di lavoro, non per guar­dare la tv. Chi è dete­nuto sotto il regime del 41 bis col­tivi la terra se vuole man­giare. In car­cere si lavori come tera­pia rie­du­ca­tiva. Occorre farli lavo­rare come rie­du­ca­zione, non a paga­mento. Se abbiamo il corag­gio di fare que­sta modi­fica, allora ha senso la rie­du­ca­zione. Farli lavo­rare sarebbe tera­peu­tico e ci sarebbe anche un recu­pero di imma­gine per il sistema”.

Ci vor­rebbe dav­vero un bel corag­gio a fare strame delle norme peni­ten­zia­rie euro­pee, delle sen­tenze della Corte Costi­tu­zio­nale, della legge Smu­ra­glia e della riforma peni­ten­zia­ria del 1975, peg­gio­rando addi­rit­tura il Rego­la­mento di Alfredo Rocco del 1932! Nei reso­conti dell’audizione non si leg­gono le rea­zioni dei commissari.

Il silen­zio gla­ciale appare la rispo­sta ade­guata. Di fronte a simili derive è il caso che il mini­stro Orlando avvii subito le pro­ce­dure per la nomina del garante nazio­nale dei diritti dei detenuti.

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