Su internet i “segnali” di Nino Mandalà al presidente del Senato
Su internet i “segnali” di Nino Mandalà al presidente del Senato
PALERMO – Più dei memoriali che riesumano suoi antichi legami, più delle accuse dei pentiti, il presidente del Senato – raccontano a Palermo – sembra tormentato da un blog. È il diario di un uomo che chiamano «l’avvocato», uno che dice di essere stato amico e anche socio di Renato Schifani, uno che è finito dentro per mafia.
Il segno dei tempi: dai pizzini alla piazza virtuale, ecco divulgati in rete gli avvisi in codice di un capo presunto di Cosa Nostra.
Trascinato in un’indagine molto scivolosa , il presidente dei senatori della Repubblica, come capita sempre nelle più fosche vicende siciliane, deve fare i conti con il passato e le sue vecchie conoscenze di quando era un anonimo civilista, noto a Palermo solo come “spicciafaccende” dell’onorevole Enrico La Loggia. E il passato per Renato Schifani si riaffaccia con Nino Mandalà, condannato in primo grado a 8 anni per 416 bis e in attesa di appello, «reggente» del mandamento di Villabate con il dente avvelenato.
Si sente abbandonato e «quasi rinnegato» (parole sue, in udienza, riferite al presidente del Senato), la sua vendetta contro la politica che a suo dire l’ha usato e poi scaricato, adesso la sta consumando su ninomandala.blogspot.com, pensieri e messaggi al mondo intero. Soprattutto a quello che ha frequentato lui dal 1994 in poi, quando Mandalà ha fondato in Sicilia uno dei primi club di Forza Italia. È lui il personaggio chiave di tutta l’indagine di mafia che coinvolge Renato Schifani.
L’inchiesta giudiziaria è appesa a rivelazioni di pentiti ancora non riscontrate, ma più che i collaboratori di giustizia – Francesco Campanella uno, il famoso Gaspare Spatuzza l’altro – è Nino Mandalà che custodisce i segreti di un avvocato siciliano che allora – siamo fra i primi anni ’80 e i primi anni ’90 – era di casa a Villabate. Al momento il sospetto capomafia è a piede libero ma i pubblici ministeri di Palermo sostengono che sia sempre lui a comandare ai confini orientali di Palermo, in quel paese – Villabate, per l’appunto – da sempre visto come un laboratorio di Cosa Nostra per l’impasto con la politica. Lì hanno protetto a lungo l’indisturbata latitanza di Bernardo Provenzano (uno dei più fidati servitori del padrino di Corleone è stato il figlio di Mandalà, Nicola), lì i boss si sono inventati per la prima volta le manifestazioni «contro la mafia», lì il futuro presidente del Senatoè stato consulente (per volere di Mandalà, accusa un collaboratore di giustizia) per il piano regolatore dopo avere fatto società – nella Sicula Brokers – proprio con lo stesso Mandalà, già padrone del Comune di Villabate ma ancora non finito nelle investigazioni dei carabinieri. Questo signore sulla sessantina, che non ha mai nascosto il suo risentimento per Schifani, è davvero un imputato di mafia molto speciale. Intanto è colto, legge di storiae filosofia. Intantoè particolarmente loquace, parla e chiacchiera come non usa in quell’ambiente. E da quando è uscito dal carcere, «l’avvocato» ha pure quel suo blog dove si manifesta intervenendo su ogni questione. Dalla legge sulle intercettazioni al federalismo, dalla pena di morte ai festeggiamenti per l’Unità d’Italia. A volte, naturalmente lancia anche i suoi «dispacci». Come quello del 25 settembre scorso, dal titolo Le anime belle. Scrive Mandalà: «…Posso immaginare (chi meglio di me potrebbe capirlo!) lo stato d’animo di chi è stato travolto da drammatiche vicende giudiziarie ed è costretto a pagare il danno di una vita stravolta e in più la beffa dell’ingratitudine incassata dalle anime belle con le quali ha condiviso fino a poco tempo fa la stagione delle vacche grasse e dalle quali adesso si vede ripudiato come se fosse un lebbroso..». Con chi ce l’aveva il 25 settembre Nino Mandalà, chi erano le «anime belle» di cui si lamentava? Se le dichiarazioni di Gaspare Spatuzza sul presidente del Senato che nel 1991 avrebbe incontrato certi suoi clienti in un capannone frequentato anche dai terribili fratelli Graviano sono all’esame dei pm, se un nuovo memoriale del pentito Francesco Campanella, che è stato presidente del consiglio comunale di Villabate – già querelato da Schifani, con i giudici che hanno dato ragione a lui e torto al pentito perché «in alcuni casi le sue dichiarazioni erano palesemente infondate» – è rifinito in procura per un «approfondimento», le dichiarazioni di Nino Mandalà non sono state mai smentite. Come questa, fatta in pubblica udienza qualche anno fa. Mandalà risponde a domanda del pm e dei difensori di altri imputati: «Io con il senatore La Loggia e successivamente anche con il senatore Schifani ho avuto un rapporto che risale agli anni 70..poi abbiamo avuto rapporti di amicizia che prescindono dalla militanza politica che risale al 1994 quando nasce Forza Italia. È un rapporto d’amicizia, un rapporto anche di interessi comuni, assieme siamo stati soci in una società (la Sicula Brokers ndr) io come consigliere delegato e lui come presidente.
Sono stati al mio matrimonio sia La Loggia che Schifani..». E ancora: «Questi erano i rapporti quando è stato arrestato mio figlio Nicola per duplice omicidio, ho vissuto un momento drammatico, mi sarei aspettato solidarietà da parte sia di La Loggia che da Schifani. Invece ho ottenuto che entrambi si siano defilati, non mi hanno dato la solidarietà che mi aspettavo, anzi oserei dire che mi hanno quasi rinnegato».
Chissà cosa scriverà ancora Nino Mandalà sul suo blog. E chissà quale decisione prenderanno i magistrati di Palermo nell’inchiesta che lambisce il presidente del Senato. Da un paio di settimane in procura serpeggia però qualche malumore perché, fanno sapere i soliti beni informati, sembra che lì dentro – e ai vertici – qualcuno abbia una certa intimità con il presidente Schifani. Vero? Falso? Vedremo come si farà vivo prossimamente, sul web, il capo mafia presunto di Villabate.
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