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La silenziosa rivoluzione di Clara M.

Il 9 ottobre 1970 il primo passo verso l’approvazione della legge sul divorzio. Due mesi dopo una valanga di istanze invade i tribunali. Tra le tante c’è anche quella di una donna madre di tre figli. Che oggi, non senza fatica, ricorda che cosa voleva dire essere “una divorziata” nell’Italia di quarant’anni fa

Il 9 ottobre 1970 il primo passo verso l’approvazione della legge sul divorzio. Due mesi dopo una valanga di istanze invade i tribunali. Tra le tante c’è anche quella di una donna madre di tre figli. Che oggi, non senza fatica, ricorda che cosa voleva dire essere “una divorziata” nell’Italia di quarant’anni fa

Roma. «Di quegli anni ricordo la solitudine e il silenzio mentre intorno a noi tutto cambiava. Fuori c´era un gran frastuono, c´erano i cortei, le manifestazioni, nella mia vita invece era arrivata la quiete. Da donna sposata ero diventata una donna divorziata, era il 1973, prima c´erano state la violenza, i tradimenti, tre figli e la separazione, ma il legame con lui esisteva ancora, era ancora il suo cognome che portavo. La sentenza di divorzio mi restituì la libertà, la fine della paura quando il mio ex marito tornava a casa, la fine delle umiliazioni, ma anche l´inizio di una vita incerta, i soldi con il contagocce, i ragazzi da crescere da sola, il giudizio sociale. E i nostri amici che ad un tratto sono diventati i suoi amici». Quarant´anni dopo e a Clara sembra ieri.
La stessa casa nel quartiere Parioli, il palazzo fine anni Trenta con le finestre affacciate sulla grigia e monumentale chiesa del Sacro Cuore Immacolato di Maria in piazza Euclide, e oltre il bosco di Villa Glori. «Lì, passeggiando con il nostro vecchio labrador, decisi che volevo il divorzio, che potevo farcela». Settantotto anni portati con leggerezza, gli occhi verdissimi, «i suoi smeraldi» dice scherzando la figlia Giovanna, che l´ha fatta diventare nonna tre volte, e il pudore ma anche la voglia di raccontarsi – pur senza rendere pubblico il proprio cognome. Sono memorie nitide, quelle di Clara M., come le tante foto in cornice in questo salotto romano. «La vecchiaia per fortuna non mi ha ancora offeso», ammette. Nell´autunno del 1970 aveva già due decenni di matrimonio alle spalle, nessun lavoro, nessun reddito «proprio», ma soltanto la voglia di ricominciare, «e di uscire – dice – da una prigione». Sul tavolino tra i divani due libri di Marguerite Yourcenar, Memorie di Adriano e L´opera al nero. «Leggo e rileggo, è il privilegio di avere tanto tempo per sé…».
Quarant´anni fa. Migliaia di coppie già legalmente separate attendevano in quelle settimane che finalmente il Parlamento sbloccasse la legge sul divorzio, firmata da Antonio Baslini e Loris Fortuna. Ovunque la Lid, la Lega italiana per il divorzio di Marco Pannella e Mauro Mellini, raccoglieva firme e consensi, con l´appoggio di riviste considerate spregiudicate, come Stop o Abc, a cui i separati inviavano lettere con le loro storie di amori clandestini, definendosi «fuorilegge del matrimonio». Poi la svolta, il 9 ottobre del 1970, con il «sì» del Senato e il rinvio della legge alla Camera, dove due mesi dopo, alle sei del mattino dell´1 dicembre, il presidente Sandro Pertini annuncia che «il divorzio è legge dello Stato, la legge numero 890». Nelle tre ore successive una valanga di istanze di divorzio già preparate da mesi si rovesciano nelle cancellerie dei tribunali. «Tra i primi a cancellare il proprio matrimonio – scrive Noi donne nel 1971 – c´è Garibaldi Nuccetelli, settantadue anni, che finalmente può sposare dopo trentacinque anni di convivenza Gasperina Colasanti, sua coetanea, con una gran festa di figli e nipoti».
«Il divorzio l´ho voluto io, fortemente. Il nostro – racconta Clara – era stato un amore fin da ragazzi, entrambi di famiglie calabresi, un mondo chiuso e tradizionale, anche se benestante, e per fortuna avevo qualcosa dietro le spalle, altrimenti dopo il divorzio i ragazzi ed io saremmo finiti in povertà. Mi sono sposata a vent´anni, mio marito aveva un carattere difficile ma travolgente, l´ho seguito a Roma, l´avrei seguito ovunque, avevo un diploma magistrale, l´abilitazione all´insegnamento, ma in realtà mi sembrava naturale fare la moglie, e poi, quasi subito, diventare madre». Ma l´amore, la pace durano poco. Clara stringe un po´ gli occhi, diventano fessure verdi, intense, guarda Giovanna, la figlia. «In dieci anni ho avuto tre bambini, Marco, Giulio e Giovanna, me ne sono occupata in modo totale, un innamoramento assoluto, mio marito non c´era mai, faceva il costruttore, credo abbia guadagnato cifre enormi in quel periodo. Ma è allora che è cambiato: è diventato irascibile, violento, con me, con i figli. Sapevo da tempo che c´erano delle altre, storie senza importanza, diceva lui. Non era così». È la fine degli anni Sessanta, il divorzio è legge in gran parte d´Europa, non ancora in Italia, dove nonostante il sempre più alto numero di separazioni, la resistenza della Chiesa è feroce. Fa scandalo Franca Viola che a diciassette anni in Sicilia rifiuta il matrimonio riparatore con il suo stupratore, e riesce poi a farlo condannare, diventando così il simbolo della battaglia delle donne contro la violenza sessuale.
«Quando è passata la legge – dice Clara scandendo date e parole come se le portasse scritte dentro da tutta una vita – eravamo già separati. Ma in silenzio. Quasi in segreto. Il nostro era un ambiente cattolico, borghese, meridionale, tutto accadeva ma nell´ombra, quasi in una omertà collettiva. Lui avrebbe continuato così, magari presentandosi la domenica con le paste… Abbiamo divorziato nel 1973, avevo quarantuno anni, due figli al liceo e una bambina alle scuole elementari. Una liberazione, sì, una liberazione, la notte mi alzavo ad ascoltare il respiro dei miei figli, sapevo che lui non sarebbe rientrato e mi sentivo una donna nuova. Ma fuori, nel mondo, e anche in Calabria per la mia famiglia, le cose erano diverse: ero diventata una divorziata. E ne ho pagate tutte le conseguenze. Oggi sembra difficile pensarlo, ma al di là dai circuiti della politica o del femminismo divorziare era un atto di coraggio e di rottura. Che però non ho mai rimpianto».
Fuori dalle finestre gli alberi di Villa Glori hanno già qualche colore d´autunno. «Di quegli anni ho delle memorie vaghe – racconta adesso Giovanna, la figlia di Clara – so soltanto che mio padre piano piano sparì del tutto, non ci portava più fuori nemmeno nei giorni di festa… Nella mia classe c´erano già altri figli di divorziati, era una scuola pubblica, sono i miei fratelli ad aver sofferto di più, erano già grandi, studiavano dai preti, credo che si vergognassero, all´inizio facevano finta che tutto fosse come prima, che nostro padre fosse fuori per lavoro. Ricordo che anche mia madre iniziò a pronunciare la parola “lavoro”, spesso partiva, portandomi con sé, aveva iniziato ad amministrare le sue terre in Calabria, è così che ci ha mantenuto e ci ha fatto studiare, io sono medico, loro due ingegneri…».
La vittoria nel 1974 dei «No» al referendum sul divorzio, la riforma del Diritto di famiglia, il movimento di liberazione delle donne, la battaglia sull´aborto in pochi anni sconvolgono la morale comune. Ma solo nel 1987 i tempi di attesa tra separazione e divorzio passano da cinque a tre anni, e tuttora la legge italiana resta tra le più restrittive d´Europa. «Non mi sono mai risposata – sorride Clara – ma qualche anno dopo ho incontrato Gerardo, era il padre di un compagno di scuola di Giovanna, separato dalla moglie. Mi sono sentita rispettata per la prima volta. Ma abbiamo iniziato a convivere soltanto quando tutti i nostri figli sono usciti di casa. Soltanto allora siamo diventati una famiglia allargata, come si dice oggi. Gerardo è morto tre anni fa, e i miei nipoti mi hanno regalato un cucciolo di labrador e l´hanno chiamato Pic. Mi costringe a passeggiare. E pensare. E ricordare».

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