Nel centro della Basilicata battezzato a partire dalla sua erba più famosa, la salvia, sono stati riportati i resti di Passannante, l’attentatore con coltellino del re Umberto I. Più di un secolo dopo, non gli è stato però restituito l’antico nome. C’è chi ancora si batte e chi no
Nel centro della Basilicata battezzato a partire dalla sua erba più famosa, la salvia, sono stati riportati i resti di Passannante, l’attentatore con coltellino del re Umberto I. Più di un secolo dopo, non gli è stato però restituito l’antico nome. C’è chi ancora si batte e chi no
SAVOIA (GIÀ SALVIA) DI LUCANIA (PZ). Dorme sulla collina. «È lì, a sinistra», indica la signora Gerarda. Nell’ossario del cimitero che si affaccia sulla valle e sugli abbondanti cespugli di salvia spontanea riposano i resti di Giovanni Passannante, l’anarchico lucano che la sera del 17 novembre 1878 tentò di accoltellare il re Umberto I a Napoli. Il ritratto nell’ovale mostra un uomo giovane con i baffi, i capelli pettinati a onde, l’aria seria e la sciarpa-cravatta tipici degli anarchici dell’800. Nato a Salvia di Lucania il 19 febbraio 1849, morto il 14 febbraio 1910 a Montelupo Fiorentino. La scritta sulla lapide è affettuosa, se si considera che è istituzionale: «La storia di Giovanni Passannante restituita alla comunità salviana sarà custodita a futura memoria, con la speranza che egli possa ritrovare la sua pace. Traslato il 10 maggio 2007 dal museo criminologico di Roma». Firmato: regione Basilicata, comune di Savoia di Lucania. Poi un mazzetto di fiori con un nastro: «Comitato pro Salvia».
Savoia o Salvia? E perché il museo criminologico? Quel piccolo spazio nell’ossario è denso di fatti, un concentrato di storia. Una storia documentata anche nel libro Giovanni Passannante di Giuseppe Galzerano (1997), ma che una parte degli italiani ha potuto conoscere alcuni anni fa soprattutto grazie a L’innaffiatore del cervello di Passannante, bella opera teatrale dell’autore e interprete potentino Ulderico Pesce: «Giovanni crebbe soffrendo miseria ed emarginazione nella Basilicata poverissima dell’Ottocento post-unitaria. A 22 anni si dichiarò anarchico. E ovviamente antimonarchico. Propugnava una Repubblica universale dove gli anziani abbiano il diritto a una pensione e le donne un assegno di maternità». La realtà era lontanissima da questo ed egli pensò a un gesto del tutto inutile, inidoneo perfino per lo strumento utilizzato per dare l’assalto all’Umberto: un coltellino di otto centimetri, «buono solo a sbucciare le mele» come disse il negoziante che glielo aveva ceduto in cambio di una giacca. Umberto ne riportò qualche scalfittura.
Torturato con ferri ardenti perché si pensava a un complotto, Passannante fu processato a Napoli in un’aula gremita come un teatro, con le signore bene venute a vedere il “mostro”. Condannato a morte, decise di non chiedere la grazia né di appellarsi. A Salvia andarono a rastrellare tutta la famiglia: sua madre Maria Fiore e tutti i fratelli – quelli non morti di stenti da piccoli – furono internati nel manicomio di Aversa. Non doveva rimanere traccia dei Passannante.
Il re Umberto con abile mossa politica decise la commutazione della pena. Peggio. Passannante fu sepolto vivo all’isola d’Elba nella torre del Martello o della Linguella, oggi detta torre Passannante. Incatenato con una palla al piede in una cella di due metri per uno, alta un metro e mezzo, senza finestre, posta sotto il livello del mare e perciò spesso allagata, passò dieci anni in uno stato di assoluta privazione e solitudine. Ai secondini era vietato parlargli. Si ammalò di scorbuto. Diventò una larva cieca. Solo a una giornalista fu permesso spiarlo dal buco della serratura, ma nessuno le pubblicò gli articoli che inorridita scrisse. Dopo dieci anni il deputato socialista Agostino Bertani riuscì con molte insistenze a farlo trasferire nel manicomio di Montelupo Fiorentino. Dopo la morte, Giovanni Passannante divenne oggetto di studi lombrosiani. Il cranio trapanato, il cervello espiantato. Infine o suoi resti e i suoi scritti furono trasferiti al museo criminologico, appunto.
E laggiù a Salvia… nel 1879, per farsi perdonare di aver dato i natali al mostro Passannante, il sindaco Parrella chiese al re il permesso di cambiare nome al paese. Accordato. E non fu più Salvia ma Savoia. «Savoia di Lucania, comune d’Europa». Il cartello segnaletico che dà il benvenuto nel paese spuntando da cespugli di mentuccia è arrugginito e sforacchiato. Certo non sarebbe un grosso problema sostituirlo, caso mai i salviani, che sono 1.180, decidessero di tornare al terapeutico nome di prima.
Dal 2007 il cervello di Passannante riposa in paese. Ulderico Pesce aveva accompagnato il tour teatrale con una petizione per seppellire i resti a casa. La regione Basilicata, oltre a finanziare il progetto “Allestimento museale Giovanni Passannante”, inoltrò la richiesta di traslazione avanzata dal Comitato pro Salvia al ministro della Giustizia Diliberto il quale diede il via libera.
Ma il paese continua a chiamarsi Savoia. Ogni tanto si presenta un’occasione per lavare via l’insulto. Quando a un certo punto i discendenti degli ex re d’Italia chiesero incredibilmente allo stato italiano un risarcimento di 260 milioni di euro per essere stati «ingiustamente» esiliati, il locale Comitato Pro Salvia annunciò che avrebbe chiesto ai Savoia un risarcimento «per un nome di cui non siamo fieri né orgogliosi».
Del resto, cos’hanno di Savoia lì a Savoia, a parte il nome? Gli abitanti non hanno mai smesso di essere chiamati e chiamarsi salviani; mai sono stati savoiardi. Lo stendardo del Comune ha come immagine la pianta della salvia, reintrodotta dal 2002 (tutto ufficiale, decreto del Presidente della Repubblica). Nei vasi davanti al comune crescono ancora timide pianticelle di salvia. I muri delle vie – ogni angolo uno scorcio panoramico – hanno murales con la storia del san Rocco il patrono malato di peste e con i costumi tipici salviani, ma anche con diversi omaggi a Giovanni Passannante. Il cui ritratto campeggia sulla porta del “Museo pubblico salviano” che una volta ristrutturato il castello si trasferirà là in cima. Un gruppo di giovani del paese hanno girato un film con attori non professionisti.
Nell’ufficio del sindaco è appeso al muro l’elenco dei suoi predecessori e funziona così: sindaci di Salvia dal 1836 al 1878; sindaci di Savoia dal 1883 al 1919; podestà 1920-1939; commissariamento anni 1931, 1937, 1938,1946 e 1984; sindaci di Savoia dal 1944 al 2009. Sogniamo che possa proseguire così: «Sindaci di Salvia dal 2010 in poi». Ma c’è margine per questa svolta?
Ha qualche incertezza il sindaco Felice Cavallo, in carica dalle elezioni del 2009, giunta schierata a sinistra-centro: «In questo momento preme completare il castello per trasferire e valorizzare tutto il percorso storico di Giovanni Passannante. Dall’università di Potenza vengono a fare tesi. Siamo anche interessati a ospitare un convegno di anarchici e storici. Se si cambia il nome, potrebbe anche finire tutto lì. Il nome Savoia potrebbe anche servire a ricordare l’episodio». E il sindaco riferisce dell’idea di inserire nella dicitura «già Salvia». Ma non è lo stesso sito del Comune a tacciare il cambio del nome nel 1879 di «inqualificabile atto di servilismo»? «È vero. E in effetti al tempo del rientro dei resti di Passannante si pensò a un referendum consultivo. Poi non si fece, anche per varie incomprensioni». Remo Cavallo del Comitato Pro Salvia è deciso: «Non credo che cambiando il nome finisca tutto; anzi, credo esattamente il contrario, perché cambiare il nome, coinvolgendo comune, regione e nazione, significa realmente riscrivere parte della storia, e dare continuità e senso alla storia del luogo natìo. Non è un atto formale ma sostanziale, se ci si arriva attraverso un percorso di riconoscimento storico del ruolo di Giovanni Passannante. In quei pochi scritti che ci ha lasciato parla di assegno per le gestanti e gli anziani, di repubblica universale, di lotta contro la miseria. Sono tutti aspetti di grande attualità. Una nuova storia trova origine attraverso il riconoscimento delle proprie radici recise in modo violento e arbitrario».
Ma chi dovrebbe decidere sul ritorno a Salvia? I salviani, dice il sindaco: «Con il coinvolgimento e nel rispetto del principio di trasparenza e di partecipazione, si può indire un referendum consultivo che coinvolga tutta la comunità». I salviani, dice il Comitato Pro Salvia: «Devono decidere i salviani ovviamente, ma è una battaglia dove nessuno può rimanere neutrale, nemmeno gli amministratori. Occorre un processo di sensibilizzazione tale da portare la collettività salviana ad affrontare il referendum con consapevolezza e in un clima di piena coscienza civile».
Tentiamo un microsondaggio fra le persone del paese. L’addetta della tabaccheria: «Cambiare nome? Mah…i problemi sono altri qui. Non c’è lavoro, per esempio». Una signora dice: «Siamo abituati a Savoia. Sì, è vero, hanno fatto tanti danni. E però, cambiare il nome, costerebbe anche… tutti i documenti nuovi andrebbe fatti!». Scava scava, il “costo” sembra essere l’unica remora di tutti. Anche un signore che passa nella parte più antica, vicina al castello, a via del Popolo, dalla quale si dipartono tanti vicoli (vico del popolo I, vico del popolo II…), dice «ma non lo cambieranno il nome». E perché? «Perché costa, e già ci sono tanti problemi». Il piccolo emporio vende brocchette da vino di ceramica fatta a mano da quelle parti, con la scritta ‘Savoia di Lucania’: «Quelle con Salvia di Lucania sono finite, le abbiamo fatte fare quando sembrava in vista il referendum». Anche lei pensa che il cambio dei documenti e relativi costi renderà impossibile tornare al nome di prima. Riportiamo al sindaco queste obiezioni: «Eh, l’aspetto ideale e simbolico sembra interessare poco per ora».
Ma proviamo a fare due conti: i passaporti non recano l’indicazione della residenza e quanto al luogo di nascita, finora si è chiamato Savoia e tale può restare. Per la patente si può aggiornare gratis la residenza. La carta d’identità la fa il Comune, e potrebbe cambiarla gratis, magari con un piccolo sostegno da parte della regione o di altri enti locali. E poi, non potrebbe diventare Salvia il paese d’elezione per convegni erboristici e di medicina naturale? «La salvia ti salva» recita un noto proverbio popolare che ha diverse parafrasi. E nel dialetto che fu dei re d’Italia si dice tuttora «se la fumna la saveisa le virtù d’la salvia la sareisa mai maravia»: «Se la donna conoscesse le virtù della salvia non sarebbe mai ammalata»). Non potrebbe il cambiamento del nome far notizia e attirare a Salvia-ex Savoia-ex Salvia un “turismo” particolare, storico, e anche naturalistico per via delle montagne, della cascata Luceto, dei sentieri, del borgo antico, del castello in ristrutturazione che ospiterà il museo, degli silenzio, degli orizzonti? La zona non è quasi conosciuta turisticamente. Gli abitanti in età da lavoro fanno i pendolari con Potenza (in auto o in bus) o ci si sono trasferiti. Savoia/Salvia languirà nell’abbandono? Alternative esistono. «L’amministrazione comunale, con la regione Basilicata ha l’idea di recuperare il borgo intorno al castello per destinarlo ad albergo diffuso e creare un legame con quella che sarà la sede definitiva del museo» dice il sindaco. Per la rinascita di Salvia c’è da sperare anche nei ragazzi del luogo che hanno collaborato al film. E nella ricorrenza del centocinquantenario d’Italia, occasione per rivendicare un’altra storia e farne presente e futuro, come ci ricorda l’appuntamento di Teano in ottobre. In prossimità di un grande albicocco nato e cresciuto su un dirupo che chissà come si tiene su – «e fa moltissimi frutti» – la signora Gerarda si congeda regalando pomodori e sottoli autoprodotti. L’ospitalità dei salviani a camminatori, erboristi, anarchici, turisti alternativi e perfino sondaggisti, parrebbe cosa certa.
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