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Schiaffi, ricorsi, strategie contrapposte i giorni più neri del sindacato rosso

Camusso non parla più con il segretario Fiom. Cremaschi: “Congresso truffa”
Camusso non parla più con il segretario Fiom. Cremaschi: “Congresso truffa”

C’È UN clima tesissimo in quello che resta il più grande sindacato italiano (oltre sei milioni di iscritti, pensionati compresi). Volano schiaffi e calci nelle assemblee dei delegati, come è accaduto a Milano venerdì scorso, davanti agli occhi della Camusso. A Bologna arrivano gli autoconvocati contro la Camusso. Che, all’inizio del mese, per contrastare il niet di Landini all’intesa sulla rappresentanza si era rivolta al Collegio Statutario. Giorgio Cremaschi, ex fiommino, primo firmatario del documento congressuale alternativo per un sindacato movimentista e radicale, che è
stato tra i protagonisti dell’inedita zuffa milanese, dice che «c’è una gestione truffaldina del congresso». Difficile ritrovare le parole, la tradizione, la cultura, la tolleranza, i gesti di quel che è stato il sindacato di Giuseppe Di Vittorio, Luciano Lama, Bruno Trentin. L’unica grande organizzazione in cui hanno sempre convissuto tutte le anime della sinistra italiana. Oggi la Cgil è ancora solo di sinistra, senza contaminazioni.
Ma cosa succede in Cgil? Milano rimane un caso unico, peraltro senza precedenti nella storia centenaria confederale. L’ “agibilità”, come dicono i sindacalisti, non è stata impedita a nessuno nei congressi di base, quelli che si svolgono nei luoghi di lavoro. Ma gli spintoni di Milano sono la spia di un malessere profondo. Si è superato un confine. Tutti l’hanno capito, soprattutto i funzionari che abitano il palazzone romano di Corso d’Italia. «Siamo sconcertati — dice uno di loro che chiede di non essere citato — , questa vicenda finirà male. Alla fine la Fiom non si adeguerà e ci saranno due sindacati: la Cgil e la Fiom». Ma senza scissioni, in una convivenza impossibile.
«I toni sono troppo alti, esasperati », sostiene Nino Baseotto, segretario generale della Cgil Lombardia, la prima Regione con i suoi 915 mila iscritti. Aggiunge: «È un momento molto difficile. Credo che ci sia la volontà di una personalizzazione e radicalizzazione dello scontro». Certo l’ultimo carteggio tra Landini e Camusso colpisce per l’asprezza dei toni. Soprattutto nell’ultima lettera inviata, proprio venerdì, da Landini alla Camusso dopo aver constatato l’impossibilità di una riunione tra il segretario generale della Cgil e il Comitato centrale della Fiom, al quale in quattro anni non ha mai partecipato. «In questo modo — scrive Landini — si nega la possibilità di svolgere una vera discussione di merito sui contenuti dell’accordo e si conferma una logica autoritaria di gestione della Cgil». È scritto nero su bianco, non è una dichiarazione espressa a caldo. Ormai è del tutto evidente che Landini, con la Fiom, non sosterrà più la mozione congressuale della Camusso. «Il congresso è cominciato con una maggioranza, penso che finirà con un’altra. L’accordo sulla rappresentanza ha cambiato le carte sul tavolo », osserva Marigia Maulucci, ex cofferatiana di ferro, passata all’area de “La Cgil che vogliamo” guidata da Gianni Rinaldini, predecessore di Landini alla Fiom. Rinaldini come altri ex Fiom è rimasto senza incarichi in Cgil. Non ha ricevuto alcuna proposta. Landini non esita a parlare di «discriminazioni ». «Sono espressione dellaminoranza per questo è più difficile trovargli una collocazione », ribattono dallo staff della Camusso. Questo è diventato il clima quotidiano nella Cgil.
Riaffiorano vecchi rancori, come potrebbe essere quello della stessa Camusso che a metà degli anni Novanta venne cacciata dalla Fiom da Claudio Sabattini, il padre putativo di Rinaldini ma anche di Landini, per aver firmato con la Fiat un accordo sul lavoro notturno per le donne. Oppure si intravede il malessere degli ex comunisti nel constatare che gli ex socialisti, un tempo la minoranza della confederazione, ora siedono, a cominciare proprio dalla Camusso, nei posti chiave di Corso d’Italia. Anche il responsabile organizzativo, Vincenzo Scudiere, era socialista.
Affiora l’insofferenza di altre categorie nei confronti dei metalmeccanici. Walter Schiavella, segretario generale degli edili (la Fillea), di stretta osservanza camussiana: «L’accordo sulla rappresentanza non riguarda solo la Fiom. Riguarda anche noi edili e io vorrei che venisse esteso alle piccole imprese. Questo è il problema vero». Ma serpeggia anche tra i membri della segreteria nazionale qualche dubbio sulla gestione dell’intera vicenda. «Penso che si dovesse discutere di più sull’accordo anziché blindarlo. Quell’intesa andava spiegata meglio», spiega Fabrizio Solari.
È come assistere a una metamorfosi della Cgil. Per gli scontri di Milano, ma pure per questioni più tecniche, molto sindacali. Paolo Feltrin, politologo all’Università di Trieste la sintetizza così: «È uno scontro tra confederazione e categoria sulla titolarità a contrattare. La Fiom rivendica la sua supremazia. Negli anni ’60 era la posizione della Cisl. Così sta giungendo a conclusione un’epoca: l’aprirono Trentin e Sabattini, la stanno chiudendo altri due esponenti della Fiom». Una guerra fratricida.

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