? «Crowd painting» di Donald Baechler

Evoluzione. Due recenti volumi sulla genetica delle popolazioni a firma di Luca Cavalli-Sforza. E se «Chi siamo» ripercorre la storia che ha portato alla comparsa dell'«Homo sapiens», «Razzismo e noismo», denso dialogo con Daniela Padoan, affronta i rischi della sua teoria che cancella l'unicità del singolo
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Il potere del “noi”

? «Crowd painting» di Donald Baechler

Evoluzione. Due recenti volumi sulla genetica delle popolazioni a firma di Luca Cavalli-Sforza. E se «Chi siamo» ripercorre la storia che ha portato alla comparsa dell’«Homo sapiens», «Razzismo e noismo», denso dialogo con Daniela Padoan, affronta i rischi della sua teoria che cancella l’unicità del singolo

? «Crowd painting» di Donald Baechler

Evoluzione. Due recenti volumi sulla genetica delle popolazioni a firma di Luca Cavalli-Sforza. E se «Chi siamo» ripercorre la storia che ha portato alla comparsa dell’«Homo sapiens», «Razzismo e noismo», denso dialogo con Daniela Padoan, affronta i rischi della sua teoria che cancella l’unicità del singolo

Le cro­na­che danno molto risalto a una lezione di un uomo di chiesa con­tro la teo­ria evo­lu­zio­ni­sta di Char­les Dar­win nel con­di­zio­nare le sue scelte uni­ver­si­ta­rie. Ma di quella lezione ci sono invece poche tracce nelle tante inter­vi­ste e scritti di Luca Cavalli-Sforza, medico di for­ma­zione uni­ver­si­ta­ria, spe­cia­liz­za­zione in sta­ti­stica e rico­no­sciuto come uno dei più impor­tanti gene­ti­sti del Nove­cento. Cavalli-Sforza è una figura di ricer­ca­tore che prima di avan­zare un’ipotesi ha già accu­mu­lato una mole di dati tesa a dimo­strarla. Poi la veri­fica, sia in labo­ra­to­rio che sul campo. Sono infatti note le sue per­ma­nenze presso alcune popo­la­zioni che pos­sono, a par­tire dalla loro orga­niz­za­zione sociale, aiu­tare a com­pren­dere come vive­vano i nostri arcaici ante­nati. Per que­sto, ha sem­pre intrat­te­nuto buoni rap­porti sia con gli antro­po­logi che con etno­grafi, espo­nenti di due disci­pline che sono col­lo­cati nel con­ti­nente della «cul­tura», men­tre tra i gate kee­per per acce­dere ai ter­ri­tori della «natura» è spesso inse­rito pro­prio Cavalli-Sforza, anche se il suo lavoro di ricerca può essere con­si­de­rato un ponte get­tato per supe­rare la visione dico­to­mica che ha posto su fronti con­trap­po­sti le disci­pline uma­ni­ste e quelle scientifiche.

Cavalli-Sforza è, inol­tre, uno scien­ziato che crede nella capa­cità della scienza di for­nire stru­menti ana­li­tici per com­pren­dere la realtà. Non è però uno scien­ti­sta, cioè un ricer­ca­tore che asse­gna alla scienza il potere di defi­nire come deb­bano fun­zio­nare la società, l’economia, la poli­tica. È un illu­mi­ni­sta ostile a qual­siasi super­sti­zione e sospet­toso con ogni reli­gione, quando quest’ultime pre­ten­dono di far discen­dere dal sopran­na­tu­rale le norme del vivere in società.

Un buon eser­ci­zio del dubbio

Nei suoi scritti, infatti, invita sem­pre a quel dif­fi­cile eser­ci­zio del dub­bio caro alla tra­di­zione di Vol­taire, Dan­ton e Rous­seau, anche se ritiene «ragio­ne­vole» indi­vi­duare nella spi­ri­tua­lità uno degli ele­menti qua­li­fi­canti del vivere in società dell’animale umano. Anche sul rap­porto tra scienza e società non ha mai assunto posi­zioni «radi­cali». È con­sa­pe­vole che esi­stono pres­sioni per indi­riz­zare la scienza in dire­zioni che pos­sono coin­ci­dere con quelle delle imprese eco­no­mi­che, ma ritiene anche in que­sto caso «ragio­ne­vole» sup­porre che le regole dell’attività scien­ti­fica – ipo­tesi da con­fer­mare secondo pro­ce­dure certe e, in seguito, svi­lup­pare un modello ripro­du­ci­bile – garan­ti­scano l’autonomia dei ricer­ca­tori dagli inte­ressi eco­no­mici. È que­sta con­vin­zione che ha orien­tato la sua atti­vità di medico prima, di gene­ti­sta poi.

Il suo mag­giore con­tri­buto per la gene­tica può essere facil­mente rias­sunto così: l’homo sapiens è frutto dell’evoluzione; è un discen­dente delle scim­mie antro­po­morfe che, una volta com­parso sulla terra, si è dif­fuso su tutto il pia­neta. Que­sto non esclude il fatto che i sapiens abbiano con­di­viso la terra con altre «fami­glie» di uma­noidi e che ci pos­sono essere stati «scambi» tra di loro. Da qui l’ipotesi che non esi­stono «razze», bensì dif­fe­ren­zia­zioni di una spe­cie dovute a mol­te­plici fat­tori, tanto natu­rali che «sociali». Per veri­fi­care que­sta ipo­tesi Cavalli-Sforza, che ha svolta la sua atti­vità tra l’Italia, l’Inghilterra e gli Stati Uniti, ha svolto molto lavoro di labo­ra­to­rio, chino sui micro­scopi e coin­volto nell’analisi di Dna recente e dei fram­menti di quello «arcaico» recu­pe­rato. Poi, zaino in spalle, è andato in giro per il mondo, vivendo mesi con popo­la­zioni, come i pig­mei, che hanno uno stile di vita e un’organizzazione sociale che può essere com­pa­rata a quella che riguar­da­vano gli anti­chi ante­nati dell’homo sapiens.

Il volume che meglio di altri rac­co­glie la lunga avven­tura che Cavalli-Sforza ha vis­suto e con­ti­nua a vivere è con­te­nuta nel libro ristam­pato in forma ampliata da Codice Edi­zione. Il titolo è Chi siamo, scritto con Fran­ce­sco Cavalli-Sforza (pp. 425, euro 27). È un sag­gio bello da leg­gere e da sfo­gliare e un anti­doto alle tante scioc­chezze raz­zi­ste che inqui­nano la discus­sione pub­blica. Allo stesso tempo è una delle migliori argo­men­ta­zioni di una let­tura non «orto­dossa» della teo­ria dell’evoluzione di Char­les Dar­win, teo­ria che costi­tui­sce l’implicito sfondo ana­li­tico dove col­lo­care l’opera di Cavalli-Sforza.

Se i sapiens sono da con­si­de­rare espres­sione di una evo­lu­zione durata cen­ti­naia di migliaia di anni come spie­gare le diver­sità lin­gui­sti­che, mor­fo­lo­gi­che degli attuali abi­tanti umani della Terra? Qui la gene­tica lascia il passo all’antropologia, alla lin­gui­stica, anche se le rispo­ste fanno leva pro­prio su una visione dina­mica dell’evoluzione, dove l’habitat natu­rale signi­fica clima, pre­senza ani­male, ali­men­ta­zione, rela­zioni tra spe­cie diverse. Cavalli-Sforza invita a sof­fer­marsi sulla cop­pia invarianza-differenziazione. Esi­stono cioè delle inva­rianti, cioè tratti comuni a tutte le lin­gue, ma anche dif­fe­ren­zia­zioni storico-sociale che sono inter­ve­nuti per garan­tire la migliore ripro­du­zione della spe­cie. L’animale umano è un ani­male sociale, che tende sem­pre all’incontro con l’«altro». Un con­cetto che Cavalli-Sforza ha rac­chiuso nel temine «noi­smo», usato per indi­care l’attitudine a pri­vi­le­giare il noi al sin­golo. Da que­sto punto di vista la tesi del gene­ti­sta ita­liano va con­tro­cor­rente.

L’individuo, infatti, non è il cen­tro della società, bensì è il vivere col­let­tivo che è pri­vi­le­giato, per­ché solo la dimen­sione «sociale» garan­ti­sce le con­di­zioni otti­mali per la ripro­du­zione della spe­cie umana. Tesi dun­que lon­tana anni luce dallo spi­rito del tempo domi­nante, dove l’individualismo è dive­nuta una sorta di reli­gione delle società con­tem­po­ra­nee. È in que­sto cri­nale che la cop­pia «natura/cultura» perde potere per­for­ma­tivo. La cul­tura, infatti, è ele­mento com­ple­men­tare a quelle carat­te­ri­sti­che che ven­gono spesso rele­gate nel campo del natu­rale. La rela­zione sociale, il lin­guag­gio, la cosid­detta «rifles­si­vità» sono tanti tas­selli di un puzzle che acco­glie anche il Dna, le carat­te­ri­sti­che mor­fo­lo­gi­che, soma­ti­che, che sono sì dif­fe­ren­ziate a seconda dell’habi­tat natu­rale, ma che rive­lano forti ele­menti comuni.

Cavalli-Sforza non ha mai nasco­sto il rischio che il «noi­smo» possa avere derive feroci, come il raz­zi­smo, il geno­ci­dio, lo ster­mi­nio, un selet­tivo dar­wi­ni­smo sociale che porta a forme di oppres­sione su com­po­nenti della stessa «fami­glia umana», rite­nuti tut­ta­via un osta­colo alla ripro­du­zione della spe­cie. È il tema del fitto dia­logo a distanza che il gene­ti­sta intrat­tiene con Daniela Padoan nel volume Raz­zi­smo e noi­smo (Einaudi, pp. 325, euro 19), testo già recen­sito nelle pagine di «Alias della dome­nica» del 9 feb­braio da parte di Marco Maz­zeo. C’è però un aspetto del fitto dia­logo tra la filo­sofa e il gene­ti­sta che merita un’attenzione a parte. È la defi­ni­zione del «noi» che emerge tra le pagine. Noi, sostiene Cavalli-Sforza, è una ter­mine pre­sente che ha un ruolo fon­dante dell’identità indi­vi­duale in tutte le lin­gue. Il «noi» è il ter­mine al quale i sin­goli si richia­mano per qua­li­fi­care la pro­pria iden­tità indi­vi­duale. Si è sin­goli solo per­ché esi­ste il «noi». Un’affermazione densa di con­se­guenze per­ché, sostiene Padoan, quel «noi» può nascon­dere l’orrore. L’orrore dello ster­mi­nio di massa, della Shoah, di regimi auto­ri­tari, dello sfrut­ta­mento, dell’oppressione delle donne.

L’unicità dell’io

È un dia­logo avvin­cente quello che si snoda in que­sto volume. Cavalli-Sforza pun­tua­lizza, chia­ri­sce, prova a spie­gare per­ché il «noi» possa essere pie­gato alla legit­ti­ma­zione di atti e di regime oppres­sivi. È cioè con­sa­pe­vole dei rischi insiti nel «noi­smo» che, con tatto e intel­li­genza, l’intervistatrice mette in evi­denza. Come ha notato Maz­zeo, l’esperienza più dram­ma­tica è la Shoah, ma anche i con­tem­po­ra­nei movi­menti xeno­fobi, popu­li­sti, nazio­na­li­sti hanno nella distin­zione tra il noi e gli altri, descritti sem­pre attra­verso carat­te­ri­sti­che «ani­mali», il loro col­lante natu­rale. A ragione, tut­ta­via, i due autori con­cor­dano sul fatto che quel «noi» sia un fat­tore postic­cio, inven­tato, per­ché sta­bi­li­sce un con­fine tra chi ne fa parte e chi ne è fuori, ren­dendo le dif­fe­ren­zia­zioni pre­senti nella spe­cie umana un ele­mento di esclu­sione che, di volta in volta, cerca legit­ti­ma­zione nella natura o nella cultura.

Daniela Padoan pone però un que­sito su una con­trad­di­zione insita nel «noi­smo»: come il sin­golo può sot­trarsi all’imperativo del «noi»? La rispo­sta sta pro­prio in quell’apparente para­dosso cogni­tivo che postula l’esistenza dell’«io» per­ché esi­ste il «noi». Si è sin­goli e si può affer­mare la pro­pria uni­cità solo a par­tire dall’esistenza del noi. È in que­sta «dia­let­tica» che può mani­fe­starsi la sot­tra­zione del sin­golo dall’abbraccio, tal­volta sof­fo­cante, del noi. Sol­tanto che è una «dia­let­tica» che può tro­vare un punto di fuga pren­dendo con­gedo dalle «comu­nità inven­tate» per legit­ti­mare le gerar­chie sociali e di potere che il «noi» isti­tui­sce per ripro­durre la sua for­ma­liz­za­zione poli­tica. Ma per fare que­sto occorre con­tem­plare che il «noi­smo» non è una super­fi­cie liscia, ma è attra­ver­sata da vena­ture, da punti di frat­tura. Cioè di con­flitto, affin­ché quel «noi» possa essere riscritto e codi­fi­cato una volta che viene meno alla sua capa­cità di garan­tire l’unicità del singolo.

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