Quando i cattivi avevano un volto nell’Italia delle stragi

Un notevole vento di pessimismo pervade le pagine di Ultimo Requiem (Longanesi, pagg. 400, euro 16,40), il romanzo nel quale Mimmo e Nicola Rafele – padre e figlio – hanno ricostruito, in chiave distonica e immaginaria (ma neanche poi tanto) tredici tumultuosi anni di storia nazionale, dalla strage di Bologna alle bombe dell’estate del ’93.

Un notevole vento di pessimismo pervade le pagine di Ultimo Requiem (Longanesi, pagg. 400, euro 16,40), il romanzo nel quale Mimmo e Nicola Rafele – padre e figlio – hanno ricostruito, in chiave distonica e immaginaria (ma neanche poi tanto) tredici tumultuosi anni di storia nazionale, dalla strage di Bologna alle bombe dell’estate del ’93.

Con un finale contemporaneo che, nella tradizione del grande cinema di genere, affida il senso ultimo della narrazione al confronto fra l’eroe e l’antagonista, per un attimo, ma solo per un attimo, affratellati nella consapevolezza dell’ineluttabile che è nella storia di ogni essere umano.
Una complessa trama sotterranea, intrisa di sangue, violenza e tradimento, è all’origine del racconto. A manovrarne i fili un’oscura confraternita composta da politici, affaristi, spie, mafiosi. Tutti alleati in nome di un comune, supremo interesse: la conservazione del potere. Pochi coraggiosi intuiscono il disegno criminale, e cercano di opporsi con gli strumenti della legge, della tenacia, diciamo pure della fede. Sono giudici, po-
liziotti, persone comuni: e c’è chi combatte in nome di un’astratta idea di legalità, e chi perché spinto dalla vendetta per ferite che ancora sanguinano.
A volte sembrano a un passo dalla vittoria. Accade quando una rivelazione sconsiderata, un rovescio finanziario, l’improvviso cedimento di un accolito, un amore sbagliato, un’inchiesta particolarmente abile rischiano di smascherare la trama, rendendone palese a chiunque il sostrato malvagio.
Ma è proprio in questi momenti che la confraternita dei potenti rivela tutta la propria forza e la propria invincibilità. Il contrattacco non si fa attendere. Una formidabile macchina di propaganda e di sopraffazione viene messa in campo. Gli avversari sono comprati, o calunniati, o eliminati. Si fa molto rumore per nulla, ma alla fine anche le acque più agitate si calmano. E i giusti si ritrovano immancabilmente dalla parte sbagliata: isolati, quando va bene, ma per lo più vilipesi e disprezzati. Sarà accusato, questo libro, di rispolverare obsolete teorie complottistiche. Andavano di moda qualche anno fa, quando si faceva un gran discutere di “doppio Stato” e “doppia lealtà” per sostenere che, all’origine del Grande Mistero Italiano, non c’era nient’altro che la Guerra Fredda. Ora sono state frettolosamente abbandonate. La verità storica sulla stagione delle stragi sembra interessare solo pochi superstiti. Magari altrove è diverso, ma da noi va di moda sostenere che, in fondo, è andata com’è andata perché così doveva andare.
Il fatto è che bisogna intendersi bene sul termine “complotto”. Alla favoletta della Spectre non si può credere, ma alla convergenza degli interessi è difficile contrapporre valide argomentazioni. E a volte la convergenza degli interessi si materializza sotto forma di bombe, altre volte procura ventitré coltellate a un dittatore di nome Giulio Cesare. Semmai, c’è da dire che l’epica nefasta raccontata in questo romanzo appartiene a una stagione in cui ai “cattivi” era possibile dare un volto. Oggi, in tempo di dominio del capitale finanziario, le cose sono ancora più complesse. Per dirla con il giallista svedese Arne Dahl, oggi chi indaga sulle connessioni fra grande criminalità organizzata e flussi finanziari ha la sensazione di combattere contro un’intera epoca. Ed è una sensazione, peraltro, alla quale i Rafele si avvicinano laddove descrivono la congrega dei manipolatori come una specie di consesso delle divinità olimpiche: loro, distaccati e severi, dispongono dei nostri destini, ma non si sporcano le mani. Alla bassa cucina – depistaggi e massacri inclusi – provvediamo noi umani, volonterosi carnefici di noi stessi a libro paga degli eterni padroni.
I Rafele, infine, sono entrambi sceneggiatori, e padroneggiano con agilità estrema la scivolosa materia, imprimendole un deciso respiro cinematografico. Un network intelligente potrebbe trarne utili spunti per, ad esempio, una saga sulla stagione delle stragi. A patto, ovviamente, di accantonare la pretesa di evitare polemiche accontentando tutti con uno scolorito elenco di fatti.
Ultimo Requiem non è un saggio storico, né una ricostruzione operata con criterio scientifico. Al contrario, offre un’interpretazione in chiave metaforica del Grande Mistero Italiano: il plot di un demiurgo bizzarro che non nasconde la propria simpatia per i “cattivi” e perciò ci svela, con disperato sconcerto, la grande illusione del Potere.
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ULTIMO REQUIEM
di Mimmo e Nicola Rafele, Longanesi pagg. 400 euro 16,40

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