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Perché oggi il vero eroismo significa vivere nascosti

La “società dello spettacolo” è piena di trappole per chi vuole essere all’opposizione. Il caso emblematico della ragazza norvegese che ha cercato di sottrarsi alla modernità
La “società dello spettacolo” è piena di trappole per chi vuole essere all’opposizione. Il caso emblematico della ragazza norvegese che ha cercato di sottrarsi alla modernità

L’espressione “icona ribelle” è un ossimoro, vale a dire una figura retorica che consiste nell’accostare nella medesima locuzione parole che esprimono concetti contrari. Infatti, nessun vero ribelle può ammettere di essere compreso in una categoria che appartiene a quella società dello spettacolo, dell’immagine, del consumismo, dello sfruttamento capitalistico che egli combatte. Il fatto che ciò avvenga, suo malgrado, appartiene a quel fenomeno che già i situazionisti, cinquant’anni fa definirono col termine di “ricupero”. A quell’epoca la comunicazione mediatica non aveva ancora raggiunto le dimensioni pervasive ed epidemiche che noi oggi ben conosciamo. Tuttavia già nell’autunno del 1966 il più importante settimanale italiano diede grande rilievo alla prima manifestazione della contestazione studentesca radicale in Europa, il cosiddetto “scandalo di Strasburgo”, con un’ampia intervista a Mustapha Khayati, l’autore di un pamphlet particolarmente virulento nei confronti dell’establishment accademico e culturale. Egli tuttavia rifiutò di sfruttare per altri fini questa sua effimera celebrità mediatica e tantopiù di diventare un’icona, seguendo l’antico principio epicureo lathe biosas “vivi nascosto”.
A mio avviso, il centro del problema non è tanto una questione di coerenza morale, o d’insicurezza personale: non bisogna dimenticare che la fiducia in se stessi, ciò che in inglese si dice pride, è più una qualità positiva che un vizio. La magnificenza, cioè la virtù di concepire e di iniziare imprese ardue e difficili, è, secondo Cicerone e Tommaso d’Aquino, un aspetto del coraggio. Che poi l’invidia e la gelosia sociale unitamente al generale degrado e incanaglimento della società occidentale (ciò che in termini filosofici si chiama “il nichilismo europeo”) cerchi di presentare questa virtù come qualcosa di anti-democratico, anti-egualitario e non politicamente corretto, fa parte della guerra in cui il ribelle si mette, proprio perché è tale. Quando le armi del discredito, la congiura del silenzio, la mistificazione, la malafede, il ricatto e l’intimidazione non sono più sufficienti ad annientare il ribelle, perché anche lui ha imparato ad adoperare le armi dei media, non resta che una carta per distruggerlo: trasformarlo in un’icona, come, è avvenuto a Guy Debord, l’autore del libro La società dello spettacolo (1967), il quale fu proclamato nel 2009 dal governo francese “tesoro nazionale”, a solo quindici anni dalla sua morte!
Se da questi fatti passati, veniamo all’attualità, merita attenzione e suscita riflessione il caso di una giovane donna norvegese, che chiamerò Rebekka (nome di fantasia). Costei, studiosa di filosofia e sostenitrice dell’ecologia profonda, iniziò da sola un paio d’anni fa un’avventura di sopravvivenza in condizioni estreme: vivere in un luogo remoto e isolato della foresta norvegese, sprovvisto di elettricità, di acqua potabile e di gas, di difficilissimo accesso perché privo di strada e irraggiungibile anche con un mezzo a trazione integrale a causa della vegetazione troppo fitta e della pendenza eccessiva degli ultimi settecento metri. Questa esperienza di vita off the grid (vale a dire fuori da qualsiasi collegamento anche telefonico o via Internet) è stato ripetuto per due estati e autunni consecutivi.
Nell’ottobre scorso, la vicenda è stata scoperta da una troupe di giornalisti di una rivista d’intrattenimento, che si sono recati sul luogo per intervistarla e fotografare l’ambiente, nonché i rifugi primitivi che lei intanto aveva costruito, tagliando gli alberi, per difendersi dal freddo, dai topi e dalle alci. Il risultato è stato un numero della rivista che contiene dodici pagine dedicate a lei, una lunga intervista e dieci bellissime fotografie: in copertina c’è la sua silhouette con una falce in mano e il titolo: “La ragazza nel bosco! Per Rebekka è più importante l’aria fresca dell’elettricità e dell’acqua corrente”. Da quel momento si è scatenato lo tsunami della comunicazione mediatica e la sua vita è stata sconvolta; diverse pubblicazioni le hanno fatto altre interviste con fotografie. Una catena televisiva ha chiesto di dedicarle un programma. Due registe le hanno proposto di fare un film. Ha ricevuto offerte di collaborazione giornalistica. Il suo luogo è stato invaso da centinaia di persone più o meno interessate e da curiosi. È diventata un’icona nazionale. Potrebbe diventare un’icona ribelle globale. Ma si è aperta una contraddizione tra la società dello spettacolo e quelle che Ibsen chiamava “le esigenze dell’ideale”. Rimane così aperto l’interrogativo se sia meglio essere un’icona ribelle oppure un vero ribelle. Questi segue l’insegnamento epicureo, che è anche quello dei monaci giapponesi medioevali della Terra Pura e di altre sette buddiste: vivi nascosto!

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