Pierre Bourdieu. La pubblicazione postuma dell'opera dedicata a Manet illustra come funzionava l'atelier teorico dello studioso. Un uso accorto dei testi per far emergere un punto di vista chiaro contro la «rivoluzione conservatrice» in corso in Francia
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Oltre il recinto del senso comune

Pierre Bourdieu. La pubblicazione postuma dell’opera dedicata a Manet illustra come funzionava l’atelier teorico dello studioso. Un uso accorto dei testi per far emergere un punto di vista chiaro contro la «rivoluzione conservatrice» in corso in Francia

Pierre Bourdieu. La pubblicazione postuma dell’opera dedicata a Manet illustra come funzionava l’atelier teorico dello studioso. Un uso accorto dei testi per far emergere un punto di vista chiaro contro la «rivoluzione conservatrice» in corso in Francia

Forse nes­suno dei molti testi, sem­pre accu­ra­ta­mente rifi­niti, pub­bli­cati in vita da Pierre Bour­dieu dà l’idea del suo modo di pen­sare e di lavo­rare quanto il volume postumo Manet. Une révo­lu­tion sym­bo­li­que (Seuil, pp. 782, euro 32) in cui è riu­nito ciò che rimane di una ricerca inter­rotta dalla morte: un mano­scritto incom­piuto e la tra­scri­zione di due cicli di lezioni. Que­sto stu­dio di caso, dedi­cato a rico­struire il pro­cesso attra­verso cui la pit­tura fran­cese è entrata nella moder­nità, met­tendo in discus­sione il sistema acca­de­mico, era con­si­de­rato da Bour­dieu una delle sfide più impor­tanti e dif­fi­cili che avesse affron­tato, come mostra la lunga e tor­men­tata gesta­zione. L’aveva ini­ziato verso la metà degli anni Ottanta, poi, impe­gnato su altri fronti, l’aveva abban­do­nato. Ci era tor­nato in due corsi con­se­cu­tivi al Col­lège de France (1998–1999 e 1999–2000), l’aveva nuo­va­mente sospeso per dedi­care l’ultimo anno alla socio­lo­gia della scienza, infine nell’autunno del 2001 aveva ripreso il vec­chio mano­scritto, deciso a rie­la­bo­rarlo e a pub­bli­carlo. Non gli era stato ancora dia­gno­sti­cato il male di cui sarebbe morto pochi mesi dopo.

Pre­oc­cu­pa­zioni con­giun­tu­rali ave­vano cer­ta­mente con­tri­buito a far­gli ripren­dere que­sto lavoro. Ricor­dare quanto era stata dif­fi­cile ed eroica l’emancipazione della pit­tura dal potere acca­de­mico e sta­tale era un modo indi­retto per difen­dere l’autonomia della cul­tura, in tutte le sue forme, dall’arte alla scienza, con­tro la «rivo­lu­zione con­ser­va­trice» che secondo Bour­dieu era in atto nella società francese.

Il potere del simbolico

Nel corso su Manet Bour­dieu sot­to­li­nea l’attualità della sua ana­lisi, denun­ciando in par­ti­co­lare il popu­li­smo di cui si ser­vono i con­ser­va­tori, alla fine dell’Ottocento come nel 2000, per scre­di­tare la riven­di­ca­zione di auto­no­mia delle ricer­che arti­sti­che e scien­ti­fi­che che non sono imme­dia­ta­mente acces­si­bili ai pro­fani. In effetti molti degli intel­let­tuali fran­cesi che dalla metà degli anni Set­tanta si sono impo­sti all’attenzione media­tica (dai «nou­veaux phi­lo­so­phes» a Jac­ques Ran­cière e Bruno Latour) si sono ser­viti di argo­menti popu­li­sti per squa­li­fi­care i loro più famosi pre­de­ces­sori: Lévi-Strauss, Lacan, Althus­ser, Fou­cault, Der­rida e, in par­ti­co­lare, Bour­dieu. I nuovi guru hanno pre­teso dema­go­gi­ca­mente di farsi por­ta­voce del senso comune, accu­sando di arro­ganza sia la visione strut­tu­rale, che spiega il sog­getto rico­struendo il sistema di rela­zioni in cui è inse­rito, sia i «mae­stri del sospetto», col­pe­voli di aver fatto emer­gere l’impensato che si cela in ogni discorso.

Ma non si può capire l’interesse che que­sta ricerca pre­senta per chiun­que desi­deri cono­scere meglio il pen­siero di Bour­dieu se non si con­si­dera la scom­messa teo­rica che rap­pre­sen­tava per lui. In quest’enorme can­tiere, aperto su più fronti, ha messo alla prova tutti gli stru­menti e i saperi acqui­siti in oltre quarant’anni di lavoro. Il libro offre la pos­si­bi­lità di entrare in uno straor­di­na­rio labo­ra­to­rio e di cogliere il pen­siero nel suo farsi.

Fin dall’inizio della sua car­riera Bour­dieu aveva foca­liz­zato la sua atten­zione sulla dimen­sione sim­bo­lica della realtà: il senso e il valore che diamo alle cose, anche quelle che con­si­de­riamo «mate­riali», dipen­dono dalle nostre cate­go­rie di per­ce­zione, con­vin­zioni, emo­zioni. Rite­neva che la tra­di­zione socio­lo­gica non avesse ela­bo­rato stru­menti ade­guati per ren­dere conto di quest’aspetto fon­da­men­tale. Marx aveva sot­to­li­neato nella prima delleTesi su Feuer­bach il «lato attivo» della realtà umana, ma non aveva svi­lup­pato quest’intuizione, essendo pre­oc­cu­pato di sot­to­li­neare soprat­tutto, con­tro l’idealismo, il peso dei fat­tori eco­no­mici. Emile Dur­kheim e soprat­tutto Max Weber ave­vano aperto la strada, con i loro studi sulla reli­gione. Ma Bour­dieu voleva ela­bo­rare un modello che per­met­tesse di spie­gare la cul­tura (in tutte le sue acce­zioni) di uni­versi com­plessi e dif­fe­ren­ziati come la società contemporanea.

Modelli della trasformazione

Nei lavori sul sistema di inse­gna­mento e nella Distin­zione Bour­dieu si è inter­ro­gato soprat­tutto sui mec­ca­ni­smi di ripro­du­zione della cul­tura, per cer­care di spie­gare il grande para­dosso della sto­ria umana, il fatto che l’ordine sim­bo­lico tende a essere accet­tato come evi­dente, natu­rale, anche da quelli che ne sono vit­time. Ha mostrato che le strut­ture men­tali sono for­giate dalle strut­ture sociali, attra­verso la scuola e la fami­glia, e ten­dono quindi ad accor­darsi con la visione domi­nante. Al tempo stesso non ha mai smesso di inter­ro­garsi sulle con­di­zioni che hanno reso pos­si­bile, in alcune con­giun­ture sto­ri­che, la tra­sfor­ma­zione dei prin­cipi di visione e di divi­sione del mondo. Lungi dal pro­porre una visione ras­se­gnata, la sua opera muove dalla con­vin­zione che la cono­scenza dei deter­mi­ni­smi sociali sia il solo stru­mento di cui l’uomo dispone per ten­tare di «defa­ta­liz­zare» il mondo.

Bour­dieu ha così pro­gres­si­va­mente ela­bo­rato un modello mul­ti­fat­to­riale di spie­ga­zione del cam­bia­mento. Lo stu­dio di una «rivo­lu­zione sim­bo­lica» riu­scita era un modo per met­tere alla prova que­sto modello. Si trat­tava non solo di indi­vi­duare i fat­tori strut­tu­rali di una con­ver­sione men­tale col­let­tiva, ma di spie­gare i mec­ca­ni­smi e gli esiti del cam­bia­mento, gra­zie alla sua teo­ria dell’azione, da lui desi­gnata sin­te­ti­ca­mente con le nozioni com­ple­men­tari di habi­tus e di campo. Avendo l’ambizione di pro­vare la vali­dità gene­rale delle sue ipo­tesi, Bour­dieu con­si­de­rava come una sfida par­ti­co­lar­mente signi­fi­ca­tiva e un punto d’onore riu­scire a ren­dere conto del fun­zio­na­mento dell’arte e della let­te­ra­tura, oggetti verso i quali sus­si­ste ancora oggi un atteg­gia­mento reli­gioso, che pre­tende di sot­trarli alla cono­scenza razio­nale, come se non faces­sero parte del mondo sociale. Per­ciò era impor­tante per lui non limi­tarsi ad ana­liz­zare aspetti «esterni» come il mer­cato e il pub­blico, ma mostrare che la nozione di campo per­met­teva di spie­gare socio­lo­gi­ca­mente anche gli aspetti più spe­ci­fici di que­sti uni­versi par­ti­co­lari: l’eroico disin­te­resse dimo­strato da scrit­tori e arti­sti incom­presi dalla mag­gior parte dei con­tem­po­ra­nei come Bau­de­laire, Flau­bert, Mal­larmé, Rim­baud, Cour­bet, Manet, Cezanne, Van Gogh; gli aspetti tec­nici e for­mali delle opere; la genesi dei canoni este­tici e delle gerar­chie di valore.

La quan­tità di piste che apre que­sto libro postumo atte­sta la fecon­dità del modello teo­rico e insieme la dismi­sura del lavoro che esso richiede. Men­tre in altre ricer­che Bour­dieu ha potuto con­tare su un’équipe di col­la­bo­ra­tori, qui ha pro­ce­duto da solo, e con­si­de­rando il pro­gramma deli­neato nel mano­scritto si capi­sce come in una lezione arrivi a con­fes­sare il suo sgo­mento di fronte all’impresa in cui si è imbar­cato. L’indice dà l’idea della «mis­sione impos­si­bile» che si è impo­sto, nell’esigenza di ana­liz­zare siste­ma­ti­ca­mente il fun­zio­na­mento dei diversi campi e set­tori che hanno un ruolo nella rivo­lu­zione della pit­tura: il sistema acca­de­mico; il campo artistico;il campo della cri­tica; i mer­canti e i col­le­zio­ni­sti; le inno­va­zioni este­ti­che e pit­to­ri­che. Secondo la sua teo­ria, per spie­gare le pra­ti­che (rap­pre­sen­ta­zioni, discorsi, opere) occor­reva fare un lavoro senza pre­ce­denti: rico­struire, per ognuno di que­sti mondi (com­presa la pro­du­zione cri­tica della poste­rità), la strut­tura delle posi­zioni non­ché le tra­iet­to­rie e le pro­prietà degli agenti. Inol­tre, men­tre nelle Regole dell’arte Bour­dieu si era con­cen­trato sul caso fran­cese, qui si pone in una pro­spet­tiva com­pa­ra­tiva, per spie­gare l’eccezione che rap­pre­senta la Fran­cia, per la forza del sistema acca­de­mico e per la radi­ca­lità della rivo­lu­zione com­piuta dagli innovatori.

L’insidia del determinismo

Nes­suno dei capi­toli può dirsi finito. Alcuni sono note per un’immensa ricerca da fare. A volte Bour­dieu avanza ipo­tesi che pos­sono appa­rire discu­ti­bili o troppo peren­to­rie. Ma si trova qui un esem­pio con­creto e pre­zioso della com­plessa costru­zione di oggetto che esige l’applicazione della «teo­ria dei campi». Le domande che Bour­dieu si pone e le ipo­tesi che ela­bora sono tra­spo­ni­bili. Il libro mostra quanto siano frut­tuose que­ste tra­spo­si­zioni, per esem­pio facendo emer­gere ciò che acco­muna il fun­zio­na­mento del sistema acca­de­mico ai tempi di Manet e quello delle Gran­des éco­les francesi.

L’aspetto forse più affa­sci­nante e istrut­tivo è lo sforzo costante di rifles­si­vità. La medi­ta­zione sui pro­blemi teo­rici e meto­do­lo­gici, sull’uso dei con­cetti, sul lavoro di ricerca occupa più di metà dei corsi e coin­volge pro­fon­da­mente, gra­zie alla pas­sione e one­stà intel­let­tuale con cui l’illustre socio­logo spiega quello che cerca di fare e con­fessa le sue dif­fi­coltà. A pro­po­sito di que­stioni fon­da­men­tali (come la distin­zione tra «corpo» acca­de­mico e «campo» arti­stico, o il rap­porto rottura/continuità nel cam­bia­mento) si notano esi­ta­zioni e pro­gres­sive cor­re­zioni che atte­stano la fedeltà all’ethos scien­ti­fico. Col­pi­sce in par­ti­co­lare lo sforzo di vigi­lanza epi­ste­mo­lo­gica sui deter­mi­ni­smi insi­diosi cui ogni ricer­ca­tore è espo­sto. Nel mano­scritto, per esem­pio, rac­co­manda a se stesso: «non fare il poeta, bel discorso sug­ge­stivo». E (rife­ren­dosi al con­fronto con altri stu­diosi): «Sfug­gire all’effetto campo: 1) non cer­care l’originalità 2) non accon­ten­tarsi di con­trap­porsi. Supe­rare conservando»”Questo breve pro­me­mo­ria rias­sume un segreto essen­ziale del pen­siero di Bour­dieu, che si è costruito, come ha detto e scritto spesso, con e con­tro Marx, Dur­kheim, Weber e innu­me­re­voli altri autori, appro­prian­dosi le acqui­si­zioni e cor­reg­gendo gli errori. Ha sem­pre giu­di­cato anti­scien­ti­fica e nefa­sta la logica dico­to­mica che riduce tutto a alter­na­tive sem­plici. Qui riba­di­sce con forza la per­sua­sione che la cono­scenza può pro­gre­dire solo pra­ti­cando un «eclet­ti­smo razio­nale». E quest’impresa, incom­piuta, forse, anche per­ché inter­mi­na­bile, lo con­ferma attra­verso le pro­spet­tive che apre e i pro­blemi che pone a quanti vor­ranno pro­se­guirla e superarla.

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