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Quelle donne mutilate scandalo per la civiltà 

  Khady Koita ha una foto di bambina in copertina, e una foto da grande sul retro del suo libro. È bella, da bambina e da grande. È nata nel 1959, in Senegal. Il libro si intitola “Mutilata”. “La parola orgasmo – spiega – non esiste nella mia lingua. Il piacere di una donna non è solo un tabù, è ignorato. La prima volta che qualcuna ne parlò in mia presenza, corsi alla biblioteca a frugare nei libri. La mutilazione praticata nell’infanzia, ci vogliono far credere che siamo nate così. Ci privano del piacere per dominarci, ma non del desiderio”. Khady vive a Bruxelles, è presidente della rete europea contro le Mutilazioni genitali femminili (Mgf), oggi è a Roma con Emma Bonino. E con loro Mariam Lamizana, già  ministro in Burkina Faso, la sua connazionale Marie Rose Sawadogo, la senegalese Ndeye Soukeye Gueye, militanti di spicco del Comitato interafricano contro le Mgf.

  Khady Koita ha una foto di bambina in copertina, e una foto da grande sul retro del suo libro. È bella, da bambina e da grande. È nata nel 1959, in Senegal. Il libro si intitola “Mutilata”. “La parola orgasmo – spiega – non esiste nella mia lingua. Il piacere di una donna non è solo un tabù, è ignorato. La prima volta che qualcuna ne parlò in mia presenza, corsi alla biblioteca a frugare nei libri. La mutilazione praticata nell’infanzia, ci vogliono far credere che siamo nate così. Ci privano del piacere per dominarci, ma non del desiderio”. Khady vive a Bruxelles, è presidente della rete europea contro le Mutilazioni genitali femminili (Mgf), oggi è a Roma con Emma Bonino. E con loro Mariam Lamizana, già  ministro in Burkina Faso, la sua connazionale Marie Rose Sawadogo, la senegalese Ndeye Soukeye Gueye, militanti di spicco del Comitato interafricano contro le Mgf.

Escissione del, o della, clitoride, infibulazione, parole tecniche, come se il lessico si procurasse un preservativo, a scanso di guai. Il clitoride tagliato via. Tagliate via le piccole labbra, e parte delle grandi, la vulva cucita. Donne cucite. “Tagliata”, scrive Khady, ma nella sua lingua soninke “salindé”, “purificata per accedere alla preghiera”. Si calcola che 150 milioni di donne vi siano state sottoposte. Tre milioni di bambine ogni anno. Gli Stati africani coinvolti sono 28: in 19 sono state varate leggi penali che sanzionano le Mgf. Naturalmente, fra la legge e la realtà c´è una distanza enorme.

Le mutilazioni genitali femminili sono una pratica tradizionale. Sono la più tradizionale delle pratiche. Raschiate il fondo della tradizione, e troverete sempre una prepotenza sulle donne.
Paese che vai, usanze che trovi: giusto, ma fino a un certo punto. L´arroganza colonialista suscitò una ribellione tesa a riconoscere e riscattare le differenze fra le culture. Succede però che per raddrizzare il bastone storto lo si pieghi dall´altra parte. Quando sir Phileas Fogg, girando il mondo in ottanta giorni per scommessa, strappò al rogo vedovile la giovane Auda e se la portò a Londra e la sposò, fece benissimo. Nessuna tradizione giustifica il rogo delle vedove. Esiste una buona tradizione e una cattiva tradizione. È compito della civiltà conservare la prima e superare la seconda. Avviene spesso il contrario.
Una antropologia del “relativismo assoluto” spingerà il suo rispetto per le tradizioni altre fino a rifiutarsi di interferire con le Mgf. E di fronte all´importazione di questa pratica (qualche decina di migliaia di bambine all´anno in Italia) si adopererà caso mai a ridurne la virulenza, così da serbarne il simbolismo e minimizzarne l´effetto fisico: proposito apprezzabile in una condizione di emergenza, pur di non eludere il fondo del problema, e di non emulare il chirurgo che ricuce il moncherino al ladro cui è stata mozzata la mano.
Sul punto si svolse una discussione accanita in Toscana, nel 2004; riferendone, il libro di Carla Pasquinelli (“Infibulazione. Il corpo violato”) avverte che “l´integrità non è altro che una particolare costruzione culturale del corpo”. Solo che, spinta all´estremo, questa ragionevole constatazione abolisce l´habeas corpus. Il punto di vista delle donne, dunque delle bambine, è il più necessario e, unilaterale com´è, il più universale rispetto al significato della tradizione. Al contrario, l´argomento secondo cui interventi di mutilazione genitale sono sempre esistiti sia per le donne che per gli uomini – come la circoncisione maschile – vorrebbe “sdrammatizzare” il problema.
Con la differenza che la mutilazione femminile priva la donna del piacere sessuale, ciò che non è nemmeno immaginabile per l´uomo, e tanto meno le doglie esasperate dalla cicatrizzazione o la rottura mortale dell´utero. L´uomo non saprebbe pensare a una mutilazione del proprio piacere sessuale, ma ha saputo pensare a mutilarne la donna, e goderne e rassicurarsene. Che sia un indizio della brutalità maschile è evidente: è anche un indizio colossale dell´ottusità maschile.
Ogni volta la questione si ripresenta così. Un doppio regime legale in paesi di immigrazione, la legge dello Stato e la shariah per i musulmani, si traduce essenzialmente nella soggezione delle donne – poligamia maschile, velo, mutilazioni genitali, matrimoni infantili e imposti, delitto d´onore ecc. È così anche per la pena di morte. La ritorsione retorica di Ahmadinejad su Teresa Lewis – cui la barbarie della pena capitale degli Usa presta gravemente il fianco – mostra la corda proprio nella differenza riservata dall´Iran dei mullah alle donne, come nel tormento esemplare di Sakineh. La pena di morte americana colpisce indiscriminatamente – cioé senza discriminazione deliberata. È anche quello che succede per l´attualità davvero bruciante dei rom. La premura per la loro diversità non si estende fino a esimerli, in qualunque luogo della terra si trovino, dal rispetto per l´incolumità, la dignità e la libertà delle donne (e dei bambini). Se ne dimenticano quelle autorità dal muso duro per le quali “gli zingari” vivano pure a loro modo, ma lontano da qui – lontano da ovunque.
Programma molto più facile che sanzionarne i reati personali e criticarne gli abusi tradizionali, ma aiutandoli, quelle e quelli che lo vogliano, ad abitare studiare e lavorare e sottrarsi alle vessazioni. La 65a Assemblea generale delle Nazioni Unite può essere decisiva per il bando universale delle Mgf. La Risoluzione rafforzerebbe la lotta per far applicare la legge dove già c´è, per farla adottare dove manca, per procurare le risorse indispensabili alla sua attuazione. Senza fare classifiche, è una battaglia almeno altrettanto importante (e diplomaticamente impegnativa) che quella per abolire la pena di morte, cui è affine. A Dakar, nel 1984, si costituì il Comitato interafricano sulle pratiche tradizionali che investono la salute di donne e bambini. Dagli anni ‘90 è attiva la Rete europea per la prevenzione e la soppressione delle pratiche tradizionali nefaste. Nel 2000 Emma Bonino visitò il villaggio di Tourela, in Mali, dove le Mgf erano state ripudiate e sostituite da una festa che simboleggiava il passaggio dall´adolescenza all´età adulta.
L´associazione sui diritti umani promossa dai radicali “Non c´è pace senza giustizia” tiene da allora un ruolo di primo piano. (Si trova online, per esempio nel sito della sanità dell´Emilia Romagna, una bibliografia ragionata in inglese sulle Mgf, di 2 mila titoli). Un risultato prezioso, tanto più coi tempi che corrono, è l´impegno pieno assunto dal Parlamento italiano e all´Onu dai ministri Frattini e Carfagna. La novità emozionante è che a guidare la campagna all´Onu sono donne africane capaci di impegnare i propri paesi. Nel 2003 gli Stati dell´Unione Africana sottoscrissero il Protocollo di Maputo che dichiara le Mgf “violazione flagrante dei diritti umani fondamentali”. Si sono impegnate da allora le prime signore d´Egitto, Suzanne Mubarak, di Gibuti, del Mali, del Burkina Faso, i governi e i parlamenti senegalese, mauritano, ivoriano, eritreo, beninese, e ugandese, kenyota, mozambicano. “Ogni tanto, mentre parlo di questo dramma – scrive Khady – qualcuno mi chiede: ‘Quando fa l´amore, che cosa sente? ‘ La prima volta mi sono sentita violata di nuovo. Oggi, queste domande non mi turbano più”. Oggi, bisogna che turbino tanti altri.

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