Intervista a Brian Percival, regista di “Storia di una ladra di libri”
Intervista a Brian Percival, regista di “Storia di una ladra di libri”
ROMA Liesel è una piccola ladra di libri: una ragazzina tedesca che scopre la salvezza dalle bugie di Hitler nelle parole e nell’amicizia di un ebreo che i genitori nascondono in cantina. Anita è un’adolescente ungherese sopravvissuta ad Auschwitz: non vuole dimenticare, anche se nessuno intorno a lei ha voglia di ascoltarla. Hannah è un’intellettuale ebreo tedesca che scopre la banalità del male nel processo a Gerusalemme di un contabile dello sterminio: Adolf Eichmann. Quest’anno a raccontare al cinema la Shoah sono tre figure femminili forti e diverse. E realmente esistite.
Anita B., il film che Roberto Faenza ha tratto dal libro di Edith Brook Quanta stella c’è nel cielo (già nelle nostre sale), viene presentato oggi a Gerusalemme. Hannah Arendt è il ritratto di Margarethe von Trotta dedicato a un periodo decisivo nella vita della filosofa che nel ’61 parte da New York alla volta di Gerusalemme per seguire, per il New Yorker, il processo al criminale nazista Eichmann. Subito dopo scriverà La banalità del male: Eichmann a Gerusalemme
che susciterà forti reazioni in Israele e negli Stati Uniti. Il film si potrà vedere in Italia solo oggi e domani. È in sala da ieri L’ultimo degli ingiusti di Claude Lanzmann, sulla controversa figura del rabbino Benjiamin Murmelstein. L’ultimo ad arrivare, il 27 marzo, sarà Storia di una ladra di libri, tratto dal bestseller da 8 milioni di copie di Markus Zusak (edito da Frassinelli) e girato dal regista della serie culto Downtown Abbey, Brian Percival, venuto a Roma per parlare del film con la giovane e bravissima Sophie Nelisse, la “ladra di libri” Liesel.
Liesel, Anita, Hannah, tre donne quest’anno raccontano al cinema la Shoah.
«Liesel è ispirato da una figura femminile importante nella famiglia dello scrittore, Markus Zusak. Una ragazzina di nove anni che assiste alla morte del fratellino e nel giorno del suo funerale ruba il suo primo libro,
Il manuale del becchino, anche se non sa leggere. Il secondo lo salverà dal fuoco di uno dei roghi accesi dai nazisti. Il padre adottivo, che nasconde un ragazzo ebreo in cantina, nella Monaco sotto i bombardamenti, le insegna a leggere. Quell’amicizia e quei compagni di viaggio, i libri, si trasformano negli angeli custodi che le permetteranno di sopravvivere. Il personaggio avrebbe potuto essere un maschio, ma a quell’epoca per una donna le difficoltà sociali erano ancora più forti. L’evidente svantaggio di Liesel sottolineano ancora di più i traguardi e la forza d’animo della ragazza».
Quanto il cinema può educare alla memoria?
«L’unica possibilità che abbiamo perché quel che è successo non si ripeta è educare le generazioni future. Mentre preparavo il film sono rimasto sorpreso da come la maggior parte dei ragazzi non sapesse nulla della Shoah. Questa scoperta ha influenzato profondamente il modo in cui ho raccontato la storia. Ho voluto renderlo il più accessibile possibile. Se avessi fatto un film sull’Olocausto probabilmente sarebbero andate a vederlo le persone che già conoscono i fatti. Invece, io punto al pubblico degli adolescenti. Vorrei che uscissero dalla sala ispirati dalla storia di Liesel. Con la voglia di capire cosa è successo davvero. Basta un clic sullo smartphone per scoprire la storia. Una ragazzina di dieci anni, figlia di un produttore, ha visto il film e ha pianto: “Perché hanno fatto tutto questo agli ebrei?”. Tante amichette di Sophie Nelisse, la giovane protagonista, hanno avuto reazioni analoghe. Sophie è stata straordinaria, ha voluto vedere tutti i film sulla Shoah, da Schindler’s List a La vita è bella, che trovo straordinario, e ha restituito al personaggio quella vitalità che la rende speciale e affascinante».
Come spiega il successo del libro Storia di una ladra di libri?
«Mi ha colpito profondamente la capacità di svelare il meccanismo di comunicazione con cui Hitler manipolava le coscienze. Il film racconta come la gente sia stata indotta a credere che una cosa così orribile potesse essere giusta. E questo non dovrà ripetersi».
Il film è forte e commovente. Teme che spaventi il pubblico?
«Tutt’altro. Per me è un film sulla vita, sul primo amore, sul potere delle parole e sulla possibilità di trovare vie di fuga grazie all’immaginazione. Per questo ho colorato il piccolo mondo dei miei protagonisti, poveri ma pieni di dignità e coraggio. Una storia che spero infonda speranza e sia d’ispirazione».
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