Scade il blocco degli insediamenti, Netanyahu chiede prudenza. In migliaia hanno festeggiato in Cisgiordania con slogan contro Obama e gli Usa Tensione nelle strade: feriti in due incidenti un palestinese e una israeliana
Scade il blocco degli insediamenti, Netanyahu chiede prudenza. In migliaia hanno festeggiato in Cisgiordania con slogan contro Obama e gli Usa Tensione nelle strade: feriti in due incidenti un palestinese e una israeliana
REVAVA (CISGIORDANIA). Il terreno è già stato spianato, le rocce rimosse. Quando la folla venuta a celebrare la fine della moratoria se ne andrà, arriveranno le ruspe gialle e i camion pieni di sacchi di cemento parcheggiati in fila indiana su una stradina laterale.
E allora, si ricomincerà a costruire. Ma con cautela, con «moderazione», come ha raccomandato il premier Netanyahu ai capi dei coloni, per non irritare gli amici americani, impegnati fino all´ultimo minuto a trovare una soluzione che permetta di salvare il negoziato.
A Revava, in quest´insediamento di ebrei ortodossi, nascosto tra le colline a Nord della Cisgiordania, immerso tra grandi uliveti circondati da filo spinato, gli animi non sono proprio moderati fra le migliaia di persone portate qui su decine di autobus a festeggiare. Il nemico n.1, manco a dirlo, è il presidente americano. «Il piano di pace di Obama è pulizia etnica», si legge in un cartello esibito da due militanti del Likud venuti da Haifa. Un´altra scritta, ricorda le parole di Netanyahu al ministro degli Esteri tedesco: «La Giudea e la Samaria non possono essere judenrein», secondo la definizione in voga ai tempi del Terzo Raich. E invece questo è quello che vuole Obama, anzi «Hussein Obama», come spregiativamente lo chiamano: una “Giudea e Samaria” senza ebrei.
Ora, se c´è un vincitore in questo braccio di ferro sul blocco degli insediamenti, questi è il primo ministro israeliano, che è riuscito a non cedere alle pressioni americane per un prolungamento della moratoria. Eppure il popolo degli insediamenti di Netanyahu non si fida completamente: «Non conosciamo veramente le sue intenzioni», dice sospettosa Shula Einav. «Anche all´evacuazione del Gush Kativ (il ritiro da Gaza, n. d. r.) aveva preannunciato la sua opposizione: abbiamo visto come è finita».
La scenografia punta sulla tradizione, non senza forzature. «Salutiamo i pionieri della Giudea e della Samaria», si legge su un grande striscione che fa da fondale al palco dove fra breve si esibiranno i leader. Dove quella parola, “Pionieri” sembra messa lì per creare un collegamento diretto con i primi sionisti venuti a stabilirsi agli inizi del 900 in Palestina per creare la prima comunità ebraica da cui sarebbe sorto lo Stato.
Canzoni religiose accompagnate dal battere ritmico delle mani, sventolio di bandiere, applausi verso un gruppo di turisti cinesi, ovazione per Danny Danon, 39 anni, il lanciatissimo deputato del Likud, stella nascente del partito conservatore. Gli chiediamo se la presenza tra gli organizzatori di così tanti militanti del Likud non faccia di quest´evento una manifestazione politica di parte: «Non è una manifestazione politica – risponde un po´ piccato – è un incontro per manifestare il nostro amore al popolo della Giudea e della Samaria, il nostro sostegno e le nostre scuse per questi dieci mesi di congelamento. Un errore che non dovrà ripetersi». Ma dove sono finite le cautele del premier, se un esponente di punta del suo stesso partito, viene ad annunciare ai coloni: «Da stanotte potete ricominciare a costruire?».
Il punto è che nessuno, da queste parti, crede che il processo di pace abbia molte possibilità di successo: ieri diversi momenti di tensione lo hanno confermato. Una colona israeliana è stata ferita a sud di Hebron e a Gaza un palestinese è stato colpito all´addome da un proiettile israeliano. Del resto anche Danon, liquida le idee di Obama come «wishful thinking», desideri, «di cui siamo costretti a fronteggiare le conseguenze». Netanyahu fa dunque bene ad opporsi. E finchè si opporrà alle pressioni americane non avrà nulla da temere dalla sua maggioranza di governo. «Sii forte – lo incita Danon rivolgendosi al premier in inglese – e tutti noi ti sosterremo».
Ma i coloni vogliono di più. Vogliono che una nuova corsa al mattone cominci nei Territori. «Questo non è un giorno di celebrazione», urla al microfono il capo del Consiglio Regionale di Shomron (come dire, l´ente locale degli insediamenti della zona) Gershon Mesika. «Questa moratoria è nata nel peccato, è una decisione razzista il cui unico scopo era di proibire agli ebrei di costruire le loro case nella loro terra».
Il momento clou è quando le 2-3mila persone presenti liberano nel cielo caliginoso i palloncini bianchi e azzurri che sono stati distribuiti all´ingresso. «Abbiamo 30 progetti pronti da 10 mesi – annuncia il capo della Pianificazione del Consiglio comunale – domani stesso cominceremo e in pochi mesi le case saranno ultimate». Lo stesso hanno fatto sapere i “sindaci” di Beit Aryeh e di Kiriat Arba. A pochi chilometri da qui, nel piccolo insediamento di Kyriat Netafim, hanno deciso, invece, di bruciare i tempi. Ieri stesso, è stata posata la prima pietra di un asilo per 30 bambini, che in realtà, in quanto asilo, non avrebbe dovuto essere soggetto alle restrizioni della moratoria. Ma tutto fa brodo per sottolineare che questo sarà più di un nuovo inizio.
0 comments