Anticipazione / La guida del paese dovrebbe essere per metà in mani femminili. Il nuovo libro di Veronesi. Occorre rovesciare un’organizzazione sociale che oggi ruota essenzialmente intorno alla figura maschile. Solo in questo modo è possibile garantire lo sviluppo della civiltà . Quando chiedo alle pazienti o alle mie collaboratrici se hanno mai provato ad alleviare l’affanno in cui le vedo dibattersi, mi sento dire: “Sa, professore faccio prima a fare io”
Anticipiamo un brano dal libro di Dell’amore e del dolore delle donne (Einaudi, pagg. 158, euro 18) da domani in libreria.
Anticipazione / La guida del paese dovrebbe essere per metà in mani femminili. Il nuovo libro di Veronesi. Occorre rovesciare un’organizzazione sociale che oggi ruota essenzialmente intorno alla figura maschile. Solo in questo modo è possibile garantire lo sviluppo della civiltà . Quando chiedo alle pazienti o alle mie collaboratrici se hanno mai provato ad alleviare l’affanno in cui le vedo dibattersi, mi sento dire: “Sa, professore faccio prima a fare io”
Anticipiamo un brano dal libro di Dell’amore e del dolore delle donne (Einaudi, pagg. 158, euro 18) da domani in libreria.
Credo di essere stato un buon padre per i miei figli, ma sono consapevole che non deve essere stato facile per loro confrontarsi con me. Avere accanto a me in ospedale Paolo, il mio figlio maggiore, e Giulia, la mia prima figlia femmina, è una soddisfazione immensa (…). A volte penso però che lo sforzo che hanno dovuto compiere per affermarsi sia stato, per certi versi, doppio rispetto a chi ha un cognome diverso dal loro. Per Giulia a quel cognome si aggiunge «il peso» del suo essere donna e mamma di tre bambini (…).
Ho visto in mia figlia il ritratto inaspettato e vero di una donna complessa, «multidimensionale», chirurga inappuntabile, ricercatrice metodica, medico empatico, madre attenta, compagna amorevole.
Mi colpisce sempre la capacità tutta femminile di pensare contemporaneamente a tante cose, anche lontanissime: i capricci dei bambini e i dati dei pazienti; e di passare da una dimensione all´altra in modo del tutto naturale (…). Nei clan familiari del secolo scorso le donne erano il nodo centrale di una rete di parentele sulle quali si intessevano rapporti solidali fortissimi e intoccabili (…). Mi ricordo che le donne che vivevano con noi in cascina, quando ero bambino, facevano molta vita di gruppo: lavoravano insieme negli orti e nei campi, cucivano, rassettavano, erano sempre affaccendate. Spesso mi permettevano di partecipare, e fingendomi impegnato in qualcosa mi divertivo a origliare i loro discorsi. Ricordo che una frase in particolare ricorreva spesso: «Non ti lamentare con tuo marito. Tanto, appena esce dalla porta di casa, fino a sera, la padrona sei tu» (…).
Oggi lasciare la famiglia d´origine equivale a conquistarsi la libertà, ma il prezzo che si paga per questa scelta è la perdita di una condivisione – di affetti e di compiti – che sarebbe preziosa per una donna «multifunzionale». Quello che stiamo attraversando, mi pare, è un momento di transizione: la protezione e la solidarietà del vecchio modello familiare non sono ancora state sostituite da un modello sociale che abbia funzioni analoghe, e che tenga conto dei ruoli effettivamente occupati dalla donna (…). L´organizzazione sociale oggi ruota essenzialmente intorno all´uomo, e invece dovrebbe ruotare intorno alla donna, perché la donna, in questo momento, è più adatta a garantire lo sviluppo della civiltà.
So che può sembrare un´affermazione utopistica, e certamente scatenerà l´indignazione di molti uomini, ma a ben pensarci una società matriarcale avrebbe vantaggi per tutti (…). Per esprimere la propria personalità, una donna era (e talvolta, ancora, è) obbligata a ricorrere a sotterfugi, proprio come quello, semplice, delle donne della cascina della mia infanzia, che aspettavano che il marito uscisse di casa per sentirsi finalmente libere. Per questo sono a favore di una cultura e di una civiltà coniugate al femminile (…).
Il dominio maschile ci ha traghettato in un´epoca di indubbio progresso civile e scientifico, ma adesso, inevitabilmente, il timone va passato alla donna. Per questo non mi stanco di ripetere che il futuro è donna. La mia convinzione, lo so bene, cozza in modo evidente con la realtà: se è vero che la donna è più «adatta» dell´uomo, – mi sento chiedere, – com´è che ancora non ha conquistato un ruolo non solo dominante, ma neppure paritario?
La prima ragione, a cui già ho accennato, è organizzativa: la società non è strutturata per favorire la carriera lavorativa della donna. In particolare, sulle sue spalle pesa un innegabile pregiudizio psicologico: la convinzione che l´uomo sia dotato di una maggiore capacità decisionale (…).
Il secondo ostacolo ha a che fare con il peso culturale delle religioni. La religione cristiana, ad esempio, rivela la sua indole maschilista nel divieto di sacerdozio imposto alle donne, che le estromette completamente dalla «carriera» religiosa. Gli apostoli, di cui i sacerdoti sono eredi, erano tutti maschi, anche se sotto la croce di Cristo morente c´erano solo donne, e i suoi seguaci fedeli si erano dileguati (…).
Infine, a frenare la conquista femminile della società, c´è forse un residuo senso di colpa nella coscienza delle donne, che faticano a trovare un equilibrio fra ruolo pubblico-professionale e ruolo materno-familiare (…).
Quando chiedo alle pazienti o alle mie collaboratrici se hanno mai provato ad alleviare l´affanno in cui le vedo dibattersi, mi sento dire: «Sa, professore, faccio prima a fare io (…)». È una frase, questa, dal forte potere rivelatore: esplicita la percezione che tutto quell´affollarsi di compiti – e allo stesso tempo ognuno di questi compiti – sia un elemento importante dell´essere donna, e dunque un aspetto irrinunciabile quanto è ormai irrinunciabile il ruolo lavorativo. Sono convinto che progressivamente la donna smetterà di percepire la «liberazione» da alcuni ruoli come una minaccia alla propria femminilità: è un processo che vedo già in atto nelle ragazze che si affacciano oggi al mondo del lavoro, e credo che l´ambiente sociale debba contribuire a questa evoluzione, infrangendo quel che resta dei tabù culturali che impediscono alle donne una partecipazione attiva.
Ma come? Entriamo qui nel capitolo delicatissimo del «che fare» per le nostre donne. E io, su questo tema, ho le idee molto chiare. La conduzione del paese dovrebbe essere per il 50 per cento in mani femminili. Metà dei parlamentari, cioè, dovrebbero essere donne, e la stessa partizione dovrebbe essere garantita per legge nelle regioni, nelle province e nei comuni nella composizione delle giunte, dei comitati e di ogni organo decisionale. È necessario che la presenza delle donne raggiunga la parità numerica ai vertici delle carriere universitarie, e nel sistema ospedaliero e assistenziale metà delle cariche di direzione generale e scientifica dovrebbero essere ricoperte da donne (…). Se solo ci soffermassimo a riflettere con più attenzione, non sarebbe difficile individuare gli incredibili punti di forza femminili che potrebbero migliorare sensibilmente le sorti della società odierna. Io ci ho provato, e ne ho individuato almeno dieci.
Il primo è biologico: alle donne è affidata la responsabilità della sopravvivenza della specie umana sul pianeta, attraverso la procreazione e l´accudimento della prole. Non dimentichiamo che i bambini sono esposti prima di tutto all´influenza materna, che ne determina prioritariamente l´educazione e la mentalità: il mondo dell´infanzia è un mondo femminile.
Il secondo unisce questa capacità procreativa con quella lavorativa: la sintesi di ruolo sociale e ruolo materno resta una fra le più importanti conquiste femminili recenti, dotata di un grande potenziale rivoluzionario.
Il terzo è la resistenza al dolore e alla fatica. Sono stato tante volte testimone dell´eccezionale capacità femminile di accettare e affrontare la malattia – e molte altre tragedie – fino a trasformarla in un pretesto per fare ordine nella propria vita, o persino in un´occasione di rinascita personale.
Il quarto punto è la motivazione che caratterizza il loro lavoro e l´attaccamento all´istituzione che rappresentano (…).
A questo è indirettamente collegato il quinto punto, che è il senso della giustizia. Metà dei nostri magistrati è donna e molte si distinguono e si trovano alla ribalta delle cronache per la loro integrità e fermezza nel giudizio.
Del sesto punto ho già parlato più volte: è la tendenza all´armonia, che enfatizza il senso femminile per la disciplina, l´organizzazione e l´ordine.
Il settimo è la maggiore sensibilità artistica e culturale. Basta guardarsi intorno nella sala di un cinema, a teatro, a un incontro letterario, a un concerto, a una mostra di pittura, scultura o fotografia, per rendersi conto che la maggioranza del pubblico è composta da donne.
L´ottavo è la capacità intellettuale di ragionamento e concentrazione. Per secoli si è detto che la donna non era adatta alle attività scientifiche, ma è vero il contrario: più della metà dei miei ricercatori è di sesso femminile, e la loro produttività e il loro ingegno sono straordinari.
Il nono punto è che le donne, contrariamente a quanto si crede, sono più brave degli uomini a decidere nei momenti critici. Quando un matrimonio fallisce, ad esempio, in molti casi è la donna che prende in mano la situazione e fa il passo di chiedere il divorzio (…).
Il decimo è che la donna è naturalmente meno aggressiva dell´uomo, non ama la violenza ed è portata a cercare soluzioni diplomatiche. E l´assenza di conflitti è la condizione imprescindibile per il moderno progresso della civiltà.
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