Chomsky il dissidente

Il celebre linguista a Roma: la lingua è neutrale, gli umani no
Il celebre linguista a Roma: la lingua è neutrale, gli umani no

ROMA. È UNA STAR NOAM CHOMSKY. Tra i più noti intellettuali americani viventi. A 85 anni è più fotografato di un’attrice candidata agli oscar. È a Roma per il festival della scienza dove ieri sera ha partecipato alla talk opera su di lui e stasera terrà una lectio magistralis sul tema de Il linguaggio come organo della mente. Entrambi gli eventi hanno da tempo esaurito i biglietti. Nel foyer dell’Auditorium un maxischermo permetterà agli interessati di partecipare.
L’inconsueta timidezza e disponibilità di Chomsky stride un po’ con i tempi ferrei dell’organizzazione che lo spinge verso altri impegni inderogabili. È il prezzo della celebrità. Ma è sempre lui. Lo stesso che si oppose alla guerra in Vietnam, che subì vari arresti, che ha appoggiato tutti i movimenti di opposizione negli Usa e altrove, fino a Occupy, di cui ha detto che hanno creato qualcosa che non esisteva prima: «un sistema di mutuo supporto, cooperazione e spazi aperti alla discussione».
Come Che Guevara, diventa duro senza perdere la tenerezza quando contesta il sistema di potere vigente. Secondo Chomsky siamo in piena lotta di classe: ricchi e potenti contro poveri e emarginati. Denuncia l’attestarsi delle plutocrazie occidentali che perseguono quella che Adam Smith definiva la turpe massima «tutto per noi stessi e nulla per gli altri», perseguita dai padroni dell’umanità. Un sistema di potere che abbandona il patto sociale come sostiene Mario Draghi in un’intervista al Wall Street Journal e scambia il benessere di pochi per il bene della società. Chomsky cita un recente report di Oxfam secondo cui 85 ricchi guadagnano tanto quanto 3 miliardi e mezzo di persone, mentre il 70% più povero della popolazione americana non ha possibilità di intervenire su come vengono prese le decisioni politiche. La democrazia è in pericolo in tutto l’occidente. In Italia è stata definitivamente compromessa secondo Chomsky da quando venne nominato Mario Monti, un tecnico, Presidente del Consiglio senza nessuna investitura popolare.
Ma chi sono i padroni dell’umanità? Sono banchieri, finanzieri, capitani di industria e burocrati che decidono le sorti dei paesi nel chiuso delle loro stanze senza confronto con l’opinione pubblica, aiutati da intellettuali organici e subalterni.
Cosa si può fare, gli chiedono? Bisogna sovvertire il sistema di potere attuale e attribuire di nuovo alla collettività e all’opinione pubblica la capacità di incidere su come verranno prese le decisioni. Da dissidente Chomsky non smette di avere fiducia nell’umanità e nella forza degli intellettuali. Non condivide probabilmente quella visione aspra e pessimista dell’ultimo film di Martin Scorsese, The wolf of Wall Street, dove i lupi della finanza possono arricchirsi pazzamente perché sono gli ideologi di una società vuota fatta di ricchezza facile e irrefrenabilità del desiderio. Sono solo interpreti fortunati di una danza tribale e violenta che tutti vorrebbero saper ballare.
Il linguaggio, per Chomsky, è uno strumento neutrale, può essere usato da Gandhi o da Hitler. È una posizione tradisce la sua storia di studioso: esisterebbe una grammatica universale innata che detta le regole delle possibili forme del linguaggio. Chomsky continua a credere nelle sue teorie; i recenti studi sull’apprendimento della lingua madre dimostrerebbero che la struttura grammaticale prescinderebbe dalla fonetica e da ogni carattere empirico delle singole lingue. Alla provocazione sulla impossibilità di dimostrare i suoi risultati risponde con consapevolezza e umiltà. Ma che significa dimostrare? Assumere principi, osservare e valutare le conseguenze e secondo lui anche molti studi neuroscientifici e psicolinguistici potrebbero essere usati come parziali conferme delle sue intuizioni. Il dibattito continua e manifesta la fertilità della sua posizione. Nella discussione, però, preme l’attualità. Gli intellettuali hanno fatto abbastanza? Le nuove tecnologie hanno abbassato il livello della lingua e la possibilità di conoscenza?
Sugli intellettuali Chomsky mantiene una posizione molto netta. Quelli dissidenti sono apprezzabili, quelli di regime riprovevoli. Ma aggiunge una chiosa rivoluzionaria. 25 anni fa cadeva il muro di Berlino. Tutti apprezziamo gli intellettuali che si sono battuti contro i regimi totalitari dell’Europa dell’Est. Ma non vale lo stesso per i dissidenti interni o per quelli oppositori di regimi «amici», come in America Latina. Sono 25 anni che è avvenuto anche l’eccidio dei sacerdoti gesuiti e degli studenti in El Salvador ad opera di forze colluse col potere americano e nessuno in Usa si affannerà a ricordare quell’ingiustizia subita.
Su stampa e nuove tecnologie della comunicazione Chomsky mantiene una posizione salomonica. La rete offre opportunità e comporta rischi. Sebbene le tecniche di propaganda siano le stesse, sia pure adottando nuovi metodi, l’immediatezza nel reperire le notizie in rete ha interferito con la profondità del giornalismo, riducendo la visione d’insieme e la capacità di offrire un’interpretazione del mondo. Tuttavia al centro resta la responsabilità di chi legge e di chi scrive: è la sua fiducia nella natura umana.
Con un caveat: nella biblioteca di biologia del Mit quasi tutto quello che vi si legge è provato e verificato, mentre quello che si trova su internet proviene dalla testa delle persone senza controlli o mediazioni.

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