Intervista al regista di “Shoah” che in “L’ultimo degli ingiusti” incontra il capo del “ghetto modello” di Theresienstadt accusato dagli ebrei di aver aiutato i nazisti
Intervista al regista di “Shoah” che in “L’ultimo degli ingiusti” incontra il capo del “ghetto modello” di Theresienstadt accusato dagli ebrei di aver aiutato i nazisti
PARIGI Nell’hotel parigino a due passi da Place Vendo?me dove i divi del cinema francese entrano ed escono dalle stanze delle interviste come in una pochade, l’apparizione di Claude Lanzmann, classe 1925, organizzatore della Resistenza francese, intellettuale, cineasta, giornalista amico di Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir, ha un impatto sacrale. Il tono delle voci si abbassa, chi e? in piedi si accosta al muro per fare spazio, chi sta facendo qualcosa si blocca. Severo, diretto, imperativo, l’autore di Shoah, la pellicola lunga 10 ore e 13 minuti che l’ha impegnato a tempo pieno per 12 anni, evento fondamentale nella ricostruzione della storia dell’Olocausto, evita il tono ieratico da grande vecchio e, piu? che alle domande rispettose, e? interessato al confronto e alla provocazione: «La moda di oggi impone di comportarsi come se la morte non esistesse, io, invece, sono convinto che esista e che, alla fine, sia lei a vincere».
Corpo a corpo con la morte
Il corpo a corpo riguarda tutti e ognuno, sembra dire Lanzmann, fa la sua parte, compreso Benjamin Murmelstein, ultimo capo del Consiglio Ebraico del ghetto di Theresienstadt, l’unico ad aver vinto quel match uscendo vivo dall’inferno: «Murmelstein fu nominato decano nel 1944, era un uomo di bellissimo aspetto e dalla mente brillante, il piu? capace fra i decani e forse il piu? coraggioso… Nonostante fosse riuscito a tenere aperto il ghetto fino agli ultimi giorni della guerra e avesse salvato la popolazione dalle marce della morte ordinate da Hitler, su di lui si concentro? l’odio di una parte dei sopravvissuti». Sebbene in possesso di un passaporto diplomatico della Croce Rossa, Murmelstein non si diede alla fuga, fu arrestato e imprigionato dalle autorita? ceche dopo che alcuni ebrei lo avevano accusato di collaborare con il nemico, rimase in galera per 18 mesi e ne usci? prosciolto da tutte le imputazioni. Alla sua «testimonianza preziosa», al suo ruolo apparentemente contraddittorio, alla sua complessa figura umana, Lanzmann ha dedicato Le dernier des injustes L’ultimo degli ingiusti, da domani nelle sale italiane: «Non ho fatto questo film per le giovani generazioni, dentro c’e? qualcosa di molto piu? complicato di un disegno educativo. Girarlo e? servito ad apprendere, nei dettagli, cose che ignoravamo sul senso piu? profondo con cui i nazisti praticavano la corruzione. Posso dire che comprendiamo il significato della soluzione finale piu? in questo film che in Shoah».
Il faccia a faccia, a Roma, tra Murmelstein e Lanzmann, risale al 1975: «L’ho incontrato prima di iniziare Shoah, sono stato con lui una settimana, passeggiando per la città e girando chilometri di pellicola, ma non sapevo ancora bene cosa fare di quel materiale…». Per Shoah non andava bene perchè «quello è un film epico, attraversato, dall’inizio alla fine, dal senso di una tragedia immane», eppure l’intervista a Murmelstein, con tutti i suoi interrogativi aperti, andava ripresa e approfondita. Nel 2012 Lanzmann torna a Theresiestadt, un «luogo sinistro», a 60 km da Praga, recupera il vecchio colloquio e analizza la storia della città «che Hitler regalò
agli ebrei», in realtà il luogo della grande menzogna, quello dove vennero deportate le ultime figure di spicco della cultura ebraica, prima dell’esecuzione, più lontano, a Est: «I veri collaborazionisti, coloro che abbracciarono l’ideologia nazista, come ad esempio i collaborazionisti francesi, non esistevano tra gli ebrei, tranne forse a Varsavia, dove c’era il gruppo dei “Tredici”…».Dopo ore di brillante conversazione, racconta il regista, Murmelstein ammise: «Non ci rendevamo conto di quello che stava succedendo, non ci pensavamo».
Contro la Arendt
Chi invece sapeva tutto, e bene, era Adolf Eichmann, che incaricò Murmelstein di organizzare l’emigrazione forzata degli ebrei austriaci, dall’estate del ’38 fino allo scoppio della guerra. Il capovolgimento della teoria della filosofa Hannah Arendt sulla «banalità del male» è uno dei punti a cui Lanzmann tiene di più: «Quello di Eichmann fu un processo sommario, basato sull’ignoranza. Non fu nemmeno dimostrata la sua diretta partecipazione alla Notte dei Cristalli… La Arendt sputò ogni genere di assurdità su questo argomento..». Il protagonista del film, l’ultimo degli ingiusti, «combattè con tutte le sue forze, fino alla fine, contro gli assassini. Come ha detto lui stesso, i nazisti volevano fare di lui un burattinaio, ma il burattinaio aveva imparato a muoversi i fili da solo». Alla fine, grazie al suo impegno, oltre 123mila ebrei riuscirono a mettersi in salvo. A Cannes, dove il film ha avuto la sua anteprima trionfale, Lanzmann ha incontrato il presidente di giuria Steven Spielberg, di cui aveva a suo tempo criticato Schindler’s list: «Abbiamo pranzato insieme e siamo diventati amici, ha visto L’ultimo degli ingiusti e mi ha scritto che era stata una rivelazione».
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