Nella selva col Mono, grande combattente

La pioggia cadeva a tratti, ma quando veniva giù lo faceva con violenza. Oltre che zuppi eravamo tappezzati dal fogliame strappato agli alberi. «Meglio così, presto sarete mimetizzati anche voi, vi farà  comodo», commentò un guerrigliero alto e prestante, tuta mimetica e kalashnikov in spalla. Con me c’erano due giornalisti colombiani e uno francese. Nessuno di noi lo riconobbe.

La pioggia cadeva a tratti, ma quando veniva giù lo faceva con violenza. Oltre che zuppi eravamo tappezzati dal fogliame strappato agli alberi. «Meglio così, presto sarete mimetizzati anche voi, vi farà  comodo», commentò un guerrigliero alto e prestante, tuta mimetica e kalashnikov in spalla. Con me c’erano due giornalisti colombiani e uno francese. Nessuno di noi lo riconobbe.

Era arrivato buon ultimo, accompagnato da due giovani donne con pistola e bombe a mano alla cintura. Il capo della guardia di Reyes, pensammo. Ci aveva portato fin lì, a un centinaio di chilometri da San Vicente del Caguan, tra il fiume e la cordigliera orientale, una pattuglia speciale delle Farc. Dopo complicate trattative potevamo infine intervistare il numero 2 della maggiore guerriglia sudamericana, Raul Reyes, un ex ragioniere divenuto il vice politico del fondatore Manuel Marulanda Velez, il mitico Tiro Fijo, da quarant’anni in armi nella selva.
Reyes e la sua guardia del corpo ci erano venuti incontro ai margini di un piccolo gruppo di tende da cui spuntavano canne di mitragliatrici anti-aeree e antenne radio. Oltre s’immaginava l’accampamento principale, ben più vasto. Per ragioni di sicurezza, tuttavia, i colloqui non potevano avvenire al coperto delle tende. Sebbene ci trovassimo nella zona smilitarizzata per i dialoghi di pace con il governo del presidente Andrés Pastrana (era l’ottobre del 2001), Reyes ci disse che c’era il rischio di un bombardamento. I militari potevano tentare un colpo di mano per farli naufragare.
Anche nella guerriglia, però, non mancava chi in quel negoziato non aveva mai creduto e probabilmente si era opposto. E quel tipo che restava un po’ appartato senza nondimeno perdere una parola delle interviste, ci teneva a farcelo capire. «Noi non temiamo un intervento militare diretto degli Stati uniti», rispose a una mia domanda . «Che vengano, che vengano questi guerrieri del nord: vedremo come se la caveranno tra i pantani e le zanzare! Noi li aspettiamo».
Reyes ci aveva appena rivelato che la guerriglia spendeva una fortuna in farmaci anti-micotici. Per proteggersi dall’incessante umidità della selva, i guerriglieri calzavano infatti stivali di gomma che però impediscono ai piedi di respirare e molti di loro avevano i piedi piagati dall’infezione. «Quello era el Mono Jojoy, un grande combattente», ci disse poi uno dei nostri accompagnanti. E il suo tono tradiva qualche fastidio.

* Ex corrispondente Rai dall’America Latina

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