Un desiderio disincantato di sovversione sociale

AUTOPRODUZIONI Radiocronache di una città ribelle. «Il tacco del Duka» per Agenzia X

Bardo della contro-cultura romana. Visionario dell’arte affabulatoria, memorialista dei bassifondi. La sua scrittura è una parola cadenzata, lavorata nel discorso libero indiretto, una sintesi tra il fatto biografico, il reportage, la politica. Il Duka, si fa chiamare come David Bowie, ma è nato e vive nel quartiere di San Basilio a Roma.

AUTOPRODUZIONI Radiocronache di una città ribelle. «Il tacco del Duka» per Agenzia X

Bardo della contro-cultura romana. Visionario dell’arte affabulatoria, memorialista dei bassifondi. La sua scrittura è una parola cadenzata, lavorata nel discorso libero indiretto, una sintesi tra il fatto biografico, il reportage, la politica. Il Duka, si fa chiamare come David Bowie, ma è nato e vive nel quartiere di San Basilio a Roma.

Nei cinquanta reportage (corrispondenze, recensioni di libri o musicali, di viaggi, storie dei movimenti americani e italiani) contenuti nel suo ultimo libro Il tacco del Duka (Agenzia X, pp. 209, euro 14), copia su carta della rubrica omonima su Radio Onda Rossa nell’ambito della trasmissione di culto «Daje pure te», lo stile del Duka è prossemico. Dipende dalla disposizione del suo corpo, i gesti, i comportamenti, una comunicazione sia verbale che non verbale contenuta nella parola scritta. Tutto questo non lo si può vedere leggendo un libro, è ovvio, ma lo si può sentire. Casualmente mi è capitato di vedere il Duka mentre interveniva in diretta con uno dei suoi «colpi di tacco»(che in romanesco sono l’opposto di una «sòla», come recita il claim della trasmissione). Quando parla, e dunque quando scrive, quella del Duka è concentrata, energica. Si ferma, guarda fisso davanti a se, segue con gli occhi uno schema argomentativo. Sciorina parole precise, scandite come un rap. Questo è il cuore della sua scrittura, che non è testimonianza, segue anzi una logica politica: c’è l’amico, il nemico, la ricerca di una sintesi problematica. Su questa radice il Duka innesta una vena immaginifica. E così il Luna Park del Pigneto a Roma diventa «Bongo Street», la storia dell’autonomia operaia viene trasfigurata nel teletrasporto creato dalla facoltà di Astronomia Operaia. L’ ironia fa esplodere le contraddizioni e permette di renderle dicibili, conquistando la possibilità di dire la verità alla comunità. L’affetto che circonda il bardo è il riconoscimento di questa capacità a suo modo parresiastica. Il Duka elabora un registro composito, fatto di iperboli che sfidano la verosimiglianza, come nella visita alla première dame Carla Bruni, o alla festa a Buckingham Palace per il Royal Baby dove il Duka si è «auto-inviato». Il suo obiettivo è catturare l’attenzione, come fanno i narratori davanti al fuoco. Per farlo, bisogna sospendere il senso comune nella società dello spettacolo. Così racconta le micro-storie degli umili, per salvare i sommersi e proteggere la vita nel presente. In questo mondo del Duka persiste un desiderio disincantato di rivoluzione.

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