“Sono io la No Tav che bacia quel poliziotto ma quale gesto di pace, volevo schernirlo”

 Nina, la ragazza della foto: pensavo di sputargli, poi ho scelto la provoca
 Nina, la ragazza della foto: pensavo di sputargli, poi ho scelto la provoca

TORINO — Non un atto d’amicizia, né un gesto di pace. Bensì uno sfottò nato dall’odio per le divise. All’indomani dello scatto che ha fatto il giro del web, “Il bacio della No Tav a un poliziotto”, viene alla luce la vera storia di quella foto. A tirarla fuori è la stessa ragazza protagonista del gesto. Già alcuni No Tav, tra cui Lele Rizzo, uno dei leader del Clp, il “Comitato di lotta popolare” di Bussoleno ed esponente del centro sociale Askatasuna, attraverso il proprio profilo Facebook avevano preso ieri le distanze da quel “bacio”, o meglio dall’interpretazione “friendly” che ne veniva data: «Cosa dovrebbe rappresentare questa immagine? Nulla». «Forse — invitava un altro attivista, Il Base — bisognerebbe iniziare ad allontanare personaggi in vena di protagonismo. Se era alla ricerca di visibilità l’ha trovata, ma questo non è quello che noi vogliamo nel movimento». Un susseguirsi di critiche. Pochi i commenti a favore della ragazza, rea di essere amica dei poliziotti.
Ecco che però sempre su Facebook è la stessa protagonista del gesto (Jasper Baol, come si firma, 20 anni, studentessa universitaria di Milano, al secolo Nina De Chiffre) a prendere le distanze. «È sempre molto divertente — scrive — vedere come vengono reinterpretate le foto. La ragazza in questione sono io. Nessun messaggio di pace, anzi, questi porci schifosi li appenderei solo a testa in giù, dopo quello che è successo a Marta, compagna molestata e picchiata».
Versione confermata dal sindacato di polizia Sap. Il poliziotto “baciato”, un giovane di 25 anni, non ha assolutamente avuto la percezione di un gesto amichevole: racconta anzi che dopo il “bacio” l’attivista si sarebbe bagnata le dita con la saliva e avrebbe provato ad avvicinarle alla sua bocca. Già allontanata una prima volta, è stata nuovamente invitata a proseguire per la sua strada. Un’altra ragazza avrebbe invece leccato la visiera a un collega.
Al telefono, Nina De Chiffre conferma tutto. Spiega di far parte del collettivo Remake di Milano che ha occupato il cinema Maestoso, poi sgomberato. Ammette sia di avere baciato il poliziotto, sia di non avere alcuna intenzione di lasciar passare come “segno di pace” quella che nella sua mente era una dichiarazione di guerra.
Quel bacio, insomma, non voleva essere un gesto pacifista?
«Macché. Avevo una scelta: sputargli o baciarlo. Ho scelto la seconda possibilità: provocarlo come farebbe una sex worker, una prostituta insomma. So quali siano le regole d’ingaggio delle forze dell’ordine e ci ho giocato: so bene che non possono
reagire alle provocazioni. Non mi sono limitata a baciarlo come si è visto in foto: gli ho detto delle cose per vedere se reagiva, ma lui è rimasto immobile. Era grottesco, come una macchina bloccata.
Gli ho anche leccato la visiera, mi sono bagnata le dita e ho toccato le sue labbra».
E quale sarebbe il significato di tutto ciò?
«Il mio era un gesto di spregio verso le forze dell’ordine. Volevo che quel poliziotto si ricordasse quello che è successo a Marta di Pisa: lo scorso luglio è stata mo-lestata e picchiata senza nessuna conseguenza per gli agenti».
Era un gesto programmato?
«No, per niente. Io ho fatto parte, oltre che gruppo che ha occupato il cinema a Milano, anche di Tabù, un collettivo “di genere”: l’immagine che è stata catturata dal fotografo era quella di un gesto a cui volevo dare un significato di spregio sprofondo. C’era questo ragazzo giovanissimo
di fronte a me per il quale ho provato profonda pena, ma nel senso di disgusto».
I poliziotti in Valsusa fanno il loro mestiere. Non pensa che meritino comunque rispetto, almeno come persone e lavoratori?
«Sono già stata diverse volte in Valsusa, e sempre per cortei pacifici. Loro hanno scelto di fare i celerini, sanno quello che fanno. La celere è un corpo scelto, chi è lì è selezionato per fare quello che fa. Non vedo in loro delle vittime, quello che fanno lo fanno consapevolmente. Sono pecorelle. Ecco, volevo far passare il messaggio che quelle persone sono come delle macchine che non si rendono conto che la loro non è vita. Volevo ridicolizzare, umiliare».
Pecorelle? Non è un bella parola.
«Lo so. Anche questa è una provocazione».
E non teme di fare la stessa magra figura di Marco Bruno, il ragazzo filmato mentre insultava un agente schierato che non poteva muoversi?
«Temo, sì, che questo gesto sia strumentalizzato dai giornali, ma preferisco essere perseguita legalmente piuttosto che vedere il mio bacio interpretato come un gesto di pace. Era un gesto di disgusto verso le forze dell’ordine e così voglio che sia spiegato».

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